- Secondo un documento parzialmente desecrato dal Dipartimento di Stato, l’amministrazione Biden avrebbe bloccato gli sforzi riguardanti il ritiro delle truppe statunitensi per timore di sfiduciare l’amministrazione filoccidentale.
- Una scelta scellerata che però ha radici anche nella decisione trumpiana di firmare un accordo con i talebani a Doha nel 2020.
- Sul banco degli imputati non ci sono soltanto i due presidenti, ma anche l’attuale segretario di Stato Blinken.
C’è un momento dove convenzionalmente si colloca la fine della luna di miele di Joe Biden con l’elettorato americano, ovvero nei giorni del caotico ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan nell’agosto 2021, che portarono a un immediato ritorno al potere dei Talebani e al collasso del governo legittimo.
Adesso quella vicenda torna nuovamente a galla per un report reso parzialmente pubblico dal dipartimento di stato che cerca di fare un bilancio su quella tragica vicenda che vide, tra le altre cose, anche la morte di 13 marines in un attacco effettuato con un auto esplosiva.
Nelle 24 pagine che sono oggi leggibili, emergono precise responsabilità non solo della Casa Bianca, ma anche dello stesso segretario di Stato Antony Blinken. Particolari che erano stati omessi in un analogo report diramato dalla Casa Bianca, dove viceversa tutte le colpe erano state ascritte all’amministrazione di Donald Trump. Una “dimenticanza” che la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha liquidato sbrigativamente la questione dicendo che il presidente Biden aveva dovuto «fare uno scelta» per far finire «una guerra senza fine».
Al contrario, uno dei portavoce di Trump, Steven Cheung, ha dichiarato in una nota che «c’è un solo responsabile del disastroso ritiro dall’Afghanistan, ed è Joe Biden». La domanda però che ci si pone è come mai un documento governativo di questo tenore, datato marzo 2022, sia stato reso pubblico soltanto nel weekend del 4 luglio, quando la maggior parte degli americani cerca di pensare soltanto a come festeggiare al meglio una breve vacanza creata dalla festività federale più nota.
Un colpevole in alto
La risposta probabilmente è nel contenuto. Sul banco degli imputati non ci sono soltanto i due presidenti, ma anche l’attuale segretario di Stato Blinken. Nel dettagliato resoconto si legge che «il capo del settimo piano», un eufemismo gergale che indica il titolare del dipartimento, «avrebbe dovuto coordinare maggiormente le varie linee» che stavano affrontando la crisi. In particolar modo, è mancata l’espansione di una task force di crisi.
Una considerazione che stride molto con l’analogo documento pubblicato dalla Casa Bianca, dove si dice che questa mancata connessione tra i vari agenti sul terreno era dovuta alla riduzione delle truppe in Afghanistan dovuta a un accordo stipulato dall’amministrazione Trump con i talebani per creare «un governo di grande coalizione» che non si concretizzò mai.
Il colpevole, secondo gli anonimi autori della ricerca, è da cercare molto in alto, oltre quel settimo piano già citato. Non si spiega altrimenti perché molti diplomatici decisero di non decidere allora, dando ad esempio un tempestivo ordine di evacuazione per gli afghani che rischiavano la vita per aver collaborato con le truppe americane.
Un disastro bipartisan
La risposta, nascosta nel report, è disarmante la sua semplicità: l’amministrazione Biden avrebbe bloccato questi sforzi per evitare di dare un segnale di sfiducia al governo afghano del presidente Ashraf Ghani. Una scelta che in ultima analisi ha accelerato il collasso.
Un portavoce della presidenza però ha dichiarato alla Reuters che non riconosce questa versione, date le numerose simulazioni di evacuazione svolte dalla task force apposita. Nel report però anche l’ex presidente Trump ha la sua parte di colpe: l’accordo siglato alle spalle del governo con i capi talebani il 29 febbraio 2020 è stato un fattore che ha dato una spinta decisiva sia al ritorno al potere dei talebani, sia al collasso dell’amministrazione filoccidentale.
Un disastro bipartisan, insomma. Difficile però non notare che questo ritardo sospetto nel pubblicare delle pagine così cruciali per comprendere cosa accadde veramente nelle drammatiche fasi del ritiro americano dagli Stati Uniti abbia avuto anche mere ragioni elettoralistiche.
Una decisione cinica
Pubblicarlo nella primavera del 2022 avrebbe regalato dei comodi argomenti ai candidati repubblicani nelle elezioni di midterm, che avrebbero avuto buon gioco a puntare il dito non solo contro Biden ma anche contro Blinken, normalmente considerato uno dei più affidabili membri dell’amministrazione.
Anche stavolta però si può affermare che l’azzardo di Biden nel decidere un ritiro così precipitoso ha anche un retrogusto nixoniano: così come il presidente del Watergate decise di lasciare il Vietnam precipitosamente con la segreta speranza che l’opinione pubblica se ne sarebbe presto dimenticata, anche l’attuale presidente, secondo alcuni retroscena, avrebbe agito in modo simile. E pazienza se le ceneri di quei disastri avrebbero lasciato un alone su di loro.
Una decisione estremamente cinica che però, come dimostrano i risultati tutto sommato lusinghieri delle elezioni di metà mandato del 2022, ha avuto i risultati sperati. Nonostante la permanenza di un regime teocratico come quello talebano macchi indelebilmente gli sforzi ventennali di Washington nell’area.
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