Henry A. Kissinger, 100 anni, è morto oggi. Fu segretario di Stato americano sotto i presidenti Richard Nixon e Gerald Ford tra il 1969 e il 1977. Oltre alla sua carriera politica, intraprese anche la carriera accademica con la scrittura di libri. Ordine Mondiale venne pubblicato nel 2014
Questo testo è tratto da Ordine Mondiale, il libro di Henry A. Kissinger pubblicato nel 2014. L’autore cerca di delineare le linee guida per comprendere il nuovo ordine globale, espressione ormai entrata in uso. Il metodo utilizzato richiama uno sguardo al passato per comprendere gli avvenimenti attuali. Nel passaggio scelto racconta il futuro dell’Europa sottolineando le sfide che dovrà affrontare e il rapporto con la comunità atlantica.
Che viaggio aveva compiuto l’Europa per arrivare a questo punto! Si era lanciata nelle esplorazioni globali e aveva diffuso le proprie pratiche e i propri valori in tutto il mondo. In ogni secolo aveva modificato la sua struttura interna e inventato nuovi modi di concepire la natura dell’ordine internazionale. Adesso, al culmine di un’era, per parteciparvi si sentiva obbligata a mettere da parte i meccanismi politici con cui aveva condotto i propri affari per tre secoli e mezzo. Spinta anche dal desiderio di attutire l’inattesa unificazione della Germania, la nuova Unione europea istituì una moneta comune nel 2002 e una struttura politica formale nel 2004. Con ciò proclamò un’Europa unita, intera e libera, capace di armonizzare le proprie differenze mediante meccanismi pacifici. L’unificazione tedesca alterò l’equilibrio dell’Europa, perché nessun accordo costituzionale poteva cambiare la realtà che la Germania da sola era di nuovo lo Stato più forte del continente. La moneta unica produsse un grado di unità che non si era più visto in Europa dai tempi del Sacro romano impero. Sarebbe riuscita l’Unione europea a conquistare il ruolo globale che il suo atto costitutivo proclamava, oppure, come l’impero di Carlo V, si sarebbe dimostrata incapace di mantenersi unita?
La nuova struttura rappresentava in un certo senso un ripudio della Pace di Vestfalia. Eppure l’Unione europea può anche essere interpretata come un ritorno al sistema statale internazionale vestfaliano che l’Europa aveva creato, diffuso in tutto il globo, difeso ed esemplificato per gran parte dell’età moderna: questa volta come potenza regionale, invece che nazionale, come una nuova unità in una versione ormai globale del sistema vestfaliano. L’esito è una combinazione di aspetti dell’approccio nazionale e di quello regionale che finora non ha garantito pienamente i benefici né dell’uno né dell’altro. L’Unione europea riduce la sovranità dei suoi Stati membri e le loro tradizionali funzioni governative, come il controllo della moneta e dei confini. D’altra parte, la politica europea rimane fondamentalmente nazionale, e in molti paesi le obiezioni alla politica dell’Unione sono diventate il principale problema interno.
Il risultato è un ibrido, dal punto di vista costituzionale una via di mezzo tra uno Stato e una confederazione, che funziona mediante riunioni ministeriali e una burocrazia comune: più simile al Sacro romano impero che all’Europa del XIX secolo. Ma a differenza del Sacro romano impero (per la maggior parte della sua storia, almeno), l’Unione europea lotta per risolvere le sue tensioni interne nel perseguimento dei principi e degli obiettivi dai quali è guidata. In tale contesto, procede all’unione monetaria pur in presenza della dispersione fiscale e di una burocrazia che contrasta con la democrazia. In politica estera abbraccia ideali universali, senza avere i mezzi per farli valere, e un’identità cosmopolita che confligge con le fedeltà nazionali, mentre l’unità europea è accompagnata da linee di frattura est e ovest e nord e sud e da un atteggiamento ecumenico nei confronti dei movimenti autonomistici (catalano, bavarese, scozzese) che mettono in discussione l’integrità degli Stati. Il modello sociale europeo dipende dal dinamismo dei mercati ma ne è anche messo in crisi. Le politiche dell’Unione patrocinano un’apertura tollerante, che si avvicina alla riluttanza ad affermare i valori caratteristici dell’occidente, proprio mentre gli Stati membri praticano politiche alimentate dai timori di influenze non europee.
L’importanza di Kissinger non è sinonimo di grandezzaIl risultato è un ciclo che mette alla prova la legittimità dell’Unione stessa. Gli Stati europei hanno ceduto porzioni significative di quella che un tempo era considerata la loro autorità sovrana. Dal momento che i leader europei sono ancora legittimati, o rifiutati, da processi democratici nazionali, sono tentati di condurre politiche di interesse nazionale e, di conseguenza, permangono contrasti tra le varie regioni d’Europa, di solito su questioni di carattere economico. Specialmente nel corso di crisi come quella iniziata nel 2009, la struttura europea viene perciò spinta a misure di emergenza sempre più intrusive semplicemente per assicurare la propria sopravvivenza. Ma quando ai cittadini viene richiesto di compiere sacrifici a vantaggio del progetto europeo, può non esserci una chiara comprensione di che cosa ciò comporti. I leader si trovano così davanti alla scelta tra ignorare la volontà del loro popolo o seguirlo nell’opposizione a Bruxelles. L’Europa è tornata all’interrogativo da cui era partita, ma ora esso ha una portata globale.
Quale ordine internazionale può essere ricavato da aspirazioni contrastanti e da tendenze contraddittorie? Quali paesi saranno gli elementi costitutivi dell’ordine, e in che modo metteranno in relazione le loro politiche? Di quanta unità ha bisogno l’Europa, e quanta diversità può sopportare? Ma nel lungo periodo la domanda inversa è forse ancora più fondamentale: data la sua storia, quanta diversità l’Europa deve conservare per ottenere un’unità significativa? Quando sorreggeva un sistema globale, l’Europa era una rappresentazione del concetto dominante di ordine mondiale.
I suoi uomini di Stato progettavano le strutture internazionali e le prescrivevano al resto del mondo. Oggi la natura dell’ordine mondiale emergente è essa stessa in discussione, e regioni esterne all’Europa avranno una parte determinante nel definirne le caratteristiche. Il mondo sta andando verso la formazione di blocchi regionali che svolgeranno il ruolo degli Stati nel sistema vestfaliano? Se è così, si arriverà all’equilibrio, oppure ciò ridurrà il numero degli attori principali al punto che la rigidità diventerà inevitabile e torneranno i pericoli dell’inizio del XX secolo, con blocchi costituiti senza alcuna flessibilità che tenteranno di sopraffarsi a vicenda? In un mondo in cui strutture continentali come l’America, la Cina, e forse l’india e il Brasile, hanno già raggiunto la massa critica, l’Europa come affronterà la sua transizione al rango di unità regionale? Finora il processo di integrazione è stato gestito come un problema sostanzialmente burocratico di aumento delle competenze dei vari organismi amministrativi europei, in altre parole come un’elaborazione di ciò che è già noto. Dove si manifesterà la spinta necessaria a definire l’intimo impegno per questi obiettivi? La storia europea ha dimostrato che l’unificazione non è mai stata conseguita con metodi prevalentemente amministrativi. Ha richiesto un unificatore, la Prussia in Germania, il Piemonte in Italia, senza la
cui leadership (e disponibilità a creare fatti compiuti) l’unificazione sarebbe rimasta un progetto nato morto. Quale paese o istituzione svolgerà tale ruolo? Oppure si dovrà escogitare qualche nuova istituzione o entità interna che tracci la rotta? E se l’Europa dovesse, per qualunque via, conseguire l’unità, come definirà il suo ruolo globale? Ha tre alternative: promuovere la partnership atlantica; adottare un posizione sempre più neutrale; oppure muoversi in direzione di un tacito patto con una potenza extraeuropea o con un gruppo di tali potenze. A quale suo passato si collegherà l’Europa? A quello recente di coesione atlantica o a quello storico a più lungo termine, caratterizzato da manovre per trarre il massimo vantaggio
in vista dell’interesse nazionale? In breve, ci sarà ancora una comunità atlantica, e se ci sarà, come io spero ardentemente, in che modo si definirà?
È una domanda che ci si deve porre su entrambe le sponde dell’atlantico. La comunità atlantica non può conservare la sua rilevanza semplicemente proiettando in avanti ciò che è stata. Pur cooperando a definire le questioni strategiche su scala globale, i membri europei dell’alleanza atlantica hanno in molti casi descritto le loro come politiche di amministratori di regole e distributori di aiuto neutrali. Ma sono spesso stati incerti sul da farsi quando questo modello veniva respinto o qualcosa andava storto nella sua attuazione. È necessario che a dare alla spesso invocata «partnership atlantica» un significato più specifico sia una nuova generazione plasmata da un insieme di esperienze diverse dalla sfida sovietica della guerra fredda. Spetta essenzialmente agli europei decidere l’evoluzione politica dell’Europa, ma i partner atlantici hanno in essa un notevole interesse. L’Europa in formazione avrà un ruolo attivo nella costruzione di un nuovo ordine internazionale, o si consumerà nei suoi problemi interni? La pura e semplice strategia dell’equilibrio di potere, propria delle tradizionali grandi potenze europee, è preclusa dalle realtà geopolitiche e strategiche contemporanee. ma neppure la nascente organizzazione di «regole e norme» da parte di un’élite paneuropea risulterà un veicolo sufficiente per la strategia globale se non sarà accompagnata da una qualche capacità di incidere sulle realtà geopolitiche.
Gli Stati Uniti, alla luce della storia e della geopolitica, hanno tutte le ragioni di sostenere l’Unione europea e di evitare la sua deriva in un vuoto geopolitico; separati dall’Europa nella politica, nell’economia e nella difesa, diventerebbero un’isola al largo delle coste dell’Eurasia, e l’Europa stessa potrebbe trasformarsi in un’appendice dei lembi dell’asia e del medio Oriente.
L’Europa, che meno di un secolo fa aveva quasi il monopolio della progettazione dell’ordine globale, corre il pericolo di tagliarsi fuori dalla ricerca contemporanea dell’ordine mondiale, identificando la propria costruzione interna con il proprio fine geopolitico fondamentale. Per molti tale esito rappresenta la realizzazione dei sogni di generazioni: un continente unito, in pace e che abiura la lotta per il potere. Ma, sebbene i valori abbracciati dall’Europa nella sua scelta del soft power siano stati spesso ispiratori, poche delle altre regioni hanno mostrato una dedizione così incondizionata a questo unico stile di azione politica, e ciò lascia intravede-
re rischi di squilibrio. L’Europa si volge al suo interno proprio mentre la ricerca di un ordine mondiale, alla cui ideazione essa ha contribuito in misura significativa, affronta una fase critica, il cui esito potrebbe travolgere qualunque regione che non contribuisca a plasmarlo. Si trova, quindi, sospesa tra un passato che cerca di superare e un futuro che non ha ancora definito.
Henry A. Kissinger
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