Scriveva Gabriel Audisio negli anni Trenta: «Tutti i porti italiani durante le notti d’estate diventano come degli acquari tropicali… pieni di elettricità, di colori e di musica, di calorose passioni che si diffondono dai giradischi tra le arie d’opera, le serenate e le canzoni marinare. È il regno della gioia. Così è Livorno».
Quest’anno la decima edizione di “Medì” ha rimesso Livorno al centro del Mediterraneo, descritto come luogo dell’anima ma anche attraversato endemicamente da ostilità, pregiudizi e guerre come accade oggi. Un misto di sogno e incubo di cui si è parlato a Livorno, cercando l'alternativa alla logica dello scontro. Intellettuali italiani, europei, arabi e turchi hanno colloquiato assieme sulla vita e la morte delle relazioni e dei rapporti che si connettono con una trama infinita attorno a questo mare nostrum, mare di tutti e di nessuno, che sfugge ad ogni categorizzazione e ad ogni tentativo di appropriarsene.
È la storia delle città del Mediterraneo che Livorno ha accolto tra le sue mura e le sue sponde: Costantinopoli-Istanbul descritta da Cengiz Aktar, l’autore del Malessere turco, uno dei pochi a riconoscere il “Metz Yeghern” (il grande male) degli armeni del 1915. Tunisi della professoressa di Princeton Nadia Marzouki oggi in esilio. E poi Marsiglia di Pascal Luongo, Alessandria di Ahmed Maher, Barcellona di Jaume Munoz Jofre. La città mediterranea che diventa racconto e narra della convivenza, affidata alle testimonianze di Pietro Spirito, giornalista e scrittore triestino, alla poesia di Tatjana Gromaca di Pola, all’ironia di Marco Gasperetti e all’energia cortese di Chiraz Gafsia che a Tunisi è una delle giovani esponenti della nascente architettura sociale.
E poi Genova, Cagliari, Napoli, Palermo, Catania, Siracusa, Salonicco, Smirne, Beirut, Haifa, Tel Aviv, Tangeri, Malta, Lesbo…, una collana di città mediterranee riunite di anno in anno a Livorno a dispetto delle divisioni e delle guerre e che vogliono tornare a parlare. Hanno tutte qualcosa da dire e molto da raccontare. L’idea è creare un tessuto di amicizia che non finisce. Le alternative le conosciamo ma non sempre ci crediamo, come il disarmo che oggi indietreggia; la memoria che viene usata come una clava; l’integrazione che è percepita come una minaccia.
Alla fine anche la pace può sembrare un’utopia. L’incontro tra le storie delle città del Mediterraneo dimostra tuttavia che non si può né si riesce del tutto a vivere senza e contro gli altri, non si recidono mai completamente le radici comuni né i legami storici: anche se cacciati o respinti, ritornano sempre.
Il Mediterraneo è ancora oggi un mare agitato dalla storia: basta guardare a Gaza. Medì vuole mantenere viva la fiammella della convivenza possibile prendendo a testimoni le città e la loro storia. Il convegno, voluto fin dal 2014 dalle Comunità di Sant’Egidio di Livorno e di Toscana, ha avuto quest’anno un momento essenziale con la voce delle donne del Mediterraneo. Delia Buonomo che ha salvato l’umanità della sua città di Ventimiglia nel piccolo Caffè Hobbit: una tappa accogliente per migranti in marcia verso la frontiera. «Il mio aiuto era diventato un “reato”. Sono stata condannata perché aiutavo, perché invece di dare un caffè offrivo aiuto ma nessuno potrà mai togliermi la libertà di difendere le persone».
Philippa Kempson con la sua famiglia a Lesbo ha letteralmente raccolto dalle acque i piccoli “mosè” in fuga dalle guerre di ogni dove. Trasferita dal Galles nel 1989 con l’idea di aprire un agriturismo, davanti ai naufragi ha inventato col marito Eric, i familiari e gli amici, il progetto Hope, per salvare vite. Helena Maleno ha fatto delle memorie e delle ingiustizie della frontiera sud occidentale del Mediterraneo (come la tragedia di Melilla del 2022) la battaglia della propria vita. Corinne Vella è la sorella della giornalista Dafne Caruana Galizia uccisa a Malta su ordine delle reti mafiose e criminali.
L’assessora Barbara Bonciani che ha portato a Medì “il porto delle donne”: lo speciale impegno per l’integrazione tra porto e città declinato al femminile. Aprendo i lavori Andrea Riccardi ha ricordato un Mediterraneo terra di globalizzazione ante litteram, dove tornano i fantasmi di una storia non pacificata e non perdonata. Questa storia permane e diviene la caratteristica del mare come anche il suo problema: come purificare la memoria dalla violenza, creandone una comune e non ostile? Per ora solo i poeti ci riescono.
La nazionalizzazione delle città mediterranee è stata un’amputazione provocando l’omogeneizzazione della loro pluralità e la morte del loro cosmopolitismo. Un vero “urbicidio” secondo la definizione di Nadia Marzouki. Alla fine siamo tutti davanti a uno scenario contraddittorio: un misto di gioia di vivere, di cultura della coabitazione ma anche di terribili sofferenze. Il tentativo di sopprimere l’altro, conquistandolo, scacciandolo o assorbendolo alla fine non funziona mai del tutto perché i fantasmi ritornano, ad esempio quelli della strage degli armeni in Turchia.
Come si fa a riacquistare la simpatia per la complessità di questo mare in un tempo in cui si riduce tutto all’omologazione, tagliando con il coltello – geopolitico e sentimentale – i confini tra amici e nemici? È la grande domanda che sentiamo particolarmente dolorosa davanti alla vicenda di Gaza e del 7 ottobre, alla quale la resistenza delle donne può offrire un inizio di risposta: quel continuo tentativo femminile di trovare le strategie giuste per risparmiare il sangue.
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