Il mondo si sta disoccidentalizzando? Lo ha sostenuto il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov: «Dopo 500 anni finisce l’egemonia occidentale globale». Lo dicono vari esperti citando l’inevitabile ascesa cinese o dei Brics. Lo sostengono i seguaci nostrani della teoria del declino. Lo dimostrerebbe la guerra a Gaza con un isolamento quasi totale dei sostenitori di Israele. Ma anche il conflitto tra Russia e Ucraina mostra un Occidente non più tanto popolare nel mondo: nonostante l’aggressione, Mosca non è isolata. Vladimir Putin ha iniziato a uscire dalla solitudine coatta in cui si era appartato fin dall’inizio della pandemia, compiendo vari viaggi tra i quali un’importante visita nel Golfo.
Le sanzioni occidentali non hanno avuto effetti, mentre la controffensiva ucraina è fallita. La Russia ha spregiudicatamente rotto l’architettura internazionale di pace del post 1945 in Europa (aggiornata ad Helsinki nel 1975), ma – almeno per ora – non ne paga le conseguenze. La fine della Seconda guerra mondiale è ormai lontana e i russi ritengono che le regole erano già mutate dal 1989 ma a senso unico filo occidentale e mediante un’inaccettabile “Schengen militare” Nato. Ora la Russia vuole la sua rivincita e l’aggressione contro Kiev viene giustificata come reazione alla presunta “vittoria occidentale” nella Guerra fredda. In altre parole: la storia non è finita e quella guerra continua.
L’occidente stesso si era illuso di aver vinto senza sparare un colpo. Le cose sono cambiate e, mentre l’Europa inizia a dubitare di sé stessa, il resto del mondo crede di avere tra le mani un’opportunità unica. Paesi dalle mire neoimperiali (ricostruite ad arte dalla propaganda) rialzano la testa: le guerre della Russia ma anche quelle della Turchia e dell’Iran. La fine del Nagorno Karabakh è opera di Ankara, così come il crollo della pace mediorientale (con i conflitti in Siria, Libano, Yemen, Iraq ed ora a Gaza) è favorito da Teheran.
La retorica antioccidentale si allarga e trasforma il multilateralismo in un “minilateralismo” à la carte o a geometria variabile, senza più arbitri né gendarmi internazionali (già molto deprecati in passato). Proprio mentre l’umanità entra in una fase in cui le sfide globali necessiterebbero più cooperazione internazionale (come sull’ambiente ad esempio), il mondo si divide in rapporti di forza conflittuali e rissosi. Lo scenario preferito dai sovranismi è questo: un teatro di battaglia permanente in cui gli errori dell’uno giustificano quelli dell’altro e i cattivi esempi fanno scuola, come si vede in Venezuela dove un presidente che vuole essere rieletto “riscopre” un antico conflitto frontaliero, minacciando guerra. La cifra del tempo è la contrapposizione: si crede che da ogni duello si può strappare sempre qualcosa. Nascono così situazioni ambigue e in bilico costante. La Siria è un esempio: in quel teatro di guerra c’è una collaborazione competitiva tra Russia e Turchia così come accordi silenziosi tra Russia e Usa per evitare uno scontro diretto.
Addirittura esiste un patto tra Russia, Turchia e Israele per permettere a quest’ultimo di bombardare la Siria senza che vi sia alcuna reazione (per ora). Malgrado tutte le intemperanze verbali, Israele mantiene la decisione di non applicare le sanzioni occidentali contro Mosca. Si tratta di una logica transazionale, in cui si scambia sulla base di interessi contingenti, senza strategia a lungo termine. Ciò produce un contesto di difficile lettura, volatile, cangiante e molto fragile. Certamente l’Occidente paga i suoi errori: l’invasione dell’Iraq del 2003 senza avallo Onu; l’intervento militare contro la Serbia nel 1999; la guerra in Libia del 2011; il ritiro dall’Afghanistan dopo 20 anni di guerra ecc. Paga pure il suo egoismo durante la pandemia del Covid e tanti “piani Marshall” promessi e mai attuati. Molti esperti del sud globale dicono che per cambiare segno all’attuale panorama fatto di incessanti contrapposizioni, l’Occidente dovrebbe uscire dalla sindrome secondo la quale “i suoi problemi sono quelli del mondo”, usando più lungimiranza e generosità. Ma a ben vedere tale disoccidentalizzazione non avviene a favore di nuove potenze globali, come speravano la Russia o la Cina.
Si tratta piuttosto di un “level playing field”, come si dice: una situazione più paritaria, una nuova partita a condizioni più egualitarie che permette ai diversi Stati di compiere scelte autonome e di vagliarle in proprio. Questo può non piacere e soprattutto potrebbe causare contraccolpi ma allo stesso tempo non significa che il mondo si sta schierando contro l’Occidente. Soltanto si vorrebbero avere più opzioni per poter decidere senza troppe interferenze, bilanciandole e confrontandole di volta in volta.
Il mondo nuovo
È questo il nuovo mondo a cui ci dobbiamo abituare: nulla è più dato per scontato, nemmeno la superiorità tecnologica, politica, giuridica o morale dell’Occidente (che a noi occidentali pare evidente ma agli altri non più). Infatti le stesse potenze medie rifiutano di schierarsi tra Washington, Pechino o Mosca. Non lo fanno più nemmeno i paesi africani. Ormai il mondo è entrato in una fase nuova in cui ognuno fa da sé.
Di conseguenza assistiamo ad una serie di situazioni in apparenza contradditorie, in cui c’è un mix di way of life occidentale, legami economici con la Cina, accettazione di regimi autoritari e richiesta di diritti. Una partita a doppi o multipli standard permanenti. Sta nascendo un soft power ibrido in cui convivono sfaccettature diverse, frutto della globalizzazione che ha rimescolato tutte le carte e che non appartiene più a nessuno. Non esiste più un assoluto proprietario di questo nuovo mondo: per ora tocca partecipare a continue “riunioni di condominio”, forse non piacevoli, ma molto popolari e piuttosto alla pari.
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