Secondo Hamas, Saleh al Arouri è stato colpito in un attacco in un quartiere meridionale della capitale libanese. Responsabile dell’organizzazione terroristica in Cisgiordania, era anche una sorta di ambasciatore presso l’Iran. Israele non conferma per ora l’accaduto, ma è il tipo di reazione che serve al premier, un «morto che cammina» delegittimato dagli alleati e incalzato da ogni parte
Un raid aereo in un quartiere residenziale di Beirut ha ucciso il numero due di Hamas, Saleh al Arouri, a cui il governo israeliano dava la caccia da prima dell’attacco del 7 ottobre. Attraverso la radio al Aqsa, l’organizzazione terroristica ha confermato la morte del comandante.
A ucciderlo, secondo Hamas, è stato un drone israeliano che ha colpito il suo rifugio nel quartiere di Dahiyeh, nella parte sud della capitale libanese, dove aveva luogo un incontro fra alcuni capi del movimento.
Circolano versioni contrastanti e non confermate su altre persone uccise o ferite nell’attacco. L’esercito israeliano non ha immediatamente confermato la notizia e i portavoce si sono limitati a dire che non commentano le notizie riportate da media stranieri. Si tratta di un colpo molto duro per Hamas in una fase delicatissima del conflitto per il governo di Benjamin Netanyahu.
Arouri era formalmente il capo di Hamas in Cisgiordania, ma negli ultimi tempi è stato molto spesso a Beirut, diventando un importante ufficiale di collegamento con Hezbollah. Sarebbe stato al centro di un movimento all’interno di Hamas che ha lavorato negli anni per consolidare i legami con l’Iran.
A Ramallah molti sono scesi nelle strade per chiedere vendetta, mentre il governo israeliano ha faticato per contenere le esternazioni dei suoi membri sulle responsabilità di Israele. La notizia potrebbe dare un’iniezione di credibilità a Netanyahu, sempre più isolato e delegittimato
La Corte
All’indomani della decisione della Corte suprema di Israele di bocciare la clausola fondamentale della contestata riforma della giustizia voluta dal governo Netanyahu, i primi segnali indicano che per ora lo scontro tra poteri dello stato sarà rinviato.
Per lo meno sino a quando la guerra di Gaza non finirà. Lunedì la Corte suprema aveva deciso di annullare la cosiddetta «clausola di ragionevolezza”, un emendamento ad una delle leggi fondamentali di Israele, che nel paese ebraico hanno rango semi-costituzionale.
Questo emendamento era stato votato dal parlamento l’estate scorsa, prima della guerra con Hamas, dando luogo ad ancora più violente proteste da parte della società civile, che settimanalmente era scesa in piazza da quando la riforma della giustizia era stata annunciata esattamente un anno fa.
Il colpo è stato sicuramente duro per il governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu, la cui popolarità è in caduta libera dall’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Tuttavia, le prime reazioni sembrano indicare che non ci sia a breve l’intenzione di proseguire con questo piano di riforma, che il governo ha sempre sostenuto come necessario per un riequilibrio tra i diversi poteri in un paese dove non esiste una Costituzione scritta, ma solo una serie di leggi fondamentali che regolano, non sempre in maniera chiara, il ruolo delle diverse istituzioni. Ora il focus e unica ragion d’essere dell’esecutivo è gestire la guerra. «Il governo non può essere indebolito perché è già morto.
È un morto che cammina. L’unica ragione per cui è in carica è perché siamo in guerra», dice Emmanuel Navon, professore di politica internazionale all’Università di Tel Aviv e Ceo di ELNET in Israele. «A causa di Netanyahu, proprio perché ha deciso di perseguire questa riforma, ora la Corte ha più poteri di prima».
La Corte non solo ha annullato l’emendamento sulla clausola di ragionevolezza, che permetteva alla Corte stessa di opporsi a leggi emanate dal parlamento se ritenute contrarie ai principi giuridici fondamentali del Paese, ma ha anche stabilito, per la prima volta nella storia di Israele, di avere la prerogativa di annullare una legge fondamentale.
«Ora la società è unita perché siamo in guerra. Ma credo che la questione della riforma della giustizia emergerà di nuovo dopo il conflitto», spiega Navon. La decisione è stata criticata duramente dal ministro della Giustizia Yariv Levin, mentre il Likud, il partito del premier Netanyahu, ha sottolineato che la posizione dei giudici è «in contrasto con il desiderio del Paese di unità, specialmente durante un periodo di guerra».
Con toni decisamente più aggressivi il deputato Zvika Fogel, del partito di estrema destra Otzma Yehudit e direttore del Comitato di Sicurezza nazionale ha dichiarato su X: «Prima distruggeremo Hamas, dopo ci occuperemo di Hezbollah e, per dessert, metteremo ordine nella Corte Suprema».
In concreto, però, il governo per ora non ha indicato se e come reagirà alla decisione della Corte. Benny Gantz, leader centrista ora in testa nei sondaggi, che è entrato nel governo di guerra presieduto dal premier dopo il 7 ottobre, ha invitato tutti a rispettare la decisione, ma ha anche sottolineato la necessità di rimanere uniti. «Oggi abbiamo solo un obiettivo comune: vincere la guerra, insieme» ha scritto su X.
Riservisti e manifestanti
Dall’inizio del conflitto i vari comitati che hanno animato le proteste settimanali si sono riconvertiti nel giro di pochi giorni in gruppi di supporto all’esercito e alle popolazioni vittime dell’attacco di Hamas, ricompattando un Paese lacerato e indebolito dallo scontro sulla riforma della giustizia. I circa 340.000 riservisti richiamati, molti dei quali avevano dichiarato di non voler prestare servizio in protesta contro la riforma, si sono presentati al fronte dopo aver ricevuto la chiamata dell’esercito.
«Sosteniamo l’indipendenza della Corte, rispettiamo la sua decisione e cerchiamo di evitare manifestazioni di divisione e di odio. L’Israele del dopo 7 ottobre non deve tornare alla divisione tra parti della sua popolazione», ha detto Brothers in Arms, organizzazione di riservisti estremamente contraria alla riforma e una delle anime principali della protesta.
La scienziata Shikma Bressler, una delle leader del movimento anti-riforma della giustizia, ha posto l’accento sul fatto che la decisione della Corte rafforza la protezione dei soldati dell’Idf, l’esercito israeliano, contro la possibilità di essere processati dalla Corte Internazionale di giustizia dell’Aia.
Una Corte, in qualche maniera assoggettata all’esecutivo, sarebbe considerata una difesa democratica insufficiente per contrastare eventuali crimini commessi dall’esercito. Il tema è particolarmente rilevante ora, dopo che il Sudafrica ha accusato Israele di voler perpetrare «un genocidio» a Gaza e ha chiesto l’intervento della Corte dell’Aia. Il governo israeliano ha fatto sapere tramite il suo portavoce che Israele si difenderà dalle accuse del Sudafrica all’Aia.
Ad aumentare la pressione giudiziaria nei confronti delle autorità israeliane i media locali hanno ieri dato conto di una denuncia presentata da 42 sopravvissuti al rave vicino Gaza, che hanno citato per danni i servizi segreti interni Shin Bet, l’esercito, la polizia e il ministero della Difesa del paese, accusandoli di negligenze di vario tipo che hanno permesso ad Hamas di perpetrare il sanguinoso attacco che ha scatenato la guerra di Gaza. In totale, hanno chiesto un risarcimento danni di circa 56 milioni di dollari.
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