- 13 cartucce recanti il marchio Cheddite o il logo 12*12*12*12*, utilizzato dall’azienda francoitaliana, sono state rinvenute dal 28 settembre a fine ottobre in otto città diverse dell’Iran interessate dalle proteste contro il regime.
- Il regolamento 359 del 2011 del Consiglio dell’Unione Europea vieta l’esportazione diretta o indiretta in Iran di attrezzatura militare che possa essere utilizzata nella repressione del dissenso nel paese.
- Le cartucce italiane potrebbero essere arrivate in Iran attraverso una triangolazione commerciale che passa dalla Turchia, come era già emerso con il ritrovamento delle stesse cartucce in Myanmar nel 2021.
FOTO
(AP Photo/Middle East Images, File)
Il 28 settembre scorso, a 12 giorni dalla morte di Mahsa Amini, centinaia di persone si trovavano in piazza a Yazd per protestare contro il regime iraniano. Quando le forze di sicurezza sono intervenute, sul terreno sono rimasti lacrimogeni, proiettili e cartucce di fucili. Una di queste aveva il logo di Cheddite, un’azienda franco-italiana. Nelle settimane successive ne sono state trovate altre con lo stesso marchio.
Cartucce italiane
Cheddite ha la sua sede italiana a Livorno. Si definisce la più grande produttrice al mondo di cartucce vuote, che vengono vendute poi ad altre aziende che le riempiono di esplosivo o pallini.
France24 ha ricevuto dall’Iran le foto di 13 cartucce recanti il marchio Cheddite o il logo 12*12*12*12*, utilizzato solo dall’azienda franco-italiana secondo fonti del media francese. Queste cartucce sono state rinvenute tra settembre e ottobre in otto città diverse: Mahabad, Rasht, Karaj, Teheran, Sanandaj, Kemyaran, Yazd e Shiraz.
Il ritrovamento di questo materiale è un problema. Il regolamento 359/2011 del Consiglio dell’Unione Europea, emendato nel 2012, vieta infatti l’esportazione diretta o indiretta in Iran di attrezzatura militare che possa essere utilizzata per fini repressivi. Le cartucce fanno parte della lista.
L’asse Italia-Turchia-Iran
Cartucce Cheddite nel 2021 erano state ritrovate anche in Myanmar, usate dal regime militare. Il Manifesto aveva ricostruito il possibile percorso che le aveva portate nel paese, per cui vige un embargo europeo all’export di attrezzatura militare.
Cheddite aveva relazioni commerciali con la turca Yavasçalar (Yaf), che a sua volta era in affari con il Myanmar.
In Siria, a Ibleen, nel 2012 sono state ritrovate cartucce Cheddite. Come scrive N.R. Jenzen-Jones in un paper del 2014 della Small Arms Survey, «Il timbro Cheddite sulla testa delle cartucce è dovuto all'uso di teste di ottone Cheddite da parte di Yavaşçalar».
La Yavaşçalar ha precedenti: nel 2012 325mila sue munizioni erano state spedite in Libia in violazione dell’embargo sulle armi. Altre 500mila lungo la stessa rotta vennero sequestrate nel 2015, un caso di cui si occupò perfino il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Il Panel of Experts sulla Libia chiese spiegazioni alla Turchia ma anche all’Italia, per il ritrovamento di componenti italiane, marchio “Yavaşçalar for Cheddite”.
In Iran potrebbe essere andata allo stesso modo. Secondo l’Onu, l’Italia dal 2011 ha esportato 85,8 milioni di euro di cartucce alla Turchia, che a sua volta nello stesso periodo ha esportato 7,06 milioni di euro di cartucce all’Iran. Tracce di un’asse Italia-Turchia-Iran legata alla Yavaşçalar le abbiamo trovate scandagliando diversi forum iraniani di appassionati di caccia, come iran-airrifle.com.
Nel marzo del 2013 un utente racconta di un rivenditore ad Ahvaz che distribuisce cartucce straniere, in particolare italiane. Sempre nel 2013 un altro utente chiede informazioni sulle sue cartucce, che alla base presentano le scritte Yavascalar, Yaf e Cheddite.
Un altro utente parla di una serie di cartucce che hanno le scritte Yaf sul cartone, Cheddite sull'ottone e Yavashchalar sulla plastica. Un utente nel 2014 parla invece di un carico di cartucce dell’azienda iraniana Shahin con la scritta Cheddite alla base e la dicitura di provenienza italiana sulla scatola.
Scarsi controlli
Abbiamo contattato Cheddite per ottenere chiarimenti, ma dall’azienda non hanno voluto rilasciare dichiarazioni. Qualche lume al riguardo ce l’ha allora dato Carlo Tombola di Opal, Osservatorio permanente sulle armi leggere. «Le munizioni leggere non sono facilmente controllabili, le triangolazioni portano le munizioni lì dove c’è la domanda», spiega. La Turchia «non ha alcuna legislazione di controllo e quello che arriva lì riparte poi per chissà dove».
La vendita del materiale può essere diretta, oppure passare da un intermediario commerciale, che la compra e la rivende, o da un intermediario logistico.
Secondo l’avvocato Giuseppe Sambataro, che si occupa di diritto penale internazionale, «ogni azienda esportatrice di armi o loro componenti dovrebbe compiere una valutazione dei rischi derivanti dalla vendita».
Oltre 200 oftalmici iraniani nei giorni scorsi hanno firmato una lettera in cui si denuncia che circa 500 persone nelle ultime settimane sono state ricoverate per danni ottici rimediati durante le proteste. Il motivo è l’uso da parte delle forze di sicurezza del regime di cartucce riempite con pallini. Come quelle made in Italy trovate per terra a Yazd e nelle altre città del paese.
© Riproduzione riservata