La guerra in Siria non è finita: forse ce ne eravamo dimenticati ma i combattimenti sono proseguiti a fasi alterne, in particolare a nord, nella zona sotto controllo curdo del Rojava. In maniera del tutto inattesa si è allargata anche la sacca di Idlib: i miliziani di Hayat Tahrir al Sham (HTS, organizzazione per la liberazione del Levante) sono giunti ad Aleppo prendendola sotto il loro controllo.

Due le caratteristiche iniziali di tale operazione: si è svolta senza sparare un colpo e la città è stata coinvolta per intero, mentre quando si combatteva ferocemente, la parte lealista di Damasco aveva comunque sempre mantenuto il controllo di una parte. È accaduto ciò che alcuni avevano previsto: l’indebolimento progressivo delle forze russe, erose da due anni di guerra in Ucraina, ha lasciato un vuoto che nemmeno l’esercito di Assad ha cercato di riempire.

Di conseguenza quest’ultimo si è ritirato e HTS è entrata in città senza combattere. Un colpo per il regime siriano che tuttavia non prelude a una sconfitta. Piuttosto in Siria si ripete ciò che abbiamo già visto in Libia o in Yemen: la divisione del paese.

Non ci sono soli i curdi del Rojava a mettere l’unità siriana a repentaglio, ora anche gli ex combattenti di al Qaeda. Infatti HTS è l’ultimo avatar di una lunga ricomposizione di gruppi fondamentalisti armati attorno al nucleo qaedista, a iniziare da al Nusra, poi trasformatosi in Ahrar Al Shams e ora in HTS, con l’apporto di altre fazioni.

La vecchia guerra contro l’ISIS ha portato l’ex nemico numero 1 dell’Occidente a divenire – mediante la Turchia – un “quasi-alleato” contro Assad, a dimostrazione che doppi standard e trasformismo sono sempre in agguato.

Prima di riuscire a imporsi a Idlib, HTS ha dovuto tuttavia lottare contro vari altri gruppi armati rifugiati nell’enclave, sotto l’occhio attento di Ankara che ha arbitrato tale duello intestino degli ultimi anni, schierandosi sempre con i più pragmatici. Abu Mohammad al-Julani è l’emiro di HTS che qualche anno fa aveva tentato una riconciliazione con i cristiani dell’enclave, promettendo di ridare loro proprietà e terre. 

La Russia ha reagito in ritardo con bombardamenti dal cielo, che però non possono avere effetto se non c’è nessun boots on the ground.

La Turchia esce vincente da questa ulteriore fase della guerra siriana: ora saranno da verificare gli effetti sul vicino Rojava, difeso da poche centinaia di soldati americani che affiancano i peshmerga del YPG, le unità di protezione popolare. I curdi-siriani controllano ancora una vasta area a nord-est della Siria, in cui tuttavia non sono la maggioranza e dove non sono riusciti a intavolare buone relazioni con i clan arabi e le minoranze cristiane.

È nota una polemica sulla lingua nelle scuole, quando i curdi hanno cercato di imporre la loro. È possibile che il presidente turco Reccep Erdogan voglia utilizzare ora HTS contro i curdi siriani per prendere tutto il nord e creare così una fascia di sicurezza ben più vasta di quella di 40 km concordata con gli americani.

Gli altri alleati di Assad si erano sfarinati già prima del ritiro russo, come Hezbollah sottoposto all’attacco israeliano, e gli stessi iraniani. Damasco sta perdendo chi l’aveva protetta fino a oggi e non è esclusa una ripresa della guerra di Siria in più grande stile.

Più probabilmente i vari attori si stanno riposizionando in vista di tempi lunghi e mediante accordi segreti. Ciò spiegherebbe la presa di Aleppo ma anche tanti altri piccoli fatti come il progressivo raffreddamento delle relazioni con Mosca e con Teheran. Assad risente anche della pressione israeliana che cerca di bloccare ogni passaggio di armi tra la Siria e il Libano.

La fase attuale prelude forse a una completa ristrutturazione geopolitica dell’area? Sicuramente stiamo assistendo a un ridimensionamento dell’asse sciita e della capacità russa di influire in Medio Oriente.

Ora Ankara avrà la possibilità di concentrarsi sul Rojava che vede come il fumo agli occhi, salvo esserne impedita da Washington. Ma gli americani potrebbero usare i curdi come carta di scambio nella normalizzazione israelo-palestinese. A questo gioco, com’è noto, Erdogan è forse il leader più abile. 

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