A Hollywood gli sceneggiatori americani hanno scioperato a lungo, sbarrando la strada all’uso dell’Intelligenza Artificiale. A Detroit le maestranze dei tre giganti dell’automobile (GM, Ford, Stellantis) hanno rivelato uno spessore politico e un piglio negoziale dati per scomparsi da decenni. Il tratto comune è che il “lavoro vivo” si è preso la scena rispetto a tecnica e finanza
A Hollywood gli sceneggiatori americani hanno scioperato a lungo guadagnando molteplici vantaggi tra cui, in particolare, sbarrare la strada all’uso dell’Intelligenza Artificiale al posto loro. A Detroit nel contempo le maestranze dei tre giganti dell’automobile (GM, Ford, Stellantis) hanno rivelato uno spessore politico e un piglio negoziale che erano dati per scomparsi da decenni.
Il tratto comune delle due vicende è che il “lavoro vivo” si è preso la scena rispetto a tecnica e finanza e subito ci chiediamo se si tratti di casi circoscritti o di sommovimenti più profondi e tali da rimodellare le mappe culturali e sociali del mondo Occidentale. E così torna utile guardare a ciascuna delle due vicende sindacali per coglierne i tratti specifici rispetto a quelli di portata generale.
AI e racconto
Il tratto più specifico della vicenda di Hollywood è certamente quello dell’Intelligenza Artificiale perché l’audiovisivo è il mondo del racconto e gira attorno alla scrittura delle storie che, come gli sceneggiatori sanno per mestiere, si fondano su costanti elementi strutturali rispetto ai quali lo sforzo creativo si volge alla escogitazione di “variazioni”.
Si sa in partenza che il Principe di turno conquisterà la Biancaneve d’occasione, ma tutto da vedere è il modo. È così che film e serie sono individui “uguali, ma diversi” come gli umani, gli animali, le piante, le nuvole, le rocce. E il pubblico sta al gioco riconoscendo le costanti delle trame e dei caratteri, ma disponendosi a gustare le “trovate” che scandiranno il succedersi di baci, tradimenti o atti d’eroismo.
Ebbene, se c’è una cosa che i sistemi AI sono capaci di fare con meccanica efficienza è di scombinare e ricombinare, restando attive senza sosta né fatica, le concatenazioni delle vecchie storie fino a scovarne variazioni remote e inesplorate, la maggior parte da buttare, ma moltissime preziose.
In fondo si tratta solo di azzardare ogni possibile reazione in risposta ad ogni mossa e così via infilandosi nei percorsi più assurdi, ma anche indovinandone tanti cui non si sarebbe mai pensato. È così che gli ottusi e inconsapevoli computer preparano ogni possibile assortimento di mosse e contromosse e prevalgono sui campioni degli scacchi.
Ecco così che gli undicimila sceneggiatori hanno deciso di reagire “qui ed ora, prima che lo sceneggiare diventi un mestiere da computer vagliati da un migliaio di umani, a dire tanto. E sono due le circostanze per cui gli è riuscito il colpo rispetto a tante altre categorie che lo hanno subito ben condito dalla retorica del progresso tecnologico.
In primo luogo gli sceneggiatori disponevano dell’arma che nei contratti firmati nei decenni fra scrittori e produttori non c’è traccia di clausole che fissino se e come usare i prodotti d’archivio per filtrarne e memorizzarne le strutture e le dinamiche nel corpo dell’AI con il cosiddetto machine learning.
E sì che quei documenti si basano sul principio che circa l’uso del prodotto, sia tv, radio, cinema, cassette, riduzioni teatrali, pupazzi, libri, fumetti, video giochi e così via, tutto ciò che non è espressamente concordato ha da intendersi vietato o da regolare con specifici accordi successivi. Solo se e quando questi accordi ci saranno le AI potranno diventare cloni automatici di Truman Capote (celeberrimo sceneggiatore americano) e sfornare concept, script, sceneggiature e dialoghi a costi miserevoli e a coriandoli.
In secondo luogo lo sciopero ha colto le imprese (Disney, Warner, Netflix e compagnia) in mezzo al guado, mentre gli scrittori artificiali sono, a dire molto, solo embrioni e nessun robot era ancora in grado di fare da crumiro.
Da qui il rischio che prolungandosi il fermo della propria produzione altri da altri mondi cogliessero l’occasione per prendergli i clienti cavalcando l’onda di un intrattenimento mediatico che non conosce né forse mai conoscerà crisi generate da saturazione del consumo perché la platea mondiale conta sull’espansione a macchia d’olio del ceto medio pagante asiatico e africano e l’umanità è non può sfuggire all’inseguire nelle storie le incertezze, i sogni e le paure della condizione esistenziale.
Risveglio del lavoro vivo
Detto delle ragioni di forza degli sceneggiatori, va sottolineato che quegli undicimila intellettuali hollywoodiani hanno fornito il punto d’appoggio alle rivendicazioni degli attori e dei vari mestieri che realizzano i prodotti, anch’essi esposti alla minaccia delle automazioni.
Tanta risolutezza e convergenza dalla parte del “lavoro vivo” nel rimettere al loro posto gli dei della tecnologia e della finanza basterebbe da sola a far notizia. Peraltro, il lavoro vivo si faceva sotto nel frattempo anche a Detroit con scioperi, picchetti e manifestazioni diversi da sommosse di arrabbiati al punto da richiamare sul posto una vecchia volpe come Biden.
Il tutto nonostante che da anni paressero evaporate le basi materiali dell’idea di “classe” e di iniziative sindacali capaci di fare anche politica. La causa di fondo del miracolo sta forse nel “reshoring”, come la stampa economica classifica la recente propensione a riportare nel paese d’origine la produzione attirate dalle basse paghe dei paesi in confidenza con la fame.
E se è vero che le delocalizzazioni e non le dissertazioni sulla crisi delle ideologie hanno frantumato la forza contrattuale del lavoro vivo è anche vero che ri-localizzando la produzione nel Paese d’origine il fenomeno s’inverte perché le paghe altrui non sono più ciotole di riso e quelli che erano Paesi da sfruttare ora paiono all’Occidente rivali dei quali è meglio diffidare.
Il “secolo breve” ricresce?
Nelle vicende di Hollywood e Detroit, tra i mestieri dello spettacolo che si fregano le mani e i colletti blu dell’automobile che alzano la cresta ci sono infinite differenze a partire dall’abisso fra più e meno istruiti.
Ma se in entrambi i casi torna in evidenza la contrapposizione tra lavoro vivo e capitale forse ne seguiranno visioni prospettive e comportamenti elettorali che seppelliranno le derive populiste, oggi negli USA e poi da noi. Hai visto mai che il “secolo breve” della socialdemocrazia trionfante, dato per morto con gli ‘80, abbia ripreso a scorrere fra Hollywood e Detroit?
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