- Il Vaticano ha investito tanto della propria credibilità e della propria capacità d’azione sulla possibilità di mantenere aperta una linea di dialogo con Mosca.
- Per questo ha pagato un prezzo in termini di diffidenze e malcontento da parte ucraina (comprese le critiche della chiesa greco-cattolica in comunione con Roma).
- Così ha dovuto rivolgersi alla Casa Bianca per cercare aiuto nella difficile mediazione umanitaria che sta portando avanti.
Il paradosso è questo: il Vaticano, dopo aver investito tanto della propria credibilità e della propria capacità d’azione sulla possibilità di mantenere aperta una linea di dialogo con Mosca, ed aver anche pagato per questo un prezzo in termini di diffidenze e malcontento da parte ucraina (comprese le critiche della chiesa greco-cattolica in comunione con Roma), ha dovuto rivolgersi alla Casa Bianca per cercare aiuto nella difficile mediazione umanitaria che sta portando avanti.
Di più, mentre a Washington l’inviato del papa, il cardinale Matteo Zuppi, ha incontrato il presidente Joe Biden, cattolico praticante, oltre ad alcuni parlamentari del Congresso, al Cremlino il cardinale italiano ha potuto avere colloqui solo con funzionari di seconda fascia: né il presidente Vladimir Putin né il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, hanno parlato personalmente con l’inviato del pontefice.
Il leader ucraino Volodymyr Zelensky, da parte sua, è stato in Vaticano lo scorso maggio dove ha incontrato personalmente il papa. Quindi, insieme ad altri esponenti del suo governo, ha ricevuto il presidente dei vescovi italiani a Kiev. È noto peraltro che l’Ucraina abbia chiesto aiuto alla Santa sede nel complicato negoziato umanitario per il rilascio delle migliaia di bambini e adolescenti (si parla di circa 19mila bambini) rapiti dalle forze d’occupazione russa.
Allo stato delle cose la trattativa sembra quasi impossibile, ma vedremo comunque fin dove riuscirà ad andare la Santa sede col suo tentativo. Certo, fra Putin che sta procedendo a una purga interna agli apparati per punire gli alti gradi militari che criticano sempre più apertamente la fin qui disastrosa conduzione della guerra in Ucraina, e il presidente Biden che ha appena deciso la consegna delle bombe a grappolo alle forze armate di Kiev, lo spazio per una mediazione umanitaria sembra davvero ridotte al lumicino.
Zuppi alla Casa Bianca
È anche vero che lo stesso Biden sa che la guerra non può durare all’infinito, se non altro perché fra meno di un anno e mezzo, il 5 novembre del 2024, si voterà per la Casa Bianca e arrivare a quella data con un conflitto che impazza in Europa ma consuma risorse anche negli Usa, non è un buon viatico elettorale per un secondo mandato.
È dunque fra queste ipotetiche fragilità politiche, fra Mosca e Washington, che sta cercando di inserirsi la Santa sede col suo tentativo. Magari sperando che il mancato rinnovo dell’accordo sul grano da parte russa acceleri la pressione internazionale per la fine negoziale del conflitto.
Resta da dire, però, che la sostanziale indifferenza con la quale è stata accolta la missione di Zuppi a Mosca, e i molti paletti posti all’inviato del papa a Kiev, sembrano aver ormai depotenziato la missione vaticana che pare fra l’altro trovare ascolto, soprattutto per rispetto del papa e del suo magistero morale, in particolare in occidente.
Martedì sera Zuppi ha incontrato Biden. Un comunicato diffuso dalla Casa Bianca definiva i contenuti della visita nel seguente modo: «Il presidente Biden e il cardinale Zuppi discuteranno delle diffuse sofferenze causate dalla brutale guerra della Russia in Ucraina.
Discuteranno anche degli sforzi degli Stati Uniti e della Santa sede per fornire aiuti umanitari alle persone colpite e dell’attenzione della sede pontificia al rimpatrio dei bambini ucraini deportati con la forza da funzionari russi». Il tema c’è, i toni un po’ meno; si vedrà se sotto la durezza delle parole si muove qualcosa di concreto.
La missione umanitaria
Va detto, in ogni caso, che “ripiegare” sulla missione umanitaria e renderla pubblica, non è detto che sia stata una buona scelta da parte vaticana. In effetti per la Russia di Putin si tratterebbe di ammettere di aver commesso un crimine di guerra, e se è vero che proprio per questo la Corte penale internazionale ha perseguito il presidente e altri funzionari russi, è un fatto che aprire un negoziato alla luce del sole su questo aspetto, costituirebbe un danno d’immagine colossale.
A meno che tutto proceda in modo sotterraneo e con reciproco accordo e soddisfazione delle parti coinvolte. Scenario che, a mercoledì, appare comunque complicato.
Resta da vedere se, tornando a uno scenario negoziale più ampio, la Santa sede possa davvero far valere le ragioni della pace, magari allargando la squadra dei mediatori in campo, rompendo così l’isolamento in cui sembra essersi chiuso il Vaticano in questa fase della crisi e provando in tal modo a ricostruire un tessuto di alleanze internazionali, oltre i protagonisti principali del conflitto schiacciati ciascuno nel proprio ruolo, per esercitare una pressione in favore di una trattiva che spezzi la logica delle bombe.
© Riproduzione riservata