- L’India ha davvero “deluso il mondo” alla Cop26? Secondo le dichiarazioni del suo primo ministro, Narendra Modi, il pachiderma asiatico si impegnerà a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2070.
- Vent’anni dopo Europa e Stati Uniti, hanno sottolineato in tanti. Eppure, gli esperti di energia verde e subcontinente si sono dimostrati di tutt’altro avviso: «Gli impegni indiani sono di gran lunga migliori di quanto suonano», avvertono.
- «L’obiettivo più importante non riguarda il 2070, ma il 2030. In soli nove anni l’India si impegna a triplicare la sua capacità elettrica da solare, eolica e idroelettrica: oggi raggiunge i 150 gigawatt, entro il 2030 raggiungeremo i 500 gigawatt di fonti rinnovabili» conferma Ulka Kelkar, direttrice del programma clima del World Resources Institute India.
L’India ha davvero “deluso il mondo” alla Cop26? Secondo le dichiarazioni del suo primo ministro, Narendra Modi, il pachiderma asiatico si impegnerà a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2070. Vent’anni dopo Europa e Stati Uniti, hanno sottolineato in tanti. Eppure, gli esperti di energia verde e subcontinente si sono dimostrati di tutt’altro avviso: «Gli impegni indiani sono di gran lunga migliori di quanto suonano», avvertono.
«Le buone notizie non mancano. L’obiettivo più importante non riguarda il 2070, ma il 2030. In soli nove anni l’India si impegna a triplicare la sua capacità elettrica da solare, eolica e idroelettrica: oggi raggiunge i 150 gigawatt, entro il 2030 raggiungeremo i 500 gigawatt di fonti rinnovabili» conferma Ulka Kelkar, direttrice del programma clima del World Resources Institute India.
«Si tratta di un aumento notevole: equivale ad aggiungere l’intera capacità di energia rinnovabile annuale del Regno Unito. Questo significa che la maggior parte del nostro crescente fabbisogno di elettricità sarà soddisfatta da fonti pulite: l’impegno è che per il 2030 il 50 per cento del fabbisogno derivi da rinnovabili. Quando aumenteremo la quota dei nostri veicoli elettrici, l’elettricità per farli funzionare sarà pulita. Quando la nostra industria inizierà a utilizzare più elettricità e idrogeno verdi, a cascata si avrà una produzione più pulita di acciaio e fertilizzanti».
Obiettivo zero
Negli ultimi dieci anni, ricorda Kelkar, l’India ha aumentato la sua capacità solare di 80 volte, passando da meno di 0,5 gw nel 2011 a 40 gw nel 2021: «Sono ottimista perché per la prima volta il pubblico indiano sta discutendo di un futuro a emissioni zero per il suo paese. Gli obiettivi dell’India per il 2030 e il 2070 daranno forti segnali a ogni settore dell’economia e della società. Ad esempio, le ferrovie indiane, una delle reti più grandi del mondo, con 68mila chilometri di ferrovie, hanno fissato un obiettivo di neutralità già per il 2030».
Modi ha sottolineato anche che l’India è un’economia a reddito medio-basso. Certo, concedono gli esperti, la nazione è il quarto produttore mondiale di anidride carbonica dopo Cina, Stati Uniti e Unione europea, ma è anche una delle nazioni più popolose al mondo: «Per fare un confronto, in media l’impronta di CO2 di un cittadino indiano è un terzo rispetto a quella di un italiano. L’India cerca di tirare fuori milioni di persone dallo stato di povertà e di fornire loro elettricità utile all’istruzione, all’occupazione e ai servizi sanitari. Fissando un obiettivo zero, stiamo cercando di scegliere un percorso di sviluppo più rispettoso del clima. Inoltre, fissando obiettivi specifici per l’energia pulita per questo decennio, ci stiamo assicurando di intraprendere la strada giusta in una fase iniziale».
Decarbonizzare non è facile
A guadagnare qualche titolo, per la verità, è stato anche il fatto che Narendra Modi abbia invitato i paesi sviluppati a fornire 1 trilione di dollari in finanziamenti per il clima al mondo in via di sviluppo: «In un contesto in cui i paesi ricchi stanno faticando a rispettare il loro impegno di Parigi, ovvero di donare 100 miliardi all’anno alle nazioni in via di sviluppo, questa dichiarazione ha fatto sollevare più di un sopracciglio», sottolinea Navroz K. Dubash, professore al Centre for Policy Research di Delhi, secondo il quale quella di Modi era una richiesta politica, e puntava a ricordare come la battaglia climatica abbia costi particolarmente importanti, per un paese in via di sviluppo.
«È stato dimostrato che lo sviluppo umano è strettamente correlato all’uso di energia. L’India è quindi in grado sia di aumentare l’uso di energia per lo sviluppo sia di decarbonizzare, allo stesso tempo. Ciò può portare vantaggi, ma comporta anche grandi sfide, perché richiede un notevole investimento iniziale aggiuntivo. Inoltre, per far sì che l’India si decarbonizzasse al ritmo necessario per essere neutrale entro il 2050, sarebbe stato necessario privare i poveri di energia fino a quando non fosse stato possibile generare nuova energia rinnovabile, tra un decennio o più. Oppure, l’India avrebbe dovuto accrescere rapidamente la sua produzione di combustibili fossili e per poi ridurli molto rapidamente, mettendo la nazione sotto stress finanziario».
Secondo Dubash, se si chiederà all’India di compromettere il suo sviluppo, considerando le alte emissioni cumulative dei paesi ricchi, non ci sarà alcun sostegno popolare alla decarbonizzazione.
Cambiamenti inevitabili
«Gli impegni dell’India significano che l’energia da carbone raggiungerà un picco prima del 2030. Saremo di fronte ad una delle più rapide decarbonizzazioni del settore elettrico in tutto il mondo. L’obiettivo è ambizioso, ma sono necessari più dettagli per capire cosa significhi», precisa Srestha Banerjee dell’International Forum for Environment, Sustainability & Technology (iForest).
Il tema chiave è il carbone: il 70 per cento della produzione elettrica nazionale dipende da questo carburante, che è anche il peggiore contribuente alla crisi climatica. E buona parte delle città più inquinate al mondo sono nel subcontinente: «I costi delle rinnovabili fanno sì che il carbone stia già diventando meno redditizio in India. A parte il governo, uno dei più grandi player in fatto di miniere di carbone è Adani, gruppo che oggi sta investendo massicciamente nell’energia verde, seguito da altri attori indiani di primo piano come Reliance e Ntpc. Coal Indian Limited, il più grande produttore di carbone dell’India, sta diversificando i suoi investimenti attraverso il solare. Il carbone è una risorsa limitata, per ragioni naturali. Nei prossimi dieci anni il paese assisterà per forza di cose a un vero cambiamento nell’economia del carbone» spiega Banerjee.
L’instabilità sociale
Tuttavia, a parte quello energetico, in India numerosi settori sono altamente dipendenti dal carbone, come l’acciaio, o il cemento. E il paese, in sede Cop26, non ha preso alcun impegno su quando il carbone verrà eliminato o quando fermerà la costruzione di nuovi impianti di estrazione.
Eppure, secondo Banerjee una “exit strategy” è necessaria quanto inevitabile. Senza contare i forti timori di ong e organizzazioni ambientaliste: il mese scorso a Chhattisgarh centinaia di abitanti dei villaggi tribali, gli adivasi, hanno iniziato una lunga marcia di protesta contro i piani del governo per un’espansione dell’estrazione del carbone.
La questione è articolata: «C’è una forte discussione in atto in India. Gli stati orientali oggi produttori di carbone, domani non saranno superpotenze rinnovabili, perché l’energia rinnovabile sarà generata negli stati occidentali e meridionali. Pertanto, le regioni carbonifere potrebbero precipitare in una trappola della povertà, di cui molti di quei distretti sono già gravati. Si potrebbe verificare anche un’enorme instabilità sociale innescata dalla perdita di posti di lavoro e dall’incertezza delle opportunità di reddito. Si stima che la transizione colpirà oltre 20 milioni di lavoratori in tutto il paese».
Veicoli elettrici
In che direzione potrebbe andare, la transizione? «Il settore dei trasporti dovrebbe svolgere un ruolo importante. Attualmente dipende in gran parte dai prodotti petroliferi, che rappresentano circa il 12 per cento delle emissioni di CO2 legate all’energia, nel paese, e il trasporto su strada rappresenta oltre l’80 per cento del consumo energetico finale del settore», riassume Ritu Mathur, che lavora presso l’Energy & Resources Institute.
«Quest’anno le vendite di veicoli elettrici hanno registrato un notevole aumento. Può essere in parte attribuito alle iniziative e ai sistemi di incentivazione del governo, e alla riduzione dei costi delle batterie, che ha portato le auto elettriche a costi più vicini ai veicoli convenzionali».
Il governo, ricorda Mathur, ha recentemente approvato un programma di incentivi di circa 260 miliardi di rupie (3,5 miliardi di dollari) in cinque anni per incrementare la produzione di veicoli elettrici in India, e ha creato piani per favorire la produzione di batterie.
«Aziende come Mahindra e Tata si stanno ora concentrando sulla creazione di un ecosistema completo, sviluppando stazioni di ricarica in tutti i paesi. Inoltre, i giganti come Tesla stanno cercando di creare unità di produzione in India. Guardando al futuro, ci aspettiamo che il cambiamento avvenga su scala molto più ampia e abbastanza rapidamente».
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