- Durante il mandato di Bolsonaro: le licenze speciali per i possessori di armi sono aumentate del 364 per cento. Collezionisti, tiratori e cacciatori potevano possedere fino a 60 armi ciascuno.
- Ora Lula ha sospeso le registrazioni di nuove licenze speciali, gli acquisti delle armi militari e l’apertura di poligoni in attesa di stabilire nuove regole.
- I pro-armi sostenitori dell’ex presidente vedono nel decreto il preludio alla confisca degli arsenali accumulati. E attraverso i loro canali, si stanno organizzando per scendere in piazza in occasione della scadenza di fine marzo.
«Non accetteremo che le nostre armi ci vengano tolte». Luciano Lara, procuratore e istruttore di tiro in un poligono del Mato Grosso do Sul, è tra le personalità di spicco dei movimenti pro-armi in Brasile. Nella call su zoom, mostra i proiettili del suo fucile semiautomatico AR-15. Lamenta di non poter più comprare armi e munizioni per colpa della stretta voluta dal presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Lara è uno dei 700mila collezionisti, tiratori e cacciatori (Cac) presenti in Brasile che godono di licenze speciali per il possesso di armi. E che ora dichiarano guerra alle restrizioni.
Come primo atto dopo il suo insediamento, il presidente ha smantellato le leggi permissive del precedente governo e introdotto nuove regole sulla pubblica sicurezza. L’obiettivo è frenare la corsa al riarmo avvenuta in Brasile negli ultimi quattro anni. Lula ha sospeso l’acquisto delle armi a uso militare e ridotto da sei a tre il numero massimo di armi ordinarie che ogni cittadino può detenere.
Quelle acquistate dopo il 2019 dovranno essere registrate entro il 31 marzo nel sistema della polizia federale: chi non lo farà, ha detto il ministro della Giustizia Flàvio Dino lo scorso 16 febbraio, andrà incontro al sequestro e sarà perseguito penalmente.
La scadenza di fine marzo
I pro armi sostenitori dell’ex presidente, già infuriati per la sterzata di Lula, vedono nel decreto il preludio alla confisca degli arsenali accumulati. Attraverso i loro canali, si stanno organizzando per scendere in piazza in occasione della scadenza di fine marzo. Sarebbero le prime proteste dopo i fatti dell’8 gennaio, quando gli estremisti di destra hanno preso d’assalto il Planalto.
Gli esperti temono un nuovo caos: il 31 marzo ricorre anche l’anniversario del golpe militare del 1964, celebrato ogni anno da Bolsonaro e dai suoi. Antonio Rangel Bandeira, viceministro del Welfare dopo il regime militare e coautore dello Statuto sul disarmo, guarda con timore alle prossime settimane.
L’ex presidente Jair Bolsonaro, volato negli Stati Uniti dopo le rivolte, ha annunciato che tornerà a marzo per guidare l’opposizione. Secondo Bandeira, il suo rientro, unito all’elevato numero di armi in circolazione, rende alto il rischio di un golpe guidato dalle milizie bolsonariste in fibrillazione. Gruppi armati organizzati che, spiega, potrebbero guadagnare consenso popolare tra i possessori di armi.
A guidare l’opinione pubblica contro il decreto è Proarmas, associazione impegnata nella difesa del possesso di armi. Il suo leader è Marcos Pollon, deputato del Partido liberal. Su di lui pendeva una richiesta di sospensione, poi respinta, legata al suo presunto coinvolgimento nei fatti dell’8 gennaio. Amico intimo di Bolsonaro, Pollon è stato il deputato più votato del Mato Grosso do Sul nel 2022.
A sostenerlo in campagna elettorale c’era Eduardo Bolsonaro, figlio dell’ex presidente. Sia lui che Pollon stanno incoraggiando i cittadini a non iscriversi al registro della polizia federale, definendo la legge incostituzionale. Un’accusa che il tribunale supremo federale ha già respinto lo scorso 15 febbraio.
Formalmente, Proarmas ha preso le distanze dall’assalto al Planalto, ma sui profili social dell’organizzazione alcuni dei bolsonaristi più radicali stanno invocando un referendum e chiedono a Pollon di guidare i Cac. «Ci sono decine di migliaia di armi militari là fuori», dice Bandeira. E molte di queste sono in mano ai Cac. Secondo i numeri dell’esercito, che Domani ha potuto visionare, le richieste annuali di licenza Cac sono cresciute vertiginosamente durante il mandato di Bolsonaro: erano 44.821 nel 2019 e 208.061 nel 2022. Un aumento del 364 per cento. Sotto il precedente governo, i Cac potevano possedere fino a 60 armi.
Ora Lula ha sospeso le registrazioni di nuove licenze speciali, gli acquisti delle armi militari e l’apertura di poligoni in attesa di stabilire nuove regole. Una decisione che i bolsonaristi non si dicono disposti ad accettare. «Ci sono persone che hanno investito tutto quello che avevano nei poligoni e ora stanno fallendo», dice Lara. Una minaccia, quella economica, che rischia di alimentare i disordini: «Tante persone stanno perdendo il lavoro e Lula peggiora la situazione».
I clube de tiro sono diventati il simbolo del riarmo: tra il 2019 e il 2021 è stato registrato quasi un poligono al giorno. Alla fine del 2022, il numero delle strutture attive in tutto il Paese aveva superato le 2 mila unità. Circa la metà (1.016) è stata aperta negli ultimi quattro anni. Secondo Lara, che cita la sua esperienza in 426 casi per omicidio, non ci sono legami tra l’aumento dei permessi sulle armi e quello della criminalità: «Nessuno tra gli omicidi che ho seguito è stato commesso con un’arma legale».
Eppure, nel 2022, la polizia ha scoperto diverse irregolarità nelle registrazioni da parte dei Cac e diverse indagini dimostrano l’uso delle licenze speciali per facilitare l'accesso alle armi ai criminali. Nel giugno 2020, inoltre, la polizia ha trovato armi illegali nella sede di "300 do Brasil", gruppo pro Bolsonaro che invoca l’eliminazione del congresso e della Corte suprema. La sua leader, Sara Giromini, ha dichiarato che nella sede dell’organizzazione c'erano armi perché alcuni membri erano Cac.
Milizie e clube de tiro
Il collegamento tra riarmo legale e criminalità è riconosciuto anche da Bandeira. L’ex viceministro spiega che, dopo i decreti di Bolsonaro, le milizie di estrema destra si sono iscritte ai clube de tiro per avere accesso a queste armi, e si sono organizzate in gruppi per addestrarsi a combattere. Il fenomeno è aumentato quando Bolsonaro ha permesso ai Cac di acquistare armi militari: è qui che nasce, secondo Bandeira, il collegamento con le milizie.
La missione di Lula per il disarmo incontra diversi ostacoli. Il ministero della Giustizia ha cancellato molti dei decreti di Bolsonaro, ma resta da capire come confiscare le armi non dichiarate. Bandeira ha riconosciuto che lo stato «difficilmente riuscirà a costringere le persone a restituirle». Bandeira fa parte dell'ong Viva Rio, un’organizzazione per la pace fondata da Rubem César Fernandes.
Viva Rio sta lavorando con il governo per capire le opzioni sul tavolo: ridurre la durata delle licenze, diminuire l'accesso alle munizioni e avviare un programma nazionale per ricomprare le armi dai privati. «Io ho fucili che ho pagato fino a 10mila euro», avverte Lara. «Non accetterò un rimborso di 100 euro». Fernandes ammette che nessuno degli interventi ipotizzati finora dal governo sarà sufficiente: «È un serio rischio per la stabilità del Brasile, e non saremo in grado di recuperarle tutte».
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