Da sabato torna lo stato di emergenza sanitaria, e nella regione di Parigi e in altre otto città è in vigore il coprifuoco dalle 21 alle 6, con locali chiusi e vincoli agli spostamenti
- In una intervista tv il presidente annuncia che nove metropoli, tra le quali Parigi, saranno soggette a coprifuoco a partire da sabato, e per almeno un mese. Una misura “liberticida” secondo alcuni deputati dell’opposizione.
- Visto l’aumento dei ricoveri oltre che dei contagi, l’Eliseo prende provvedimenti, ma evita per ora il lockdown generalizzato. Il governo da sabato riattiva lo stato di emergenza, che era stato interrotto a luglio, e che consentirà di imporre nuove misure.
- Intanto i medici protestano perché tra la prima e la seconda ondata non sono stati aumentati i posti in terapia intensiva.
Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato in un messaggio televisivo il coprifuoco a partire da sabato nella regione dell’Île-de-France e in altre otto città metropolitane. Il governo ha riattivato lo stato di emergenza sanitaria sospeso dallo scorso luglio. Ma l’Eliseo non può più delegare le comunicazioni sulla crisi solo al ministro della Salute e al primo ministro Jean Castex.
Il mondo si è accorto che la Francia aveva un problema con il Covid-19 venerdì 13 marzo, quando i visitatori da ogni continente hanno trovato chiuse le porte del museo del Louvre a Parigi. Era la “prima ondata”. Ma dal 14 luglio il presidente francese ha potuto sospendere temporaneamente gli annunci di emergenza.
La protesta dei medici
Con 33mila morti sulle spalle e quasi 800mila contagi dall’inizio della pandemia, rilevata in Europa la prima volta il 23 gennaio proprio a Bordeaux, la Francia fa i conti con una «seconda ondata «forte», come la chiama Castex. I casi giornalieri superano i 22mila, e se questo dato è legato pure all’aumento dei test, la progressione delle ospedalizzazioni spaventa: in tre giorni i ricoveri sono cresciuti di più del venti percento, i morti in ospedale di quasi il trenta.
Dopo la prima ondata il governo non ha provveduto ad aumentare i posti in terapia intensiva, il che provoca le proteste dei medici: questo lunedì i pazienti Covid in rianimazione erano più di 1500, ma la capienza complessiva non arriva ai 6mila. La situazione nel paese ad ogni modo non è omogenea: nel dipartimento della Gironda, per esempio, i contagi sembrano sotto controllo, mentre le grandi città sono in allerta massima.
C’è una parola che il presidente nel preparare il suo intervento alla televisione ha accuratamente evitato di appuntarsi, ed è déconfinement, cioè lockdown. La chiusura generalizzata – che il paese ha già sperimentato la scorsa primavera – non piace all’Eliseo perché è considerata come un colpo letale all’economia già sotto stress.
Non si tratta solo di far tirare giù le saracinesche alle varie attività, ma anche e soprattutto di far fronte alle conseguenze sul tessuto sociale: secondo una stima approssimativa (è troppo presto per avere dati conclamati) fatta da associazioni no profit, enti locali e banchi alimentari, a seguito del primo déconfinement e della prima ondata, un milione di francesi in più è entrato nella fascia di povertà, nel giro di pochi mesi. Il quotidiano di orientamento di centrodestra Le Figaro parla di «scelta tra salute ed economia», quello di sinistra Libération di «lotta al covid ma pure alla precarietà», ma al di là dei diversi colori, in comune c’è che l’idea di rivivere la chiusura dopo i mesi di “sospensione” estiva non è più accolta con lo stesso fatalismo che a marzo.
Andare per gradi
Aprire o chiudere? Il dilemma è comune a vari paesi europei. Il premier Boris Johnson in Uk ha da poco annunciato la creazione di tre tipi di zone con diversi livelli di allerta e di misure, e già è stato sconfessato dal comitato scientifico, convinto che senza una chiusura vera il disastro sia maggiore. Tra laissez faire e lockdown, Macron per ora punta alla terza via: differenziare gli interventi per zona, in base alla gravità, e individuare misure intermedie ma sostenibili sul lungo termine.
Già dal 23 settembre esistono nel paese quattro diverse categorie di allerta. Le aree con nessuna allerta, o con semplice allerta, prediligono il telelavoro e vietano incontri di più di 5mila persone; quelle con allerta rinforzata hanno la chiusura anticipata dei bar, limiti per attività sportive, divieto di aggregarsi in più di dieci in strade e parchi, niente grandi eventi sopra le mille persone.
Con l’allerta massima pure bar chiusi, misure di sicurezza per i ristoranti, università con capienza dimezzata. Una dozzina di dipartimenti e metropoli, come Parigi, ma pure Lione o Grenoble, sono etichettati come «a massimo rischio».
Stato di emergenza
Ora torna in campo lo «stato di emergenza sanitario», che era finito il 10 luglio e che il governo riattiva per decreto: sarà in vigore da sabato. Si tratta di un quadro giuridico su base nazionale che in situazioni di eccezione consente di mettere in campo restrizioni, fino a un lockdown vero e proprio, perlomeno dove c’è allerta massima.
Martedì durante un consiglio di difesa sanitario sono state sventagliate misure con lo scopo di evitare il déconfinement generalizzato: «Non si tratta di prendere un’iniziativa per un paio di settimane, di fare chiusure a singhiozzo. Bisogna collaudare misure a lungo termine», ha chiarito l’Eliseo.
E allora Macron ha annunciato da sabato il coprifuoco per l’Ile de France, la regione di Parigi, e altre otto metropoli, dalle 21 alle sei di mattina, e per almeno un mese; ma già tra i deputati socialisti c’è chi parla di «misura liberticida».
Bisogna immaginarsi una ville lumière che la sera spegne le luci dei locali e vieta il passeggio, consentendo sì gli spostamenti, ma solo se “giustificati”. Poi c’è il ricorso allo smart working, la chiusura di attività commerciali e luoghi pubblici, nuove regole sui trasporti.
Macron cerca di portare i francesi sulla sua strada, ma intanto già delude la commissione indipendente da lui incaricata il 25 giugno di valutare l’operato del governo nella gestione della crisi sanitaria. «Interventi tardivi, poca prevenzione» sono tra i punti deboli che l’infettivologo Didier Pitter e colleghi hanno rilevato. Del resto già a metà febbraio, prima che l’epidemia mettesse alla prova il sistema sanitario, in Francia i primari avevano minacciato le dimissioni per denunciare il disinvestimento nella sanità pubblica.
© Riproduzione riservata