Comprare una bandiera europea o georgiana costa pochi lari. I banchetti sono ovunque vicino viale Rustaveli, insieme a quelli che ti vendono un sacchetto di popcorn, perché comunque la fame a un certo punto arriva. La chiamata in piazza ha funzionato. Giovani e meno giovani avvolti con bandiere europee, georgiane e ucraine si sono ritrovati sull’arteria centrale di Tbilisi per protestare davanti al Parlamento.

Decine di migliaia di persone, una presenza imponente, tanto da far fatica a camminare solo per fare pochi metri. L’appello alla mobilitazione era arrivato domenica sera dalla presidente Salome Zourabichvili e dalle forze di opposizione scottate dall’esito delle elezioni, in cui il partito di governo Sogno georgiano, tra brogli e irregolarità, è emerso vincitore.

La protesta a Tbilisi

Un risultato non accettato da Zourabichvili e dai leader antigovernativi, che hanno parlato di operazione speciale russa e che ieri hanno rincarato la dose. La prima rilasciando alcune interviste veementi in cui auspica il sostegno dell’Unione europea e degli Stati Uniti sulla sua presa di posizione. «Sono qui per essere un’istituzione indipendente in questo Paese, che combatterà fino alla fine contro la dittatura», ha aggiunto, ventilando scenari cupi per la Georgia. I secondi annunciando di non voler entrare nel nuovo parlamento eletto, per non dargli legittimità.

In questo clima la popolazione più europeista è scesa in piazza a Tbilisi, città in cui i partiti di opposizione hanno vinto e hanno saputo mobilitare gli scontenti. Ma per strada si respirano sentimenti variegati: rabbia e delusione, perché molti si sono sentiti defraudati dalle elezioni; speranza, di chi pensa sia possibile imprimere un cambiamento, ma anche incertezza e timori riguardo la direzione che prenderà la Georgia.

Il rischio di una repressione forte del governo e il ricordo degli scontri degli scorsi mesi, dopo l’introduzione della legge sugli agenti stranieri e quella contro la “propaganda” Lgbt, hanno reso viale Rustaveli un misto di emozioni. «Lo spirito georgiano è incompatibile con la Russia», si legge sopra un cartellone alzato da una ragazza che si chiama Natale e dice di non voler dover essere chiamata Natasha.

Sul piccolo palco davanti il Parlamento è salita prima la presidente della Repubblica, e poi a turno i leader delle opposizioni. Zourabichvili, intercettando i diversi sentimenti dei suoi sostenitori, ha arringato la folla: «Non è il tempo del pessimismo. È il tempo per noi di difendere il nostro voto con calma e con determinazione».

Il piano dell’opposizione è di chiedere nuove elezioni, condotte questa volta da un’amministrazione internazionale. Uno degli interventi più applauditi è stato quello di Giorgi Vashadze, leader del Movimento nazionale unito: «Abbiamo intenzione di combattere fino alla vittoria. Non vogliamo negoziare».

La difesa di Sogno georgiano

La paura che il paese scivoli sempre più nell’orbita di Mosca è reale tra chi guarda a Occidente. Non per nulla la campagna elettorale delle opposizioni è stata incentrata sulla necessità di scegliere tra l’Europa e la Russia accusando Sogno georgiano di seguire la linea del Cremlino.

Una critica a cui ieri il premier Irakli Kobakhidze ha cercato di rispondere in un’intervista a uno dei più autorevoli media occidentali, la Bbc, negando di guidare un governo filoputiniano e sottolineando come Tbilisi non abbia relazioni diplomatiche con Mosca dopo la guerra del 2008. Nel mentre, sono arrivate le dichiarazioni del portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, con le quali ha respinto al mittente le accuse di interferenze russe sul voto.

Kobakhidze ha anche difeso l’esito elettorale: «Le irregolarità accadono ovunque, in ogni paese». Poi il passaggio forse più importante: «La nostra principale priorità in politica estera è ovviamente l’integrazione europea». Il primo ministro negli ultimi mesi ha alternato la retorica antioccidentale alla promessa di portare Tbilisi nell’Ue entro il 2030. Una tattica usata per accontentare le due parti opposte del paese, che tuttavia non ha attecchito veramente nella testa di chi ritiene il governo ormai apparentato con il Cremlino.

Anche perché nel frattempo le relazioni con Bruxelles si sono deteriorate a causa delle uscite sempre più accese dei leader di Sogno georgiano. «Siamo in una situazione paradossale» – ci spiega Natalie Sabanadze, ex ambasciatrice georgiana all’Ue fino al 2021 – «Oggi la Georgia ha lo status da candidato, cioè significa ufficialmente essere più vicini che mai all’Ue, eppure le nostre relazioni con le istituzioni europee sono peggiori di quanto siano mai state».

La Georgia in bilico

A essere in buoni rapporti con la leadership di Sogno georgiano è Viktor Orbán. Ieri è atterrato nella capitale georgiana per una visita ufficiale e per esprimere vicinanza al partito di Bidzina Ivanishvili, da presidente di turno del Consiglio Ue. Il premier ungherese è il modello a cui sembra aspirare la leadership di Sogno georgiano. L’ex ambasciatrice Sabanadze ha racchiuso il voto di sabato come una «scelta tra salvare la democrazia della Georgia, che pure non è mai stata perfetta, o procedere verso un consolidato autoritarismo». In parte simile a quello che vediamo oggi in Ungheria.

Se con il viaggio a Tbilisi, Orbán ha sfidato Bruxelles, ieri è intervenuta per la prima volta sulle elezioni georgiane Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione Ue ha espresso vicinanza al popolo georgiano: «Hanno il diritto di vedere che le irregolarità elettorali siano indagate in modo rapido, trasparente e indipendente. I georgiani, come tutti gli europei, devono essere padroni del proprio destino». «Non c’è un solo motivo per cui Putin debba avere voce in capitolo sul futuro dei giovani ucraini, moldavi o georgiani», ha aggiunto.

I georgiani, almeno quelli legati alle opposizioni, hanno dimostrato in piazza quale futuro vorrebbero. Una manifestazione iniziata con l’inno nazionale georgiano e finita con quello europeo, l’Inno alla gioia che ha risuonato per il centro di Tbilisi. A quel punto le persone hanno iniziato a sciamare per tornare a casa, avvolti tra le loro bandiere. Nei prossimi giorni, forse, dovranno ritirarle fuori.

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