- In questi trent’anni di indipendenza i kazaki hanno cercato di stare in equilibrio tra varie influenze. “Multivettoriale” è stato il mantra fin dall’indipendenza nel 1991.
- La rottura della vocazione “multivettoriale” del paese asiatico ha scatenato gli appetiti di Russia, Cina e Turchia. Sotto lo sguardo dell’occidente indebolito.
- Le polemiche con l’occidente per ciò che sta accadendo sono una cortina fumogena che cela una situazione molto più complessa. Più che dall’Occidente, Mosca deve guardarsi da Pechino e Ankara.
Le narrazioni complottiste secondo le quali è la Cia a fomentare le rivolte “arancioni” in Kazakistan nascondono una realtà molto più complessa per questo paese al centro di bramosie economiche e politiche. In questi trent’anni di indipendenza i kazaki hanno cercato di stare in equilibrio tra varie influenze. “Multivettoriale” è stato il mantra fin dall’indipendenza nel 1991. L’obiettivo era rimanere in equilibrio tra Russia e Cina, ma anche con gli Usa e la Nato. Per esemplificare tale destrezza basti dire che soltanto nel dicembre 2021 i kazaki hanno confermato un accordo di cooperazione militare con gli americani e firmato un accordo di sicurezza con Mosca. Almaty ha comprato droni da un partner Nato come la Turchia e molte armi dagli Usa, partecipando a manovre militari dell’alleanza atlantica. Allo stesso tempo il Kazakistan è membro fondatore dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto), l’alleanza militare dominata da Mosca, e membro del Consiglio Turco e del Gruppo di Shangai, alleanza politica con Russia e Cina.
Liberarsi dalla morsa
Una delle principali preoccupazioni dei leader kazaki, sia del padre della patria Nazarbaev (che pare sia ora fuggito dal paese) che del suo delfino, l’attuale presidente Toqaev, è sempre stata quella di svincolarsi dalla tenaglia russo-cinese controbilanciandola mediante rapporti con i paesi occidentali ma soprattutto con l’approccio panturco, facilmente accessibile per una popolazione al 70 per cento musulmana sunnita (i russi sono quasi il 20 per cento).
La scelta multivettoriale è un modo per sopravvivere in un’area molto contesa dell’Asia centrale. Le violenze a cui stiamo assistendo in queste ore nascono anche dall’intreccio di tutte le influenze che cercano di appropriarsi delle leve del potere a Almaty. Nazarbaev ha cercato di stare il più lontano possibile da Mosca e non aveva un buon rapporto con Putin. L’equilibrismo si è rotto quando, davanti all’aumentare delle sommosse, il presidente Toqaev ha chiesto l’intervento della Csto. La rottura della trentennale multivettorialità kazaka avrà conseguenze geopolitiche. È facile prevedere che Mosca chiederà come contropartita il riconoscimento dell’annessione della Crimea. Anche Pechino ha dichiarato di sostenere il governo attuale. Il contraccambio è che Almaty smetta di dare ospitalità agli uiguri etnicamente vicini ai kazaki. L’aspetto più delicato è rappresentato dalle relazioni con la Turchia. Riemerge così il duello russo-turco che spinge la Russia a neanche troppo velate minacce di annessione del Kazakistan. Approfittando della fluidità del quadro Mosca cerca di rafforzare la sua presa sui vicini, allontanando lo spettro della Nato. Ma la questione si è complicata: oggi Mosca incontra sulla sua strada una ormai consolidata presenza cinese e i ripetuti tentativi di influenza turca che recentemente hanno preso la forma di aiuti militari.
Manovre inedite
Le polemiche con l’occidente per ciò che sta accadendo sono una cortina fumogena che cela una situazione molto più complessa. Per ora il dispiegamento di una “forza collettiva” della Csto è stata annunciata dal presidente di turno dell’organizzazione, il premier armeno Pashinyan. Il paradosso è che Pashinyan in occasione della guerra contro l’Azerbaijan aveva chiesto invano l’intervento della Csto. La decisione di intervenire è dunque un inedito e mira a cambiare tutte le carte sul tavolo. Ma il Kazakistan non è più quello di ieri e ci si possono aspettare delle sorprese.
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