Martedì notte è arrivata la conclusione del conflitto scoppiato a settembre. Ma l’accordo non soddisfa gli armeni che assaltano il parlamento e chiedono le dimissioni del premier
È arrivata ieri notte la firma dell’accordo di pace fra Russia, Armenia e Azerbaijan per porre fine al conflitto fra lo stato azero e quello armeno nel Nagorno-Karabakh, regione al confine tra i due paesi. L’accordo stabilisce che l’Azerbaijan manterrà il controllo di tutti i territori i conquistati dal suo esercito nel corso del conflitto scoppiato lo scorso 27 settembre. Le forze armene dovranno inoltre ritirarsi nei prossimi giorni anche dai territori adiacenti alle città conquistate dalle forze azere.
Il Nagorno-Karabakh è considerato dalla comunità internazionale parte dello stato azero, ma è stato governato da forze indipendentiste armene dal 1994 a oggi. Il cessate il fuoco firmato ieri segna un’importante vittoria per l’Azerbaijan: subito dopo il raggiungimento dell’accordo il presidente, Ilham Aliyev, ha scritto su Twitter: «Questo è un giorno storico» per poi aggiungere che la fine delle ostilità rappresenta una «capitolazione» dell’Armenia. Nella capitale azera si sono svolte diverse manifestazioni per festeggiare il successo militare del proprio del proprio paese. Nella capitale armena, Erevan, il clima è invece di tutt’altro tipo: il primo ministro, Nikol Pashinyan, ha definito l’accordo «incredibilmente doloroso per me e per il mio popolo».
L’accordo inevitabile
Poco dopo la dichiarazione del premier, una folla di manifestanti ha forzato le porte del parlamento per protestare contro un cessate il fuoco, ritenuto umiliante da parte della popolazione. Le proteste che chiedono le dimissioni di Pashinyan sono continuate a lungo.
Il leader delle forze separatiste del Nagorno, Arayik Harutyunyan, ha definito il l’accordo «inevitabile» dopo che le forze azere si erano impadronite domenica della seconda città più importante della regione, Shusha, situata a circa quindici chilometri dalla capitale del Nagorno, Stepanakert. Secondo il capo dell’esercito separatista, se la battaglia fosse continuata, le forze armene avrebbero «perso la regione», causando danni ancora maggiori. Il ministero della Difesa ha reso noto che il numero di caduti appartenenti alle forze separatiste sono stati 1.307.
L’Azerbaijan non ha pubblicato il numero di morti nelle sue forze, ma il presidente russo, Vladimir Putin, ha detto lo scorso 22 ottobre che le vittime totali del conflitto sono state oltre 5mila.
Le reazioni internazionali
La fine del conflitto nella regione è un evento che ha interessato anche diversi stati stranieri. La Russia ha infatti basi militari in Armenia, ma mantiene buoni rapporti con l’Azerbaijan e proprio per questo si era mossa per far firmare alle due parti un primo cessate il fuoco già a inizio ottobre. L’accordo non era poi stato rispettato dai due paesi, che si erano accusati a vicenda di non aver rispettato i patti. Il nuovo accordo firmato ieri vede Mosca parte attiva nel processo di pace nel Nagorno-Karabakh. Il Cremlino si è infatti impegnato a inviare nella regione duemila militari con il mandato di far rispettare l’accordo.
L’altra potenza coinvolta nel conflitto è stata la Turchia: fin dall’inizio delle ostilità il primo ministro, Recep Tayyip Erdogan, ha supportato militarmente l’Azerbaijan. Il presidente turco ha salutato il successo dell’Azerbaijan come una «vittoria sacra» e il presidente azero, Aliyev, ha annunciato che anche il governo turco sarà coinvolto nel processo di pacificazione del Nagorno.
L’influenza di Istanbul nella regione preoccupa il Cremlino, che ha tenuto a precisare che l’accordo non prevede l’impiego di forze militari turche per mantenere la pace nella regione. Nel corso della giornata di ieri è poi intervenuto il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha detto di «star studiando» il nuovo accordo per essere sicuro che l’Armenia sia tutelata. Il leader di En Marche ha poi chiesto al presidente turco, Erdogan, a «cessare le provocazioni» nella regione.
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