Il premier nazionalista è stato confermato, ma il suo partito ha bisogno di alleati per governare. La coalizione guidata da Gandhi e dal partito di opposizione Congress ha superato le aspettative
Il Bjp ha vinto, Narendra Modi è ancora il primo ministro della più grande democrazia al mondo. Il risultato pareva scontato, eppure le pachidermiche elezioni indiane hanno riservato importanti colpi di scena.
Nel corso delle prime ore della giornata di ieri è risultato chiaro che gli exit poll dei giorni scorsi non solo hanno fornito numeri imprecisi, ma grossolanamente sbagliati, prevedendo una schiacciante conferma del primo ministro in carica e una valanga di voti per il suo Bjp.
Invece i risultati, pur confermando il terzo storico mandato consecutivo per il premier nazionalista, cristallizzano una maggioranza insufficiente per il suo partito, che per formare un governo dovrà contare sull’appoggio di due partiti, il Telugu Desam Party e il Janata dal (United), che fanno parte della coalizione National Democratic Alliance.
Appoggio (apparentemente già confermato) che renderà Modi soggetto a pressioni e richieste alleate per portare avanti le grandi riforme annunciate per i prossimi cinque anni.
Gandhi oltre le aspettative
Uno shock per i mercati, letteralmente. Dopo essere stati pompati dalle aspettative degli exit poll, gli indici di riferimento hanno subito il peggior crollo degli ultimi quattro anni, pur recuperando sul finire della giornata, segnale di una incertezza che si è riversata in particolare sulle aziende del gruppo Adani, l’imprenditore più ricco d’Asia secondo Forbes, considerato vicino al premier in carica.
Ma le sorprese sono state ben altre. Se il Bjp ha perso terreno rispetto al 2019, la coalizione I.n.d.i.a, guidata dal partito di opposizione Congress e da Rahul Gandhi, ha superato di gran lunga le aspettative. Lo stesso Gandhi è stato eletto in entrambi i collegi dove si è presentato: Wayanad, in Kerala, Rae Bareli nell’Uttar Pradesh (ex seggio della madre, Sonia Gandhi).
Il caso Uttar Pradesh
Considerata ininfluente, l’opposizione indiana sembra essere tornata prepotentemente in gioco. E proprio uno stato chiave come l’Uttar Pradesh serve a comprende la situazione: nella santa Vanarasi, roccaforte del premier, Modi è stato confermato ma ha perso voti e terreno rispetto al 2019. Ad Ayodhya, dove a gennaio il primo ministro ha inaugurato con grandi fasti e su un terreno conteso tra hindu e musulmani un grandioso tempio dedicato al dio Ram, il Bjp è stato sconfitto.
Più in generale nello stato agricolo considerato decisivo per le elezioni indiane, il partito del primo ministro è arretrato, segnale lascerebbe intravedere una minor presa della narrazione identitaria sugli elettori. Il paese si trova ad affrontare alti tassi di disoccupazione e una forte inflazione alimentare: non sorprende che ad essere premiati siano stati gli esponenti locali in grado di dare risposte più concrete. In generale, questo voto segna infatti un ritorno dei partiti regionali e un arretramento del partito nazionalista proprio in quella cintura di lingua hindi da sempre considerata più vicina al premier.
Un quadro complesso
Al contrario, è confermato uno storico passo in avanti del partito di Modi nel sud India, in Kerala, stato tra i più sviluppati ed economicamente forti, tradizionalmente più vicino a partiti di sinistra e al Congress: a regalare al partito nazionalista hindu la prima vittoria è stato Suresh Gopi, ex attore oggi votato alla politica.
Impresa che non è riuscita nell’altro stato meridionale chiave, il Tamil Nadu, il cui scenario è rimasto dominato dai partiti regionali. In Andhra Pradesh invece il Bjp ha beneficiato dell’accordo con realtà locali, in particolare con il Telugu Desam Party. Ribaltato invece il verdetto degli exit poll nel nord est India, dove il Congress ha ripreso terreno.
In Bengala Occidentale l’All India Trinamool Congress e la sua leader Mamata Banerjee avanzano ulteriormente a scapito del Bjp: tra i seggi confermati, con un ampio vantaggio, anche quello della carismatica parlamentare Mahua Moitra, considerata una grande oppositrice del primo ministro: lo scorso anno era stata cacciata dal Parlamento con l’accusa di aver accettato soldi e favori per criticare Adani.
Non che le vicende giudiziarie abbiano contato molto, nel segreto dell’urna. L’opposizione negli ultimi mesi ha denunciato quella che ha descritto come una persecuzione, dal congelamento dei conti bancari e all’incarcerazione di esponenti come Arvind Kejriwal, leader del partito Aap e primo ministro della regione di Delhi. Anche in questo caso, non sono questi i temi che hanno smosso l’elettorato, visto che il Bjp stando ai primi risultati avrebbe vinto in tutti i seggi della capitale.
Ma il quadro va letto nel suo complesso. Per la prima volta dopo anni, il primo ministro che le classifiche globali hanno incoronato come il più amato al mondo, appare elettoralmente vulnerabile. Gli scenari sono ancora tutti aperti, ma un risultato del genere potrebbe rappresentare una rara battuta d’arresto per un politico che si era sempre assicurato ampie maggioranze nelle elezioni, statali o nazionali, e che in oltre 23 anni di carriera aveva coltivato un’immagine popolare, quasi ascetica, di vincitore seriale. Fino ad oggi.
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