In India 968 milioni di elettori si sono registrati per andare alle urne. Ma la più grande democrazia al mondo ha qualche problema
Secondo la Commissione elettorale indiana, oltre 968 milioni di elettori si sono registrati in vista delle elezioni generali, che si svolgeranno in sette fasi tra il 19 aprile e il primo giugno, decretando il partito di maggioranza del Lok Sabha (o “Casa del popolo”): con 543 membri, si tratta della più potente tra le due camere del parlamento perché oltre a contare un numero maggiore di seggi, esercita il controllo finanziario ed è la camera verso la quale è responsabile il Consiglio dei ministri.
Il grande favorito, suggellano senza gran stupore i più recenti sondaggi, è il Bharatiya Janata Party guidato dal primo ministro Narendra Modi, che governa l’India dal 2014 e che ha annunciato di voler superare, con la sua coalizione, quota 400 seggi.
Demografia del voto
Il paese più popoloso al mondo non può che mandare al voto l’elettorato più numeroso. Per assicurare questo diritto dai monti impervi dell’Himalaya alle assolate Isole Nicobare, saranno dispiegati in 15 milioni tra dipendenti governativi (principalmente insegnanti) e personale di sicurezza: una vera e propria sfida per i funzionari elettorali, che dovranno percorrere 40 chilometri per raggiungere la 44enne Sokela Tayang, unica a votare per il seggio di un minuscolo villaggio nello stato dell’Arunachal Pradesh.
A quelle che sono considerate le elezioni tra le più lunghe della sua storia recente (44 giorni) si aggiunge il fattore cambiamento climatico: secondo l’Istituto meteorologico indiano decine di ondate di calore colpiranno la nazione nella rovente stagione pre-monsonica, che coinciderà con il voto di grandi masse di popolazione.
Si vota con il sistema uninominale secco e il voto, espresso solo dagli elettori che si sono registrati, avviene utilizzando macchine per il voto elettronico. Tra i tanti, bisognerà prestare attenzione a come voteranno i giovani neomaggiorenni, che affrontano il primo voto: parliamo di poco più di 1,8 milioni di persone, ma meno del 40 per cento di loro si è registrato – quota che scende ad un quarto degli aventi diritto in stati popolosi e decisivi come Bihar e Uttar Pradesh.
I partiti
A queste elezioni si presenteranno 58 partiti politici statali e sei partiti nazionali. Tra questi ultimi ci sono il Bjp guidato dal primo ministro Narendra Modi e il suo principale avversario, il Congress, il cui presidente Mallikarjun Kharge si affianca all’uomo-simbolo Rahul Gandhi. Un tempo principale contendente nell’arena nazionale, dopo aver governato il paese per decenni, il partito si è ridotto all’ombra del suo antico splendore ottenendo nel 2019 appena 52 seggi, contro gli oltre 300 del Bjp.
Seguono l’Aam Aadmi Party di Arvind Kejriwal, chief minister di Delhi, attualmente in carcere per una indagine per corruzione che secondo le opposizioni è politicamente motivata. Poi il Bahujan Samaj Party (che nasce su ispirazione del lavoro dell’attivista Dalit Bhimrao Ramji Ambedkar) e il Partito Comunista dell’India (marxista) attualmente al potere nello stato del Kerala – ma che nella scorsa tornata nazionale era riuscito a ottenere appena tre seggi, tutti nel sud. Infine, il Partito popolare nazionale, che governa in Meghalaya con l’appoggio del Bjp.
I due principali partiti guidano due coalizioni, la Nda per il Bjp e India per il Congress – ma le fratture e le defezioni all’interno dell’intesa di opposizione, negli ultimi mesi, non si contano.
A questo s’è aggiunto l’arresto dello chief minister di Delhi e il congelamento dei conti correnti del Congress a causa di una controversia fiscale che i critici denunciano come una forma di repressione pre-elettorale da parte del primo ministro.
Il tutto, nel pieno di uno scandalo legato ad un opaco meccanismo di finanziamento dei partiti (di cui il Bjp è risultato il principale ma non certo unico beneficiario). Non a caso, le campagne elettorali indiane sono tra le più costose al mondo: questa primavera secondo alcune previsioni il costo complessivo potrebbe superare i 10 se non i 16 miliardi di dollari.
Sud vs Nord
Storicamente, si ritiene che una faglia politica contrapponga gli stati federali del più prospero e istruito sud alla base di sostegno di Modi, nel cuore più conservatore del nord, il quale meglio risponde alla narrativa nazionalista hinduista cara al primo ministro.
Fatta eccezione per un breve periodo alla guida del Karnataka, il Bjp non è infatti mai riuscito a sfondare negli stati meridionali. Di contro, grossomodo il Congress, tra alleanze e coalizioni, negli ultimi anni ha mantenuto un ruolo centrale nel sud: sarà quindi interessante seguire il risultato del voto in Telangana, Karnataka, Kerala, Tamil Nadu e Andra Pradesh.
Anche perché, nelle ultime settimane, si è fortemente intensificata la campagna elettorale di Modi sia in questi stati, sia in Bengala Occidentale, dove il Bjp tenta di minare il partito dell’All India Trinamool Congress.
Molti osservatori, infatti, suggeriscono di iniziare a discutere di est vs ovest, e delle mancate promesse di sviluppo industriale del Bengala (governato dalla potente Mamata Banerjee del Tmc), rispetto alla crescita costante in Gujarat, a nord-ovest. Eppure, proprio nel Gujarat, stato d’origine di Modi, per la prima volta si verificano scontri sui nomi dei candidati Bjp.
Ricchezza e voto
Nel 2022 l’India è diventata la quinta economia più grande al mondo, superando la Gran Bretagna. Se continuerà di questo passo, potrebbe sorpassare Germania e Giappone, assicurandosi il ruolo di terza economia nel 2030, dietro a Cina e Stati Uniti.
Di pari passo macina terreno, ci rivela uno studio del World Inequality Database, la classe più ricca: il numero di miliardari indiani è quasi triplicato negli ultimi 10 anni. Tuttavia, prosegue lo studio i redditi della maggior parte degli indiani sono rimasti stagnanti.
Numericamente, a pesare sul voto sarà la potente classe media, quella che maggiormente apprezza la visibilità internazionale ottenuta dal primo ministro, ma anche le misure appetibili per il voto urbano, come quella che il governo chiama “infrastruttura pubblica digitale”, e ovviamente la spinta finanziaria e industriale.
Ma la gran parte della forza lavoro indiana oggi si concentra nelle aziende agricole, e si ritiene che il 40 per cento della popolazione dipenda, in un modo o nell’altro, dall’agricoltura: alle classi più povere, il governo negli ultimi anni ha dedicato programmi che spaziano dall’elettricità ai servizi igienici nelle case dei villaggi più remoti.
E poi, una pioggia di sussidi governativi: a seconda delle classifiche, beneficerebbero di alcuni dei piani più noti e ampi, come il PMGKAY, soprattutto gli stati poveri del nord-est del paese. E parlando di campagne, andrà tenuto d’occhio l’esito del voto in Punjab e Uttar Pradesh, e di riflesso l’impatto delle proteste dei contadini, che più di una volta sono state in grado di impensierire il governo.
Oltre ad aiuti e sussidi, il principale tema per l’elettore indiano è la disoccupazione. Secondo la Banca Mondiale, l’India (come del resto tutta l’area) non sta creando abbastanza posti di lavoro per sostenere i giovani: secondo il think tank Center for Monitoring Indian Economy, nel 2023 il tasso di disoccupazione giovanile era pari al 45,4 per cento e va in gran parte attribuito alla disoccupazione nelle campagne, rispetto alla disoccupazione urbana.
Classi e religione
Altro fattore da considerare è la battaglia per il voto delle caste più basse o Obc, grande bacino elettorale del paese, che potrebbe sfiorare fino al 40 per cento della popolazione.
È indubbio che il successo del Bjp guidato da Modi (il quale si definisce egli stesso Obc) sia anche dovuto alla sua capacità di attirare elettori di gruppi svantaggiati, strappandoli al Congress, pur mantenendo alta l’attenzione a temi cari alle caste più alte, come si è visto nel corso della massiccia inaugurazione del tempio dedicato al dio Rama ad Ayodhya, ad inizio anno.
Tempio che sorgeva su un luogo contestato dalla comunità musulmana, principale minoranza religiosa del paese, che costituisce il 15 per cento della popolazione. Oggetto di una serie di misure e norme che varie organizzazioni considerano discriminatorie, come l’implementazione della legge sulla cittadinanza Caa, il voto musulmano potrebbe avere un peso importante.
Eppure nelle precedenti elezioni, il voto è risultato estremamente frammentato, contribuendo anzi alla vittoria del Bjp. Sarà così anche nei prossimi mesi?
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