Hezbollah e Iran non vogliono un conflitto aperto, ma «la situazione è molto fragile». Gli estremisti del governo di Tel Aviv vogliono sradicare la minaccia del Partito di Dio
Nessuno in Israele vuole una guerra col Libano, ma sarà inevitabile. È la drammatica convinzione che serpeggia nel paese, tra esercito, civili, esperti militari e politici, emersa in una serie di incontri avuti da Domani tra Tel Aviv e il nord del paese.
Dall’inizio del conflitto a Gaza, in Israele si è aperto anche il fronte settentrionale, con lanci di razzi da parte delle milizie di Hezbollah dal sud del Libano verso le zone confinanti di Israele e conseguenti rappresaglie da parte dell’esercito israeliano (Idf).
Questo ha fatto sì che le autorità israeliane evacuassero le limitrofe al confine libanese, creando decine di migliaia di sfollati interni sistemati in hotel pagati dal governo e presso amici e familiari in altre zone del paese.
«Israele non ha interesse a una guerra, non la sta pianificando ma non possiamo accettare che da cinque mesi 70-80.000 civili» delle comunità nel nord di Israele al confine con il Libano «non possano vivere nelle proprie case, siano sfollati e il fuoco continui» ha spiegato a un gruppo di giornalisti europei Zohar Palti, ex capo dell'ufficio politico-militare del ministero della Difesa israeliano.
«Vogliamo una guerra? No, ma dobbiamo fare qualcosa. C'è un'alta probabilità che scoppi un conflitto. No, non mi piacerebbe vederlo» ha continuato Palti, assicurando tuttavia che «se dovremo occuparci del Libano, alla fine sembrerà come Beit Hanoun, rasa al suolo».
Missili
Palti esclude che Hezbollah abbia interesse a una guerra su larga scala, come non ce l’ha l’Iran, paese sponsor del gruppo sciita, e neppure Israele, dice Palti. «Ma la situazione è molto fragile e basta poco perché esploda».
Gli scontri tra Israele e Hezbollah non sono solo all’ordine del giorno, ma si sono intensificati negli ultimi mesi, in un’escalation che pone la leadership israeliana di fronte al problema di che cosa sia meglio o meno rischioso fare, mentre il fronte con Gaza rimane ancora ampiamente aperto.
Le capacità militari e gli armamenti avanzati in mano al Partito di Dio sono incomparabilmente più pericolosi per Israele di quelle di Hamas a Gaza, avendo circa 150.000 missili che possono raggiungere Tel Aviv, la zona più densamente popolata del Paese.
Dal 7 ottobre ci sono stati circa 4.400 lanci di razzi e missili o attacchi a distanza tra Israele e Hezbollah, secondo i calcoli del Center for Strategic and International Studies pubblicati giovedì. Inoltre, Hezbollah ha ripetutamente violato la Risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 2006, dispiegando forze militari e lanciando missili anti-carro teleguidati dalla zona compresa tra il confine con Israele e il fiume Litani, dove, secondo la risoluzione, può operare solo l’esercito dello Stato libanese e il contingente Unifil.
«Gli Stati Uniti devono aumentare i propri sforzi diplomatici per evitare quello che potrebbe diventare un più ampio e violento conflitto in Medio Oriente» hanno scritto gli esperti del CSIS nel report di questa settimana.
Droni kamikaze
Venerdì, vari razzi lanciati dal Libano verso la zona di Metula al nord di Israele sono stati intercettati dall’Idf, che ha successivamente colpito i luoghi origine di quegli attacchi e bombardato un compound militare di Hezbollah a Ayta ash Shab, a circa un chilometro dal confine.
Oltre a lanci di razzi e missili, prevalentemente fabbricati in Russia e Iran, dalle zone prospicienti al confine, Hezbollah ha fatto sinora ampio uso di droni, inclusi quelli cosiddetti “kamikaze”, ponendo una nuova sfida per la difesa israeliana, ha spiegato il Colonnello Dotan, dell Brigata Bar'am, che presidia la sezione ovest del confine israelo-libanese.
Dall’inizio della guerra a Gaza, l’Idf ha schermato i Gps nella zona nord, proprio per evitare attacchi di droni e missili guidati da Gps dal Libano. Tale schermatura, fa sì, per esempio, che provando ad usare google maps nelle zone più a nord, oltre Haifa, l’app indica Beirut, come localizzazione.
«Prima cercavano di colpire i nostri carri armati, ora mirano a obiettivi civili e ci sono stati anche casi di terroristi che hanno cercato di infiltrarsi attraverso il confine. Nella maggior parte dei casi li abbiamo fermati, ma alcune volte hanno ucciso dei soldati» racconta il Colonnello da una base dell’Idf vicino al confine col Libano. «La nostra missione tattica è di proteggere il confine qui al nord e non di spingerci oltre. Di rendere il nord sufficientemente sicuro così le comunità possano tornarci a vivere» spiega Dotan, che prima del 7 ottobre viveva con la moglie e i loro tre figli a Eilon, un kibbutz a un chilometro e mezzo circa dal confine nord.
«Se però arriva una nuova fase e spero di no, noi siamo preparati».
Ad oggi non è chiaro se questa eventuale nuova fase implicherebbe solo un intervento di terra mirato a spingere le forze di Hezbollah al nord del fiume Litano o invece possa riguardare persino il resto del Libano, incluso Beirut.
«Il governo deve decidere su che cosa si deve concentrare l’Idf al nord» segnala Kobi Marom, colonnello dell’esercito in pensione ed esperto di questioni di sicurezza, che ha combattuto nell’ultima guerra contro il Libano.
«Il nostro obiettivo deve essere quello di spingere Hezbollah al di sopra del fiume Litani, ma questa può trasformarsi in una guerra totale, che penso il governo israeliano non voglia e credo anche che l’Iran non sia interessato a questo».
Marom vede uno spiraglio per poter negoziare una ritirata di Hezbollah oltre il Litani, nel caso in cui ci fosse un cessate il fuoco a Gaza. «Ma se non accettano di farlo, Israele dovrà agire».
Conflitto nel governo
Diviso su come sia meglio affrontare il fronte nord, con le frange di estrema destra che spingono per un intervento più forte per sradicare una volta per tutte anche la minaccia di Hezbollah, per ora il governo si sta limitando a contenere gli scontri a nord, che alcuni definiscono una guerra di attrito con il gruppo filo-iraniano.
Peraltro, la diplomazia si sta adoperando, sinora senza successo, per ridurre le tensioni su quel fronte, consapevole che potrebbero deflagrare in ogni momento. «Potremmo scatenare una guerra totale in Libano, è un’opzione e dal punto di vista teorico lo potremmo fare immediatamente» spiega Eran Ortal, ex comandante di Dado, il Centro Interdisciplinare di Studi Militari dell’Idf.
Anche se, con il conflitto di Gaza in corso, ciò implicherebbe uno sforzo militare e dei rischi da non renderla un’ipotesi realistica, continua Ortal. La seconda opzione, sottolinea l’esperto, sarebbe quella di fare una «guerra a metà», per rimuovere Hezbollah al di sotto del Litani. «Ma in realtà non è un’opzione perché saremmo immediatamente intrappolati in una guerra vera e propria».
La strategia più percorribile rimane, secondo Ortal, quella di aspettare che l’attuale guerra di logoramento finisca e prepararsi per un conflitto vero e proprio in futuro.
«Una guerra breve e aggressiva per rimuovere la minaccia militare e confutare l’efficacia della strategia perseguita dall’Iran di guerre per procura».
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