- L’Iron Dome dal 2011 è il pilastro centrale della strategia di difesa israeliana: permette di intercettare in aria i missili in arrivo, e da tempo faceva gola a Kiev.
- Secondo quanto siamo riusciti a ricostruire, Volodymyr Zelensky ha insistito con l’omologo israeliano per avere il sistema durante una visita ad ottobre, ma senza successo. Mosca è decisiva per lo Stato ebraico soprattutto in Siria.
- Un esperto del think tank inglese Rusi dice che il sistema avrebbe colmato le gravi lacune dell’esercito ucraino in fatto di difese anti aeree, ma difficilmente sarebbe stato decisivo.
Kiev, ottobre 2021. Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky si prepara ad accogliere il presidente israeliano Isaac Herzog impegnato nel suo primo viaggio all’estero dopo la nomina. La capitale è ricoperta di poster col numero 30, per celebrare l’anniversario dell’indipendenza, in centro si espongono bandiere israeliane per l’occasione, anche se l’ansia e l’attesa dei più si concentra sull’imminente partita della Dinamo Kiev, la squadra di calcio locale, con il Barcellona (finì in effetti quattro a zero per gli spagnoli).
Il motivo della visita di Herzog è l’ottantesimo anniversario del massacro di Babi Yar, in cui 34mila ebrei vennero uccisi in una gola a nord di Kiev in soli due giorni nel settembre 1941, durante l’invasione nazista che ora Zelensky paragona a quella di Vladimir Putin.
Il programma s’incentra sul nuovo Memoriale inaugurato a Babi Yar, ma il leader ucraino cerca di trovare in agenda il dovuto spazio per l’attualità del conflitto che imperversa sul fronte orientale dell’Ucraina.
Herzog e Zelensky si incontrano il 5 ottobre nell’imponente palazzo presidenziale Mariinskyi di fianco alla Rada (il parlamento), voluto da Caterina II di Russia come residenza di vacanze di Kiev. Proprio quel retaggio, oltre a quello sovietico, fa dire a Putin che l’Ucraina è sempre stata russa. E che va “denazificata”, un concetto ancora più stravagante dal momento che a Kiev è in carica il primo presidente ebreo della storia del paese.
La difesa Iron Dome
Dalla conferenza stampa, come spesso accade, trapela poco di quanto è stato discusso dietro le quinte. Secondo quanto è riuscito a ricostruire Domani, Zelensky ha insistito sul tema della minaccia proveniente dalla Russia, chiedendo sostegno militare a Israele in particolare sotto forma di batterie Iron Dome, il sistema di sicurezza anti aerea che permette di abbattere i missili in arrivo, dal 2011 colonna portante della strategia di difesa dello stato ebraico.
Una fonte israeliana che ha avuto colloqui diretti con Herzog sull’argomento racconta come il presidente si trovò in una situazione di imbarazzo. «Ha dovuto dire a Zelensky che Israele non avrebbe potuto soddisfare le sue richieste, né avrebbe potuto intercedere presso gli americani per aiutare Kiev a procurarsi il sistema. Il motivo era la paura di danneggiare i suoi rapporti con la Russia», dice.
Justin Bronk, del think tank inglese Rusi, specializzato in sicurezza e difesa, sostiene che il sistema Iron Dome «avrebbe reso i piani russi più complicati perché avrebbe colmato una grave lacuna dell’esercito ucraino, cioè la mancanza di difese anti missilistiche efficaci».
Per quanto sussistessero due gravi problemi da affrontare: «Il sistema Iron Dome è costosissimo», spiega (ogni missile intercettato costa circa 45mila dollari), «Kiev difficilmente avrebbe potuto sostenere le spese per adoperarlo. E comunque non sarebbe bastato a colmare l’abisso fra le forze in campo».
I rapporti con la Russia
Per Israele i rapporti con Putin sono più che mai decisivi, soprattutto da quando, sostenendo il regime di Bashar Assad, la Russia ha acquisito un ruolo di protagonista a livello regionale. Da anni i caccia israeliani agiscono impunemente nei cieli della Siria, colpendo obiettivi dell’Iran, dei miliziani sciiti di Hezbollah, oppure dello stesso regime di Damasco. Prima di spiccare il volo per attaccare la Siria, talvolta direttamente dallo spazio aereo libanese, gli israeliani devono alzare la cornetta e ottenere un solo via libera: quello dei russi.
È per questo motivo che, a due giorni dall’invasione russa dell’Ucraina, tutt’ora è proibito ai quadri della difesa israeliana commentarla pubblicamente. Naftali Bennett, il primo ministro che da nove mesi ha messo fine al lunghissimo governo di Benjamin Netanyahu, si è limitato a dichiarazioni generiche: “Israele giura di fornire qualsiasi sostegno di tipo umanitario [all’Ucraina]”, ha scritto su Twitter. Secondo indiscrezione della TV israeliana, durante una telefonata giovedì sera Zelensky gli avrebbe chiesto di ospitare colloqui fra ucraini e russi a Gerusalemme.
Ma quando mercoledì il ministero degli Esteri ha diffuso un comunicato di sostegno all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina, pur senza nominare la Russia o Putin, tanto è bastato per provocare una rappresaglia del Cremlino. «Condanniamo l’occupazione israeliana del Golan, territorio siriano», hanno fatto sapere i russi, alludendo alla regione montagnosa occupata da Israele nel 1967, annessa nel 1981, e riconosciuta come parte integrante dello stato ebraico dagli americani. Un messaggio chiarissimo.
«Israele è di fatto ostaggio della Russia in Siria», dice Ruslan Kavatsiuk, attualmente vice amministratore delegato del progetto del memoriale di Baby Yar, nonché ex consigliere del Capo di stato maggiore generale dell’esercito ucraino durante il conflitto con la Russia nel 2014-2015. «Ero in viaggio in Israele negli scorsi giorni, abbiamo incontrato il presidente ed il ministro degli esteri. Sono solidali con l’Ucraina, ma la presenza russa in Siria, lascito delle politiche di Barack Obama, fa sì che abbiano le mani legate».
Kavatsiuk è rientrato d’urgenza in Ucraina, con l’ultimo volo da Israele, dopo aver ascoltato il discorso di Putin domenica sera. «Ho capito subito dove andava a parare», dice con voce sconsolata, ormai profugo nella regione di Leopoli. «Gli israeliani hanno provato a mediare per gli ucraini, ma hanno avuto risposte negative dai russi», spiega.
Ha fatto in tempo a tornare dall’aeroporto a casa nella cittadina di Hostomel, a nord-ovest della capitale, e giovedì mattina lo hanno svegliato le bombe. Dopo 18 ore di macchina coi figli di tre e sette anni è arrivato troppo tardi alla frontiera: gli uomini fra i 18 e i 60 anni non potevano già più uscire. «C’erano 30 ore di coda solo per provare. Mia moglie ha deciso di restare con me», dice.
La via di fuga di Zelensky
Dopo l’incontro con Herzog lo scorso ottobre, davanti ai giornalisti, Zelensky aveva messo sullo stesso piano l’Olocausto e l’Holodomor, la carestia causata dalle politiche di confisca ai danni dei piccoli proprietari terrieri detti kulaki, all’epoca di Stalin negli anni Trenta.
La memoria dell’Holodomor è un terreno di scontro culturale durissimo con Mosca: viene da chiedersi cosa avverrà ora ai musei aperti da Kiev sulla carestia negli ultimi anni. Tale comparazione lascia però intuire il poco peso che Zelensky ha sempre attribuito alla sua identità ebraica, considerandosi impegnato viceversa a forgiare quella ucraina.
Ex attore e comico di successo, all’epoca specializzato nelle imitazioni proprio del presidente, Zelensky si è infatti sempre dichiarato laico, e il suo credo religioso non è mai stato un tema centrale nel paese. «La mia famiglia non è ortodossa, è la classica famiglia ebraica sovietica», ha detto al Times of Israel nel 2020, «la maggior parte delle famiglie ebraiche in epoca sovietica non erano religiose, di fatto la religione non esisteva».
Ciò non toglie che, se le cose si mettessero davvero male, tecnicamente potrebbe sempre fare le valigie e richiedere la cittadinanza israeliana.
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