- L’Iran starebbe per attaccare l’Arabia Saudita, il maggior produttore petrolifero al mondo, e l’Iraq, per la precisione l’area di Erbil.
- La minaccia di attacchi militari, secondo il Wall Street Journal, è stata condivisa da fonti dell'intelligence saudita con i servizi americani e ha fatto immediatamente alzare il livello d’allerta militare nella regione.
- Di fronte all’imminenza di un attacco iraniano è molto difficile che gli Stati Uniti abbandonino l’Arabia Saudita al proprio destino (o in mano ai cinesi o ai russi).
L’Iran sarebbe pronto ad attaccare l’Arabia Saudita, il maggior produttore petrolifero al mondo, e l’Iraq, per la precisione l’area di Erbil, nella zona curda e settentrionale del paese ricca anch’essa di giacimenti di greggio. Gli attacchi avrebbero l’obiettivo di distogliere l'attenzione dell’opinione pubblica dalle massicce proteste interne che stanno scuotendo come mai in passato il regime khomeinista da settembre.
Come conseguenza geopolitica la minaccia del regime iraniano verso Riad sta ricompattando l’alleanza tra Stati Uniti e Arabia saudita che aveva vacillato dopo la decisione del principe ereditario bin Salman di aderire al taglio della produzione petrolifera.
La battaglia del petrolio
Lo scorso 5 ottobre l’Opec+, il cartello dei maggiori paesi produttori di petrolio, aveva deciso di ridurre la produzione di due milioni di barili al giorno per sostenere i prezzi del greggio, sfidando così l’occidente alle prese con il caro bollette.
Uno schiaffo politico ai pressanti appelli del presidente americano Joe Biden che chiedeva, dopo aver effettuato un viaggio molto contestato dai liberal proprio a Riad, di non tagliare la produzione di greggio prima delle elezioni di midterm.
La Casa Bianca ha cercato fino alla fine di fare pressione sull’Opec+ (a cui aderisce anche la Russia) affinché non procedesse a un taglio che ha avuto effetti sui prezzi dell’energia e della benzina a ridosso delle elezioni di metà mandato, rendendo in parte vani gli sforzi compiuti dai democratici per mantenere il controllo del Congresso.
Il livello di allerta nel Golfo
La minaccia di attacchi militari, secondo il Wall Street Journal, è stata condivisa da fonti dell’intelligence saudita con i servizi americani e ha fatto immediatamente salire il livello d’allerta militare nella regione, con la Casa Bianca che si dice «preoccupata» e «pronta a rispondere» a Teheran.
Dopo il conflitto in Ucraina e le tensioni con la Cina a Taiwan, acuite dopo il viaggio della speaker della Camera, Nancy Pelosi, si prospetta per Washington l’incubo di tre fronti aperti in contemporanea con una possibile crisi in medio oriente.
Per l’intelligence saudita nel mirino di Teheran ci sarebbero obiettivi nel regno saudita e a Erbil, città già bersaglio di attacchi di droni e missili balistici iraniani a fine settembre.
Uno di questi era stato intercettato e abbattuto da un caccia americano prima che potesse colpire le truppe statunitensi che si trovano nella zona della città irachena, roccaforte dei peshmerga curdi. La minaccia è stata ritenuta credibile dai servizi americani e da altri paesi dell’area.
«Siamo preoccupati per il quadro complessivo e rimaniamo in contatto costante con i sauditi attraverso i canali militari e di intelligence», ha affermato un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa sottolineando che gli Stati Uniti «non esiteranno ad agire in difesa dei nostri interessi e partner nella regione».
Non sarebbe la prima volta d'altra parte che Teheran minaccia un attacco. Le autorità iraniane hanno accusato pubblicamente Arabia Saudita, Stati Uniti e Israele di aver istigato le manifestazioni di protesta dopo la morte della giovane Mahsa Amini, fermata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente il velo islamico.
Recentemente il comandante dei Pasdaran, il generale Hossein Salami, ha lanciato un ultimatum a Riad a proposito della copertura delle manifestazioni da parte dei suoi media, accusando il regno di interferenze negli affari interni iraniani.
Le tensioni con Riad
L’ultimo avvertimento arriva in un momento in cui la tensione tra l’Iran sciita, l’Arabia Saudita sunnita e gli Stati Uniti è fortemente accresciuta alla luce del sempre maggior coinvolgimento di Teheran al fianco della Russia di Vladimir Putin nella guerra in Ucraina.
Proprio in queste ore il portavoce per la Sicurezza nazionale americana, John Kirby, ha espresso la preoccupazione dell’amministrazione Biden sul fatto che, oltre ai droni kamikaze, l’Iran possa presto fornire a Mosca missili terra-terra contribuendo così all’escalation del conflitto e alle distruzioni di obiettivi civili.
Senza dimenticare che siamo nel periodo più delicato nei lunghi rapporti diplomatici tra Riad e Washington, con il presidente Biden che ha annunciato di volerli «rivedere» dopo l’ultima decisione dell’Opec+.
Di fronte all’imminenza di un attacco iraniano, tuttavia, è molto difficile che gli Stati Uniti abbandonino l’Arabia Saudita al proprio destino (o in mano ai cinesi o ai russi), anche per evitare di mettere a rischio le operazioni antiterrorismo americane, gli sforzi compiuti per contenere l’egemonia dell’Iran e i suoi tentativi di dotarsi di un’arma nucleare, il piano per una maggiore integrazione di Israele nella regione.
Fino a ieri gli osservatori internazionali, per capire se la frattura tra Stati Uniti e Arabia Saudita fosse permanente, concentravano la loro attenzione su tre eventi: le elezioni di medio termine, il prossimo incontro dell’Opec+ (4 dicembre) e il viaggio del presidente cinese Xi Jinping a Riad.
Oggi la rinnovata minaccia militare iraniana sembra suggellare da sola il destino di una partnership lunga 80 anni che pareva in fase di inesorabile declino.
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