-
La grandezza dell’impero persiano suscita ancora oggi nella Repubblica islamica ambizioni di controllo globale.
-
La conquista persiana di Babilonia ha gettato le fondamenta per un’entità che sarebbe alla fine diventata una costante della storia mondiale, seconda solo alla Cina per longevità.
-
Ma alcuni ostacoli limitano le ambizioni iraniane a una posizione di potenza regionale. Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari, in edicola e in digitale dal 27 gennaio.
Io ho suscitato uno dal settentrione ed è venuto, dal luogo dove sorge il sole l’ho chiamato per nome; egli calpesterà i potenti come creta.
Isaia 41,25
Era il primo, molto tempo dopo l’ultima volta che un potere dell’altopiano iraniano aveva conquistato le pianure fertili della Mesopotamia. Gli ebrei in esilio a Babilonia accoglievano il re persiano invasore come un liberatore mandato da Dio, mentre lo stesso Ciro si premurava di presentare ai babilonesi la sua conquista come un atto compiuto nel nome del loro sommo dio, Marduk, che l’ultimo re di Babilonia aveva abbandonato. È stato dunque incorporando la Mesopotamia e sfruttando i sentimenti religiosi che l’antico impero persiano ha dato inizio alla sua ascesa al potere sulla maggior parte del mondo conosciuto nel Sesto secolo a.C.
È semplicemente un curioso scherzo del destino che oggi, oltre 2mila anni e mezzo dopo, l’impero persiano usi ancora una volta il sentimento religioso nei suoi tentativi di controllare le pianure occidentali dell’altopiano? E che gli ebrei, pur avendo il proprio stato potente, siano tutt’altro che accoglienti nei confronti di questo pericoloso rivale? Può darsi, ma è anche una testimonianza dei fattori a lungo termine che plasmano l’Iran ancora oggi.
La Repubblica islamica è sui giornali ogni giorno, che si parli delle milizie filo-iraniane in Iraq e nel Levante, dei droni iraniani mandati in Russia per la guerra in Ucraina, o delle operazioni israeliane, non troppo segrete, che tentano di negare la bomba nucleare a Teheran. Più di recente, è la situazione interna dell’Iran a fare notizia, ora che il paese vede il movimento di protesta più grande dalla rivoluzione del 1979. All’origine c’è la strozzatura dell’economia iraniana con le sanzioni internazionali e il crollo degli standard di vita che hanno alimentato la rabbia nei confronti del regime.
Quasi tutte queste questioni hanno un bagaglio storico pesante: l’Iran ha cercato sin dai tempi di Ciro di estendersi verso il Mediterraneo, i suoi comuni legami sciiti con l’Iraq risalgono al Sedicesimo secolo, le relazioni turbolente con la Russia sono radicate nella campagna persiana di Pietro il Grande nel Diciottesimo secolo, persino le carenze strutturali della sua economia e le ambizioni nucleari sono rimaste ai tempi dell’ultimo scià.
Un’altra importante implicazione dell’eredità storica dell’Iran è la sua grandezza passata. Per buona parte degli ultimi 2.500 anni, l’Iran è stato nel cuore di imperi che dominavano vasti spazi del medio oriente e dell’Asia centrale e meridionale, aspirando spesso a niente meno della dominazione mondiale. Confrontandosi con questa storia, gli iraniani possono vedere, e vedono, il loro stato attuale come un’aberrazione. Reclamare lo status perduto dell’Iran di grande potenza è stato a lungo l’obiettivo ultimo dei governanti iraniani, a prescindere dalle ideologie su cui si basavano i loro regimi.
Ma la storia non è l’unica base per le loro pretese: la posizione geografica dell’Iran, le sue risorse naturali e umane, e la sua capacità di lunga e vasta esperienza di organizzazione sociale e politica danno ulteriore fondamento alle aspirazioni di Teheran. Un’analisi delle caratteristiche più permanenti dell’Iran – la sua storia, la geografia, la popolazione, la struttura della sua economia, il potere militare e il suo ambiente internazionale – è necessaria per determinare se l’Iran potrà o meno un giorno realizzare il suo sogno di grandezza.
Eredità storica
La conquista persiana di Babilonia ha gettato le fondamenta per un’entità che sarebbe alla fine diventata una costante della storia mondiale, seconda solo alla Cina per longevità. Questa entità avrebbe preso il suo nome attuale nel Terzo secolo d.C., dal momento che i suoi governanti chiamavano il loro impero Eranshahr, “Terra degli ariani”. Si è così diffusa la forma abbreviata, Eran, mentre il suo opposto an-Eran, “non ariano”, ha iniziato a essere usato per indicare il resto del mondo. I governanti di Eran rivendicavano la supremazia sugli an-Eran e hanno creato tre troni minori, uno per i governanti di Bisanzio, uno per la Cina e uno per i nomadi dell’Asia centrale, accanto al loro trono significativamente più grande nel palazzo.
L’Iran ha assunto molteplici forme nel corso dei secoli: cambi di dinastie, invasioni straniere, periodi di caos interno e l’espansione imperiale hanno plasmato l’impero. Sebbene sia passato attraverso importanti cambiamenti, non ha però mai perso la sua identità unica e il suo senso di superiorità. Il paese ha gradualmente sottomesso i conquistatori stranieri con il potere delle sue tradizioni statali. Anche la conquista araba, che ha portato all’islamizzazione dell’Iran, ha infine portato gli arabi ad adottare molti elementi della cultura e del governo persiani. Questa disposizione era stata accettata poiché i califfi abbasidi trovavano conveniente lasciare l’amministrazione del loro impero all’abile burocrazia persiana. La lingua persiana, profondamente influenzata dall’arabo, ha persino superato i confini dello stato persiano. Nel Sedicesimo secolo, tre grandi imperi del mondo islamico usavano infatti il persiano come lingua ufficiale: l’impero turco ottomano, l’impero turco safavide dell’Iran e l’impero moghul in India, con quest’ultimo che ha continuato a farlo fino al Diciannovesimo secolo, cosa che ha portato a una significativa influenza persiana sull’urdu pakistano.
Eppure l’Iran moderno non è all’altezza del suo glorioso passato. Il risultato delle guerre con l’Impero ottomano è stata la perdita definitiva della Mesopotamia. Contenuto nel suo confine occidentale e isolato dai progressi tecnologici delle potenze europee, l’Iran è andato incontro a secoli di declino. I suoi confini si sono ridotti considerevolmente, dapprima perdendo i territori dell’Asia centrale, grazie ai quali gli iraniani controllavano il redditizio commercio della Via della Seta con Cina e India, poi, all’inizio del Diciannovesimo secolo, con la conquista russa dei suoi domini nel Caucaso (compresa la culla azerbaigiana della dinastia safavide).
L’ex grande potenza è ben presto divenuta una pedina nel “grande gioco” tra l’impero russo e quello britannico in competizione, finché nel 1907 è stata trattata come una semi colonia divisa in sfere di influenza russa e britannica. Occupata dalle stesse due potenze durante entrambe le guerre mondiali, l’Iran è riuscito a sfuggire al suo status semi coloniale attraverso il rapporto con gli Stati Uniti, diventando il suo più fedele alleato regionale durante la Guerra fredda. Tuttavia, l’alleanza con Washington ha significato anche una nuova forma di dipendenza, in particolare con il colpo di stato sponsorizzato dalla Cia contro il primo ministro Mossadegh nel 1953. Questo periodo di dominio straniero ha avuto un impatto significativo sulla coscienza nazionale iraniana e spiega in parte la reticenza della Repubblica islamica nei confronti dei poteri esterni.
Eredità geografica
Situato nel centro dell’Eurasia, l’Iran ha una posizione geografica vantaggiosa. In passato la Via della Seta attraversava la Valle di Fergana (oggi Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan) e l’Afghanistan, tutti parte dell’Impero persiano, prima di entrare nell’Iran vero e proprio, portando così le merci dalla Cina e dall’India al Mediterraneo. Ancora oggi, per il fatto di condividere le frontiere di terra e di mare con quindici paesi e di collegare varie regioni, l’Iran ha una capacità commerciale e di comunicazione come poche altre nazioni.
Con i suoi confini naturali netti l’Iran sembra un’isola montuosa nell’“oceano” di pianure che formano il medio oriente e l’Asia centrale. Si trova nella parte occidentale dell’altopiano iraniano (la parte orientale è condivisa tra Afghanistan e Pakistan) ed è circondato da montagne su tutti e quattro i lati: i monti Zagros sono a cavallo del suo confine occidentale, il monte Alborz è a nord-ovest e nord-est, infine il deserto di Lut, rinforzato dalle montagne del Khorasan e del Baluchistan, presenta una formidabile barriera a oriente. Le poche pianure, soprattutto il territorio che si affaccia sul mar Caspio e la provincia del Khuzestan, al confine con l’Iraq, hanno un ruolo molto importante nell’economia iraniana. La stretta pianura del Caspio produce un quarto dell’intera produzione agricola dell’Iran e la maggior parte del petrolio iraniano si trova nel Khuzestan.
Nonostante il confine con il Caspio a nord e il Golfo Persico e il Golfo di Oman a sud, l’Iran è essenzialmente un paese senza sbocco sul mare. Questo perché il Caspio è inteso come un grande lago, mentre lo Stretto di Hormuz forma un collo di bottiglia nel Golfo Persico. La maggior parte dei pochi porti dell’Iran sono nel Golfo Persico. L’unico porto importante dell’Iran che potrebbe dargli accesso diretto all’oceano Indiano è Chabahar, situato nel montuoso e instabile Baluchistan (questo porto è anche una caratteristica principale della politica indiana nei confronti dell’Iran). Pertanto, affinché l’Iran possa proiettare il potere in sicurezza in mare aperto, deve controllare l’altro lato del Golfo Persico, o almeno quello dello Stretto di Hormuz, cosa che l’Iran è riuscito a fare molte volte in passato. Queste realtà geografiche mettono comprensibilmente a disagio gli stati arabi del Golfo.
Popolazione
Con una popolazione di quasi 83 milioni, l’Iran è significativamente più popoloso di tutti i suoi vicini, a eccezione della Turchia. Quasi metà della popolazione iraniana appartiene a un gruppo etnico diverso da quello della maggioranza persiana. Ci sono altre etnie iraniane (curdi, beluci) e turche (azeri, turkmeni), arabe e altre ancora. Le minoranze si trovano tutte nelle regioni di confine e con i loro compatrioti che vivono appena dall’altra parte, che si tratti dell’ex Azerbaijian sovietico, dei curdi in Turchia e Iraq, o del Baluchistan afghano e pakistano.
L’Iran ha due pilastri unificanti: il fatto che il nucleo geografico del paese sia etnicamente persiano e il fatto che l’85 per cento della popolazione – cioè, incluse molte minoranze – sia composto di musulmani sciiti duodecimani, per cui la religione è oggi vista come parte integrante dell’identità iraniana. Il resto della popolazione è quasi interamente costituito da musulmani sunniti, la maggior parte curdi, baluchi e turkmeni, il che rappresenta una potenziale debolezza per lo stato iraniano.
La minoranza più significativa è quella dei turchi azeri, che costituiscono almeno un quarto della popolazione totale e, come i curdi, abitano le regioni occidentali più densamente popolate dell’Iran. Gli azeri sciiti duodecimani sono anche i fondatori del moderno stato iraniano, a cominciare dall’Impero safavide e sono stati per secoli il gruppo etnico dominante dell’Iran. È questa storia comune e la vicinanza religiosa e culturale a tenere legati azeri e persiani, anche se ci sono stati tentativi da parte di potenze straniere di usare gli azeri contro Teheran. L’episodio più significativo risale alla creazione nel 1945-1946 di una Repubblica di breve durata dell’Azerbaijan meridionale da parte delle forze sovietiche occupanti, insieme a uno stato simile per i curdi iraniani. Oggi, l’esistenza di un vicino Azerbaijan indipendente è una potenziale preoccupazione per l’Iran. D’altra parte, già l’esistenza del Kurdistan iracheno è una preoccupazione, con gruppi separatisti curdi provenienti dall’Iran che usano questa regione autonoma come base nella loro lotta contro il governo iraniano.
A seguito della “Rivoluzione bianca” dello Scià (1963-1979), i movimenti della popolazione nati dalla guerra con l’Iraq, così come della generale lotta popolare per abbandonare le campagne, l’Iran contemporaneo è un paese altamente urbanizzato, con la popolazione di Teheran che sfiora i 14 milioni. Il paese ha un tasso di alfabetizzazione relativamente alto e un basso tasso di fertilità per la regione del medio oriente, con circa il 60 per cento degli iraniani in possesso di una laurea. L’Iran è noto da tempo per la qualità del suo capitale umano, con un corpo di scienziati (in particolare ingegneri) tradizionalmente capace. Gli studenti iraniani sono tra i migliori alle Olimpiadi internazionali della scienza e regolarmente superano gli studenti di paesi come Francia e Gran Bretagna. Le difficoltà economiche e le lotte politiche interne hanno portato a una quantità significativa di fuga di cervelli: circa 180mila laureati, molti dei quali scienziati, lasciano l’Iran ogni anno.
Economia
Sin dalla scoperta del petrolio in Iran nel 1908, l’“oro nero” è stato il principale prodotto di esportazione. L’industria petrolifera ha provocato la crescita economica dell’Iran sotto lo scià Mohammad Reza Pahlavi (1941-1979) e ha permesso allo stato di sopravvivere durante la guerra con l’Iraq (1980-1988). Lo scià ha tentato di diversificare l’economia, investendo in grandi progetti per impianti chimici, siderurgici, di rame e persino nucleari in collaborazione con aziende europee e giapponesi. Questa industrializzazione, insieme ad altri elementi modernizzanti della “Rivoluzione bianca”, ha indebolito la posizione delle classi tradizionali di artigiani e bazari (mercanti), che si erano uniti al clero e all’ex classe contadina (ora proletarizzata con le masse cittadine del sottoproletariato in opposizione al regime). La rivoluzione del 1979, una controrivoluzione piccolo-borghese, ha portato a ristabilire l’ordine tradizionale e, quindi, a una stagnazione dello sviluppo economico. In uno stato di pesante isolamento e di accesso limitato alle tecnologie occidentali, l’Iran islamista riesce comunque a fornire al proprio mercato alcuni beni di produzione nazionale, come le automobili, prodotte dall’industria automobilistica ereditata dallo scià, con la collaborazione di francesi, sudcoreani e aziende cinesi.
L’Iran possiede inoltre grandi quantità di gas naturale, sebbene non lo esporti ma lo utilizzi invece per il proprio mercato interno. L’ambizione di Teheran di procurarsi armi nucleari nasconde spesso un’altra ragione di interesse dell’Iran, ovvero l’energia: se potesse soddisfare il proprio fabbisogno interno di energia attraverso centrali nucleari, l’Iran potrebbe liberare il gas per l’esportazione.
Una caratteristica specifica dell’economia iraniana contemporanea è il ruolo forte dello stato (che possiede molte imprese), così come l’esistenza delle cosiddette “fondazioni rivoluzionarie” che controllano fino al 20 per cento dell’attività economica totale nel paese. Le fondazioni, le cui attività dovrebbero costituire le attività benefiche islamiche, godono di totale autonomia dallo stato: sono esenti da tasse e sono inoltre sovvenzionate da un più facile accesso al credito o da stanziamenti di bilancio diretti. Molte delle fondazioni sono controllate dal Corpo dei guardiani della rivoluzione, Sepah-e Pasdaran, che conferisce a questo già formidabile secondo esercito dell’Iran un’ulteriore leva economica.
Forza militare
L’esercito è una priorità fondamentale dell’Iran dal momento che la sopravvivenza del paese e del suo regime dipendono dalla capacità militare. L’Iran, che desidera una garanzia di sicurezza stabile, sogna le armi nucleari dagli anni Settanta. I servizi segreti hanno costantemente contrastato il programma nucleare iraniano, ma ora l’Iran sembra essere sempre più vicino a ottenere un’arma nucleare. Possedere effettivamente quest’arma, ad ogni modo, avrebbe molti effetti negativi sull’Iran: in particolare, svanirebbe ogni speranza di un rinnovo dell’accordo nucleare del 2015 e della rimozione delle sanzioni statunitensi, che offrirebbero una boccata d’aria fresca alla sua economia in difficoltà.
L’esercito iraniano è composto di fatto da due eserciti, l’esercito regolare, Artesh, che sovrintende alla difesa generale del paese, e il Pasdaran, che si occupa della strategia di difesa territoriale scelta dal regime, così come delle azioni offensive e segrete dell’Iran all’estero. Il Pasdaran guida anche un’ampia rete di milizie filo-iraniane in Iraq, Siria, Libano e Yemen. Il Corpo è stato creato come garanzia del regime islamico contro l’esercito nel caso di sospetto di slealtà. Il Pasdaran riceve la parte migliore in termini di equipaggiamento e finanziamenti e i suoi membri occupano le posizioni più alte nello stato maggiore iraniano, mentre ai generali dell’esercito regolare vengono affidate responsabilità logistiche secondarie. L’Artesh naturalmente disprezza lo status privilegiato del Pasdaran e persiste una feroce competizione per le posizioni e i finanziamenti tra i due eserciti. Questo è un altro punto debole dello stato iraniano che potrebbe essere utilizzato non solo dai suoi rivali, ma anche dai manifestanti antigovernativi, nel caso in cui un movimento di protesta in Iran si trasformi in una vera e propria rivoluzione.
Oggi le forze armate iraniane sono un attore formidabile ma non eccessivamente potente in medio oriente. La maggior parte delle armi tradizionali dell’Iran (aerei da guerra, carri armati, veicoli corazzati, artiglieria, navi da guerra) sta invecchiando, poiché risale al periodo sotto lo scià o alla guerra con l’Iraq. Rendendosi conto che il suo arsenale è di qualità molto inferiore non solo a quello di Israele, ma anche a quello dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, l’Iran non ha altra scelta che rispondere in modo asimmetrico. Senza alcuna possibilità di difendere il proprio cielo dall’aviazione moderna o dagli attacchi balistici, e di conseguenza con centri decisionali vulnerabili, l’Iran conta, in caso di attacco, su una strategia di difesa territoriale decentralizzata. Il ruolo di primo piano spetta al Pasdaran che, avendo suddivisioni territoriali sull’intero paese, dovrebbe attirare il nemico in una guerra terrestre nelle zone montuose.
Allo stesso tempo, l’Iran è stato in grado di sviluppare capacità tecnologiche impressionanti con missili balistici e droni propri. Questi ultimi hanno ora dimostrato la loro efficacia non solo in attacchi separati in medio oriente, ma anche in Ucraina, con il loro uso regolare da parte dei russi che mettono a dura prova la difesa aerea ucraina. La possibilità che l’Iran utilizzi queste armi in un attacco di dimensioni simili contro i suoi rivali regionali deve essere motivo di preoccupazione.
Ambiente internazionale
L’ambiente internazionale dell’Iran può essere descritto come “complicato”. Nelle sue immediate vicinanze il paese è circondato da tre tipi di stati: rivali storici (Turchia e Russia), rivali più recenti (Israele e Arabia Saudita) ed ex province. Al di fuori della sua regione l’Iran è isolato dalla sua agenda ideologica e dal suo programma nucleare. Tra le maggiori potenze, solo la Cina e, in una certa misura, l’India intrattengono buoni rapporti con Teheran. Tuttavia, l’Iran è riuscito a ritagliarsi una sfera di influenza in medio oriente, che lo rende un rivale naturale per qualsiasi altra potenza regionale.
L’invasione dell’Iraq da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel 2003 ha dato a Teheran l’opportunità di estendere la sua influenza verso ovest, cosa che ha fatto fino a che l’allora regime di Saddam Hussein ha separato l’Iran dai suoi alleati in Siria (il regime di Assad, con la sua base sociale nella setta alawita di affiliazione sciita) e Libano (la milizia sciita Hezbollah sponsorizzata dall’Iran).
Attraverso le sue milizie e alleati comunali, l’Iran sta ora raggiungendo il Mediterraneo, cosa che preoccupa tanto l’Arabia Saudita (gravemente carente sia in termini di popolazione che di tradizione politica nei confronti dell’Iran) quanto Israele e Turchia. Quest’ultima è una rivale storica dell’Iran e ha i suoi progetti neo-ottomani per l’Iraq e il Levante. La cooperazione situazionale della Turchia con l’Iran in Siria, o la partnership economica tra i due paesi, coesiste bene con la loro implicita, e spesso esplicita, rivalità in medio oriente.
Il rapporto dell’Iran con la Russia è molto simile a quello con la Turchia, anche se solo più pronunciato. Il vicino settentrionale, geograficamente più distante dal crollo dell’Unione sovietica, è attualmente impegnato in una cooperazione con l’Iran in campo nucleare e militare, ma è costantemente attento a qualsiasi ambizione iraniana riguardo all’“estero vicino” russo nel Caucaso e nell’Asia centrale. Quei paesi senza sbocco sul mare hanno molte ragioni per impegnarsi in proficue relazioni con l’Iran (per il vantaggio di ottenere l’accesso al mare aperto) e per temere di diventare troppo dipendenti dal loro antico signore persiano.
A est dell’Iran c’è l’altra metà dell’altopiano iraniano, dove si trova la maggior parte dei gruppi etnici iranici. Il persiano (dal nome di Dari) è la lingua madre dei tagiki e degli hazara in Afghanistan ed è parlato dalla maggior parte della popolazione afgana con la funzione di lingua franca locale. Oltre a questi legami culturali e ai precedenti secoli di inclusione nello stato persiano, l’Afghanistan rappresenta anche un persistente problema di sicurezza per l’Iran, in passato a causa delle invasioni nomadi e oggi a causa del traffico di droga e del terrorismo. Anche il Pakistan, con la sua numerosa popolazione iranica (pashto e baluchi) e l’eredità moghul, ha dei legami culturali con l’Iran. È proprio questa infatti la ragione dei rapporti spesso difficili con Teheran: Islamabad probabilmente ricorda che il tradizionale confine orientale dell’Impero persiano era presso il fiume Indo.
Nonostante i due paesi siano stati bloccati in un rapporto conflittuale per oltre quarant’anni, l’Iran e gli Stati Uniti hanno pochi motivi per litigare. Essendo gli Stati Uniti un attore esterno a priori, in grado di scegliere i propri partner regionali con più libertà rispetto ad altre potenze, ha più senso per Washington cercare un’alleanza con l’Iran piuttosto che con gli stati del Golfo, data la posizione strategica e le capacità molto più preziose di Teheran. Come affermato nientemeno che da Henry Kissinger, l’Iran potrebbe essere l’alleato regionale che gli Stati Uniti sognano di avere, eppure, a causa di una serie di fattori politici – e ideologici – ciò non è avvenuto. L’Iran potrebbe avere un valore simile per l’Unione europea, soprattutto con le sue riserve di gas naturale non sfruttate.
In mancanza di un nuovo accordo nucleare e con le rinnovate sanzioni statunitensi all’Iran (che hanno spinto gli europei a seguire l’esempio), la Cina e l’India sono diventate le più disposte a impegnarsi con Teheran. Pechino e Nuova Delhi si stanno avvicinando sempre di più: l’economia iraniana sopravvive ancora in gran parte grazie all’acquisto di petrolio iraniano da parte della Cina. Nel 2021 i due paesi hanno firmato un accordo per venticinque anni di cooperazione strategica di natura segreta, che presumibilmente include massicci investimenti cinesi in progetti infrastrutturali iraniani in cambio di forniture petrolifere iraniane a lungo termine. L’India sta cercando di competere con questa crescente influenza cinese investendo nel porto di Chabahar, sperando che possa eguagliare il porto pachistano di Gwadar, sponsorizzato dalla Cina.
Sarebbe molto vantaggioso per l’Iran poter intrattenere stretti rapporti con tutte queste potenze, per non dover dipendere da nessuna di esse. Ciò, tuttavia, presupporrebbe di rinunciare alle armi nucleari almeno per il futuro più prossimo e di fare concessioni politiche che potrebbero potenzialmente mettere in pericolo il potere del regime.
Pur con molti aspetti vantaggiosi – abbondanza di risorse, collocazione in un crocevia strategico in Eurasia e una delle più antiche tradizioni culturali e politiche del mondo – all’Iran non mancano gli ostacoli per diventare una grande potenza. La sua economia dipendente dal petrolio, le forze armate divise e sotto equipaggiate e l’ambiente internazionale ostile limitano le ambizioni iraniane a una posizione di potenza regionale. Teheran dovrà prima superare le debolezze strutturali della sua economia e delle sue forze armate, poi sfuggire al suo isolamento internazionale, per sperare di replicare l’eredità di Ciro.
Traduzione a cura di Monica Fava.
© Riproduzione riservata