Parte da Parigi per Teheran per scoprire le sue radici iraniane, invece incrocia la grande storia. Anahid Djalali, 23 anni, figlia di un “rifugiato poetico”, corre il rischio di andare in Iran per vedere un paese che aveva conosciuto solo attraverso i racconti di famiglia. È il 14 marzo 2022 quando Anahid atterra a Teheran insieme alla sua amica Juliette Pierron-Rauwel, giornalista di France Bleu.

Con loro portano un microfono per registrare i suoni dell’Iran, le voci di una famiglia ritrovata. «Da quando ero bambina aspettavo il primo viaggio in Iran. Sono cresciuta con l'idea che ci fosse una terra magnifica a cui appartenevo, ma dove non mi era permesso andare per ragioni che non capivo bene», così Anahid Djalali inizia a raccontarci il viaggio che le ha «cambiato la vita».

Anahid e Juliette non sapevano che sei mesi dopo si sarebbe scatenata una rivoluzione senza precedenti. «Quando il 16 settembre 2022 Mahsa Jina Amini è stata assassinata noi eravamo a Parigi. In quel momento Juliette ed io abbiamo capito di avere le chiavi per comprendere l’immensità di quello che stava accadendo. Abbiamo sentito la responsabilità di prendere posizione e di usare il nostro diario di viaggio per raccontare quello che avevamo visto con i nostri occhi: un regime che resiste solo con la forza».

Così è nato Loin de l’Iran, près de nos soeurs, un podcast in 5 puntate diretto da Solène Moulin per StudioFact Audio, con la partecipazione della celebre artista franco-iraniana Marjane Satrapi (Persepolis) che ha prestato la sua voce per narrare le scene e i passaggi in persiano, oltre ad aver disegnato l’illustrazione.

Quello che doveva essere quindi un racconto intimo sul ritorno alle proprie origini, l’esilio e la ricerca di sé stessi diventa un grido d’allarme e un appello a sostenere la donna, la vita, la libertà. Anahid era andata a trovare la sua famiglia iraniana, ma ha scoperto decine di migliaia di sorelle che lottano contro il regime, i mullah e la polizia morale.

«Il popolo è già libero»

Le scene registrate qualche mese prima dell’inizio della rivoluzione - una notte di festa a Teheran, la vita quotidiana di un villaggio isolato - assumono quindi una dimensione completamente nuova.

«Nell’Iran che abbiamo visto noi nessuno credeva più nel regime, a parte le autorità, e neanche tutte. Le persone, soprattutto le donne, sfidavano i divieti per cose che a noi sembravano così banali: fare musica, ballare, andare in bicicletta, avere un cane... Non c'era più acqua nei fiumi ed economicamente erano tutti allo stremo. La rabbia era profonda e condivisa. La rivoluzione era già in atto. Juliette ed io ogni giorno scoprivamo codici assurdi e leggi sempre più oscurantiste. Ma quello che ci ha colpito di più è stato il modo in cui gli iraniani riescono ad aggirarle, disobbedire è del tutto normale e non hanno nemmeno paura».

Da Teheran a Ispahan, fino a Chimeh, il villaggio del padre, Anahid e Juliette imparano quindi a usare i social tramite la Vpn, che si può ballare ma solo di nascosto nelle case, che l’alcol si compra sul mercato nero, che cantare le proprie idee significa rischiare la vita, come dimostra il rapper Toomaj, in prigione dal 31 ottobre. In un paese dove tutto è politica, anche il gesto più banale può diventare fatale, ma non per questo bisogna smettere.

Roody è l’esempio di una donna che sfida i divieti a ritmo di hip-hop. «Presto la Repubblica islamica non esisterà più, l'unica via d'uscita è un cambio di regime. Secondo me, il popolo è già culturalmente libero. Questa rivoluzione guidata dalle donne e seguita dagli uomini è, a mio avviso, senza precedenti».

Anahid riflette tutta la forza e il coraggio delle giovani generazioni di iraniani che non hanno più paura perché non hanno più niente da perdere. Se c’è chi, come la zia di Anahid, che per 44 anni ha portato il velo accettando a malincuore il regime senza mai arrivare al punto di battersi, oggi invece le giovani urlano il proprio “No!” come gli studenti dell’Università di Teheran in questi giorni.

La forza dei social

«Ma dove avete appreso questa libertà?», nel podcast Ava Djamshidi, reporter del magazine Elle, racconta di aver posto la domanda agli iraniani che, rispondono tutti la stessa cosa: sui social network: «Gli iraniani attraverso i social intravedono un mondo pieno di libertà che li fa letteralmente sognare. E il contrasto con questa specie di oppressione permanente li porta a mettere ancora più in discussione i loro obblighi rispetto al passato».

Certa di poter tornare un giorno nel suo Iran, Anahid incoraggia dunque le sue sorelle lontane e chiede alla comunità internazionale di non distogliere lo sguardo. «La gente ormai quando si saluta non dice più arrivederci, ma be omide azadi, sperando la libertà».

In quest’attesa carica di aspettative, le parole di Marjane Satrapi, nonostante tutto, ci confortano: «Penso che la democrazia sia prima di tutto una cultura, il popolo iraniano non è mai stato così pronto, perché la rivoluzione democratica è già avvenuta in Iran. L’Iran libero di domani sarà un paese pronto a questa libertà che vedo, con grande serenità, ma a lungo termine. Nel breve periodo sono molto preoccupata. Ma sono sicura che questo sia un punto di non ritorno e che la libertà arriverà. La Repubblica islamica ha festeggiato i suoi 44 anni ma non festeggerà i suoi 48 o 50 anni. È obbligatorio. Quando dico che è obbligatorio non è perché scambio i miei sogni per realtà o mi faccio prendere dalle emozioni, è il risultato di un’analisi geopolitica. Questa Repubblica islamica è un’anomalia nella storia iraniana ed è condannata a scomparire. Bisogna essere pazienti».

 

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