Dopo le esplosioni dei cercapersone, una nuova ondata di detonazioni ha travolto il Libano ed Hezbollah. Anche stavolta l’attacco è arrivato dei dispositivi wireless: walkie talkie e pannelli solari soprattutto. Centinaia i feriti e almeno nove i morti, che si aggiungono ai 12 del giorno prima.

«Ci sarà una vendetta sanguinosa», ha tuonato Hashem Safieddine, capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah. Ma, minacce a parte, è assai probabile che già ieri, quando era perfettamente riuscita l'operazione cercapersone, in qualche ufficio di Tel Aviv David Barnea, il capo del Mossad, abbia stappato con i suoi più stretti collaboratori una buona bottiglia di vino.

Un successo, non l'unico negli undici mesi seguiti alla carneficina di Hamas del 7 ottobre. Ci voleva perché nonostante le molte operazioni felici c'è un tarlo che impedisce allo 007 di essere completamente soddisfatto. Gli sforzi profusi per cercare di riportare a casa gli ostaggi, il compito più delicato che gli è stato affidato, non hanno prodotto risultati. È lui, Barnea, che ha fatto la spola tra Doha, il Cairo, l'Europa, gli Stati Uniti per trovare una mediazione. È lui che ha spinto perché il premier Benjamin Netanyahu, da cui direttamente dipende, accettasse un compromesso in nome del principio per cui la salvezza di ogni cittadino sta al di sopra di qualunque altra valutazione tattica. Ed è sempre lui che ha visto frustrate tutte le aspettative, chiudersi ogni spiraglio, almeno sino ad oggi.

Sarebbe improprio sostenere che ieri è stata la rivincita del Mossad per il 7 ottobre. La Striscia di Gaza è di competenza dello Shin Bet, l'agenzia di intelligence interna, e dei servizi segreti militari. Nessuna colpa attribuita a Barnea e i suoi uomini se non furono colti i segni dell'attacco e non furono neutralizzate le intenzioni dei terroristi.

E tuttavia un certo malumore si era diffuso nel Paese circa l'operato dei servizi nel loro insieme, un vanto di Israele praticamente fin dalla fondazione dello Stato che si traduceva in una fiducia altissima in chi garantiva la protezione della popolazione. Non assoluta, ovviamente, vista la situazione di guerra pressoché costante. Alcuni familiari dei rapiti e delle vittime del 7 ottobre si sono spinti anche a promuovere iniziative giudiziarie per le falle nei sistemi di sicurezza.

C'era da riabilitare l'immagine d'insieme delle agenzie e David Barnea era, è, l'uomo più adatto al ruolo, grazie al prestigio che si è conquistato durante una carriera lunga una vita e l'apprezzamento unanime sia dei partiti di maggioranza sia di quelli di opposizione. Nato ad Ashkelon, padre fuggito dalla Germania nazista poco prima della catastrofe, madre insegnante, una laurea al New York Institute of Technology, primo impiego in una banca di investimenti, entrò nel Mossad nel 1966, all'età di 31 anni, divisione Tzomet, al comando delle unità operative all'estero.

Quindi alla Keshet, infiltrazione e monitoraggio degli obiettivi da colpire soprattutto in Libano e in Iran, non per caso i luoghi più delicati e dove ha ottenuto i maggiori risultati nel conflitto attuale con il mondo sciita grazie all' esperienza maturata in precedenza. Quattro premi per la sicurezza nazionale a lui e ai suoi uomini prima di assumere il comando dell'intelligence nel giugno del 2021. Scelto da Benjamin Netanyahu ma con il plauso unanime anche dei suoi più acerrimi detrattori per la sua sua fama di riformatore, la postura schiva e refrattaria ai riflettori come deve essere per chi opera nella segretezza.

Soprattutto per la sua abilità nell'amalgamare “human e signal intelligence”, cioè la combinazione della raccolta di informazioni tramite gli agenti sul terreno e la tecnologia necessaria nella guerra cibernetica. Grazie alla quale gli riuscì il colpo, 27 novembre 2020, di eliminare il fisico nucleare e generale iraniano Mohsen Fakhrizadeh Mahabadi, una delle menti del programma atomico di arricchimento dell'uranio degli ayatollah, ucciso in un agguato mentre viaggiava sulla sua Nissan Teana in una strada di campagna vicina a Teheran.

Fu ammazzato con i colpi di una mitragliatrice attivata da remoto e comandata a 1600 chilometri di distanza con l'aiuto dell'intelligenza artificiale. Come costume, il Mossad non ha mai rivendicato l'agguato. Così come non ha mai ufficialmente riconosciuto di aver aiutato con informazioni preziose i partner americani per l'azione che ha portato all'uccisione a Baghdad il 3 gennaio 2020 del generale iraniano Qasem Soleimani, lo stratega del terrore al servizio della Repubblica teocratica.

Dal 7 ottobre David Barnea si è sentito investito ancora più che in passato dello stesso compito che toccò a diversi suoi predecessori: neutralizzare i più pericolosi leader delle formazioni jihadiste che minacciano Israele. Prendendo ad esempio l'operazione “Collera di Dio” decisa per eliminare i responsabili del massacro degli atleti israeliano alle Olimpiadi del 1972 in Germania.

Proverbiale è diventato il discorso pronunciato a inizio gennaio durante i funerali di Zvi Zamir, leggendario capo del Mossad tra il 1968 e il 1974 che guidò quelle imprese. Disse dunque Barnea: «Ogni madre araba sappia che se suo figlio ha preso parte alla carneficina del 7 ottobre, ha firmato la sua stessa condanna a morte. Anche oggi, mentre siamo nel pieno di una guerra il Mossad, come 50 anni fa, è obbligato a regolare i conti con gli assassini. Ci vorrà tempo, come ce ne è voluto dopo Monaco di Baviera, ma il nostro lungo braccio li raggiungerà in qualsiasi luogo si trovino».

Ha mantenuto la parola e il 2024 è diventato l'anno degli omicidi eccellenti. Da Saleh al-Arouri, comandante delle brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas, a Mohammad Reza Zahedi, comandante delle guardie rivoluzionarie iraniane in Siria e Libano, ucciso a Damasco.

Fino al clamoroso attentato a Teheran contro leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, probabilmente con una bomba piazzata mesi prima nell'appartamento gestito dai Pasdaran dove era uso alloggiare. I cercapersone sono solo l'ultimo anello di una catena che dimostra la capacità di infiltrazione del Mossad nell'universo delle formazioni jihadiste.

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