- Per quanto la flessione della minaccia jihadista sia per alcuni aspetti innegabile, specialmente in Europa, sarebbe un grave errore supporre che questa causa estremistica non rappresenti più un pericolo serio.
- Come l’araba fenice, lo jihadismo globale ha già dato dimostrazione di essere in grado di rinascere dalle proprie ceneri. Innanzitutto, le principali organizzazioni della galassia internazionale sono ancora attive.
- Il testo fa parte del numero di Scenari: Guerra in cielo.
La minaccia jihadista appare oggi meno grave rispetto a pochi anni fa. Nel 2014, con la repentina ascesa dell’(auto-proclamato) “califfato” in Siria e Iraq, lo jihadismo globale si imponeva, di nuovo, come fenomeno centrale della nostra epoca; quei tempi e quelle preoccupazioni ci sembrano ora piuttosto lontani.
In effetti, in medio oriente, il cosiddetto Stato islamico non è più in grado di esercitare appieno la funzione di potente motore della causa globale dello jihadismo. Il 23 marzo 2019 l’organizzazione, cedendo l’ultima roccaforte di Baghuz, in Siria, ha dovuto rinunciare alla sua dimensione territoriale nel vicino oriente. Oltretutto, il 26 ottobre del medesimo anno lo Stato islamico ha perso anche il suo leader storico, Abu Bakr al-Baghdadi, morto in un raid delle forze armate statunitensi nel nord-ovest della Siria.
I successori di al-Baghdadi non si sono dimostrati pienamente all’altezza delle ardue sfide che l’organizzazione deve fronteggiare. Il secondo “califfo”, Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi, ha guidato il gruppo soltanto per poco più di un anno. Nonostante l’ossessione per la segretezza, è stato scovato dalle forze statunitensi ed è caduto il 3 febbraio 2022 nel corso di un raid simile a quello costato la vita al suo predecessore.
Del terzo “califfo”, Abu al-Hasan al-Hashimi al-Qurashi, salito al potere il 10 marzo, sappiamo ben poco; il 26 maggio fonti giornalistiche turche hanno sostenuto che fosse stato arrestato a Istanbul dalle autorità locali, ma al momento questa clamorosa notizia non ha trovato conferme.
Debolezza apparente
A prima vista, l’affievolimento della minaccia jihadista sembra ancora più evidente da una prospettiva europea. L’ultima ondata di stragi di massa sul vecchio continente, apertasi simbolicamente con l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi il 7 gennaio 2015 (12 morti e 11 feriti), fortunatamente appare essersi esaurita con gli attacchi a Barcellona e nella vicina Cambrils del 17 e 18 agosto 2017 (16 morti e oltre 150 feriti).
In aggiunta, nuovi fatti di portata globale come la diffusione della pandemia di Covid-19 e lo scoppio della guerra in Ucraina hanno di fatto relegato la minaccia jihadista ai margini delle preoccupazioni dell’opinione pubblica europea e italiana. Oltretutto, anche guardando soltanto al variegato panorama dell’estremismo violento internazionale, si potrebbe sostenere che l’estrema destra, a seguito di una crescita veemente negli ultimi anni, di fatto abbia in parte oscurato la causa dello jihadismo globale.
Per quanto la flessione della minaccia jihadista sia per alcuni aspetti innegabile, specialmente in Europa, sarebbe un grave errore supporre che questa causa estremistica non rappresenti più un pericolo serio. Come l’araba fenice, lo jihadismo globale ha già dato dimostrazione di essere in grado di rinascere dalle proprie ceneri.
Innanzitutto, le principali organizzazioni della galassia internazionale sono ancora attive.
Per quanto riguarda lo stato Islamico, il crollo del “califfato” territoriale in Siria e Iraq e la morte violenta dei suoi primi due “califfi” non hanno affatto segnato la fine dell’organizzazione. Lo Stato islamico, infatti, si è riorganizzato come gruppo armato clandestino con base in Iraq e Siria e ha proseguito la sua attività di violenza in forma clandestina nella regione, anche con azioni clamorose; si può ricordare, in particolare, l’assalto su vasta scala lanciato nel gennaio 2022 contro una prigione gestita dalle milizie a maggioranza curda nei pressi della città di Al-Hasakah, nella Siria nordorientale.
Da parte sua, per quanto offuscata dal suo temibile rivale negli anni del “califfato” territoriale, Al-Qaida ha proseguito la sua attività estremistica, sotto la guida dell’egiziano Ayman al-Zawahiri (ancora vivo, nonostante le voci ricorrenti nei mesi scorsi circa una sua presunta dipartita). L’organizzazione fondata da Osama Bin Laden ha peraltro tratto beneficio dall’eclatante vittoria militare che gli storici alleati talebani hanno conseguito nell’agosto del 2021; la loro riconquista dell’Afghanistan ha rappresentato un fattore di ispirazione e un modello di emulazione per tutta la galassia jihadista globale (con l’eccezione di quella porzione, guidata dallo Stato islamico, che avversa i Talebani).
La minaccia in Europa
Anche in Europa, la minaccia jihadista non deve essere sottovalutata, come dimostra in modo evidente la sequenza di attacchi di ispirazione jihadista portati a termine anche negli ultimi mesi. Da ultimo, sembra essere riconducibile a questa matrice ideologica anche la sparatoria avvenuta a Oslo contro alcuni locali frequentati dalla comunità Lgbt, nella notte tra il 24 e 25 giugno, alla vigilia della parata annuale del Lgbt pride nelle vie della città; il responsabile dell’attacco, un quarantaduenne di origini iraniane, era noto alle autorità norvegesi sin dal 2015 proprio per le sue simpatie islamiste radicali.
Nel complesso, gli attacchi jihadisti eseguiti in Europa negli ultimi mesi tendono a presentare tratti ricorrenti: il coinvolgimento di piccoli gruppi autonomi o, ancor più spesso, di singoli individui, senza legami organici con organizzazioni jihadiste consolidate; la natura piuttosto amatoriale dei piani di attacco; il ricorso ad armi non sofisticate, con basso livello tecnologico, come comuni coltelli da cucina; il numero fortunatamente non elevato di vittime.
La radicalizzazione in Italia
Questa scia di attacchi terroristici degli ultimi anni costituisce, d’altra parte, soltanto il culmine di un più ampio fenomeno di radicalizzazione in Europa. I percorsi di adesione a questa causa estremistica sono proseguiti, anche senza la straordinaria forza di attrazione del “califfato” territoriale. Tra i diversi ambienti in cui tali processi possono maturare si conferma la rilevanza della sfera virtuale di internet e del carcere.
Il fenomeno della radicalizzazione jihadista riguarda anche l’Italia, come evidenziano recenti operazioni di polizia: soltanto nel mese di giugno le forze dell’ordine italiane hanno lanciato un’operazione internazionale contro 14 cittadini pakistani connessi al connazionale che aveva realizzato un attacco letale a Parigi il 25 settembre 2020; hanno arrestato a Roma un cittadino egiziano molto attivo nella propaganda sul web; hanno arrestato in Campania quattro cittadini stranieri appartenenti a una rete di contraffazione di documenti legata a suo tempo ad Anis Amri, il responsabile del grave attacco ai mercatini di Berlino del 19 dicembre 2016 (ucciso in una sparatoria a Sesto San Giovanni quattro giorni dopo); hanno fermato in Trentino una giovane coppia di origini kosovare sospettata di pianificare un attentato con ordigni esplosivi in Italia.
Quest’ultima operazione antiterrorismo, in particolare, mette in risalto almeno due aspetti degni di speciale attenzione. Secondo gli inquirenti, i due sospetti di origine kosovara intendevano trasferirsi in Nigeria dopo aver portato a termine un attentato in Italia. In effetti, negli ultimi anni il radicamento di organizzazioni jihadiste nel continente africano, specialmente nelle regioni subsahariane, è diventato assai rilevante, tanto da condurre a un parziale spostamento del baricentro internazionale dello jihadismo, a svantaggio del medio oriente.
L’altro aspetto saliente dell’indagine trentina è il fatto che per il giovane fermato dai carabinieri sia stato previsto un apposito processo di deradicalizzazione, con il sostegno attivo della sua famiglia di origine (del tutto estranea alla vicenda e ben integrata nella società italiana).
Questo esito dell’operazione di polizia pone in evidenza quanto sia importante, anche in Italia, sviluppare con lungimiranza, e applicare con intelligenza, apposite misure di prevenzione dell’estremismo violento, complementari ai più tradizionali strumenti di repressione del fenomeno, tanto più in fasi storiche “di pace”, in cui la minaccia estremistica si manifesta in forme meno drammatiche.
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