L’ingresso dell’Ucraina nella Nato garantirebbe la difesa dell’Ucraina e aprirebbe le porte a possibili trattative diplomatiche, ma tra timori di guerra con la Russia e la volontà del Cremlino di impedirlo è destinato a restare sulla carta
L’unica strada per arrivare a un negoziato in Ucraina nel prossimo futuro, passa per l’entrata dell’Ucraina nella Nato: a Kiev non sono disposti a niente di meno per iniziare a contemplare l’ipotesi di rinunciare, anche solo temporaneamente, a parte del loro territorio nazionale.
Sulla carta, sembra la soluzione ideale. Entrando nell’alleanza, Kiev avrebbe le garanzie necessarie per poter iniziare a trattare, senza il timore di essere abbandonata nel caso di nuove ostilità. La difesa dell’Ucraina ne uscirebbe “garantita” anche dall’arrivo in occidente di leader politici imprevedibili – come Donald Trump, che sembra sempre più probabile possa diventare il prossimo presidente degli Stati uniti.
Ma mentre a Washington inizia il 75esimo summit annuale dell’alleanza, questa è l’unica promessa che i leader Nato non possono fare. Ammettere Kiev a guerra in corso significherebbe coinvolgere l’alleanza nel conflitto. Promettere una data futura o elencare una serie di condizioni da soddisfare per garantire l’ingresso sarebbe come fornire a Putin un libretto di istruzioni su cosa fare per bloccarne l’accesso e gli darebbe un incentivo per tenere il conflitto accesso a tempo indeterminato.
Risultato: nella bozza del comunicato finale del vertice circolata in queste ore si parla del cammino «irreversibile» dell’Ucraina verso la Nato, ma oltre alla promessa di nuovi armi e aggettivi altisonanti sul futuro destino del paese, il documento non contiene nulla di nuovo rispetto a quanto approvato al vertice dell’anno scorso a Vilnius, in Lituania. Si potrebbe parlare di un cosiddetto “ponte”, una sorta di percorso a tappe che renderà automatico l’ingresso non appena ci sarà la volontà politica di autorizzarlo. Ma nessun impegno concreto, nessuna promessa né una data.
La reazione di Kiev
Per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il suo staff, non si tratta di una sorpresa. A Kiev sanno benissimo che l’alleanza non può accogliere paesi che si trovano in guerra (sarebbe immediatamente obbligata a partecipare al conflitto) né che hanno questioni territoriali irrisolte. L’invasione va risolta prima di compiere passi concreti. Come ha ricordato lo stesso Zelensky lo scorso 30 aprile «l’Ucraina entrerà nella Nato solo dopo aver sconfitto la Russia».
Eppure, l’idea di rinunciare a parte del territorio in cambio dell’ingresso nella Nato è un’idea che inizia a circolare sempre di più a Kiev. Fino a un anno fa era un’eresia, ma oggi ne parlano esperti e politologi nelle interviste e sempre più spesso anche i politici a porte chiuse.
Se gli alleati non sono inclini ad assecondare questo piano, nemmeno il Cremlino lo è. Secondo il primo ministro Viktor Orbán, che ha visitato Mosca la scorsa settimana, nel futuro piano di pace per l’Ucraina Putin vuole avere il veto su possibili eventuali nuovi interventi militari a favore dell’Ucraina (Orbán lo ha scritto in una lettera riservata ai leader europei pubblicata da alcuni giornalisti). Quindi, ovviamente, nessun ingresso nella Nato e nessun meccanismo di difesa equivalente.
Certo, Putin potrebbe essere costretto ad accettare queste condizioni, ma, per usare le parole di Zelensky, la Russia al momento è piuttosto lontana dall’essere sconfitta. Le sue truppe occupano ancora un quinto della superficie ucraina e sono capaci di lanciare devastanti attacchi aerei, come quello che lunedì ha colpito un ospedale pediatrico a Kiev ed è costato la vita a oltre 40 civili in tutto il paese. Gli ucraini, nel frattempo, da quasi due anni non riescono a riconquistare significative porzioni del loro territorio, mentre le truppe del Cremlino avanzano ogni settimana di qualche chilometro, a caro prezzo, ma con un alto costo anche per gli ucraini: centinaia di migliaia tra morti e feriti, migliaia di nuovi ogni mese.
Guerra continua
Il costo del conflitto è un altro dei fattori che i leader riuniti a Washington hanno ben presente. Gli aiuti diretti all’Ucraina si avvicinano ormai a 500 miliardi di euro, senza tenere conto delle centinaia di miliardi spesi da paesi come Italia e Germania per sostituire le importazioni energetiche russe e gli altri costi economici del conflitto.
Se il prezzo del conflitto in vite umane, infrastrutture distrutte e denaro sta iniziando a erodere lo spirito degli ucraini e degli alleati (i sondaggi indicano percentuali in crescita di persone favorevoli al negoziato), da soli non sembrano bastare all’inizio di concrete trattative diplomatiche.
Kiev ha già chiarito quali sono i punti su cui non è disposto a cedere. Già nel corso delle trattative della primavera del 2022, aveva messo in chiaro che le richieste russe, come la neutralità del paese, potevano essere accettate solo in cambio di garanzie militari equivalenti al famoso articolo 5 della Nato. In altre parole, Kiev è disposta a negoziare, ma soltanto con la certezza che non ci sarà una seconda invasione. Ma gli alleati, nel 2022 come oggi, non sono disposti a fornire questa garanzia.
L’alternativa è provare a fornire a Kiev i mezzi per difendersi. Dal summit di questi giorni ci si aspettano nuove promesse di armi che diano il senso di un cambio di passo nel sostegno. Fonti ucraine parlano di ben quattro batterie di costosi missili antiaerei Patriot, quasi quanti l’Ucraina ne ha ricevuti in due anni e mezzo di guerra. Dovrebbe aumentare anche i paesi disposti a fornire a Kiev i famigerati jet da combattimento F-16 – una sessantina sono già stati promessi da Danimarca, Paesi Bassi e Belgio. Poco, rispetto alle aspettative di Kiev, ma meglio di nulla.
© Riproduzione riservata