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Al via la rimozione delle barricate serbe al nord del Kosovo dopo l’intervento di Ue e Usa ma la tensione resta alta
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Per ora tutti cantano vittoria: il governo di Pristina ha ottenuto una de-escalation delle tensioni arrivate a livelli mai raggiunti da anni. Anche i serbi hanno ottenuto che i cittadini che hanno organizzato le proteste non saranno arrestati e le forze armate potranno addestrarsi senza nessuna obiezione della Nato.
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Il Kosovo ha presentato la sua richiesta di adesione all'Unione europea il 15 dicembre scorso, dopo essere stato ufficialmente riconosciuto dalla Commissione europea come stato "potenziale candidato ma questo ha fatto infuriare i serbi, mentre Parigi, più cauta, aveva proposto a maggio una comunità politica europea a due velocità per i Balcani per non creare inutili illusioni come è avvenuto alla Turchia che è candidata dal 1999 . Illudere anche i Balcani di un ingresso impossibile sarebbe una scelta dalle conseguenze imprevedibili.
Scriveva Winston Churchill che «i Balcani producono più storia di quanta ne possano consumare».
Parole che spiegano bene le ragioni di fondo per cui Stati Uniti, Ue e Nato sono accorsi a spegnere l’incendio che rischiava di deflagrare tra Serbia e Kosovo, magari con il sotterraneo sostegno a Belgrado di Mosca a caccia di un secondo fronte di scontro con l’Occidente.
Per ora la guerra tra Serbia e Kosovo è stata evitata, ma i motivi di tensione tra le due comunità etniche sono ancora tutti presenti sul terreno pronti ad esplodere alla prima scintilla. Evento che nei Balcani è frequente e dalle conseguenze imprevedibili come insegna l’attentato con due colpi di pistola a Sarajevo nel 1914 all’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono degli Asburgo, fatto che diede inizio alla prima guerra mondiale e al “Secolo breve” secondo lo storico britannico Eric Hobsbawm.
Una terra, i Balcani, che sono il ventre molle dell’Europa orientale, terra di appetiti russi, cinesi e turchi e dove, nel nord del Kosovo, è iniziata il 29 dicembre la rimozione delle barricate e dei blocchi stradali eretti tre settimane fa dalla popolazione serba per protesta contro l’arresto ritenuto illegittimo di alcuni serbi e contro l’invio al nord a maggioranza serba di numerose forze di polizia da parte della dirigenza politica di Pristina.
Belgrado ha revocato lo stato di massima allerta dell'esercito dichiarato dopo l'esplosione delle proteste in seguito all'arresto ordinato da Pristina di un poliziotto serbo.
L’intervento del presidente serbo
A sbloccare la situazione di blocco nei trasporti, in un’atmosfera di tensione interetnica, è stato un vertice che il presidente serbo Aleksandar Vucic ha avuto nella serata del 28 dicembre con i rappresentanti dei serbi del Kosovo. L’incontro si è tenuto a Raska, località del sud della Serbia a pochi chilometri dalla frontiera con il Kosovo, con Vucic che è intervenuto per scongiurare una escalation della tensione con conseguenze imprevedibili. La premier serba Ana Brnabci aveva parlato nei giorni scorsi di situazione sull’orlo di un conflitto armato.
Nella serata del 28 dicembre era stato rilasciato Dejan Pantic, il primo serbo ad essere arrestato il 10 dicembre scorso, che è stato posto sotto sorveglianza domiciliare. La prima barricata ad essere rimossa è stata quella eretta di recente al posto di Merdare, il valico di frontiera più importante fra Kosovo e Serbia. Vucic, parlando al termine dell'incontro con i serbi del Kosovo, aveva detto che ci vorranno 24-48 ore perché la situazione si normalizzi con l'eliminazione dei blocchi e barricate in varie zone del nord del Kosovo.
«Se continuerà il terrore (da parte della dirigenza di Pristina contro i serbi, ndr) noi chiuderemo per sempre il nord del Kosovo alle istituzioni di Pristina, e chiediamo garanzie che mai sarà riconosciuta l’indipendenza del Kosovo», hanno aggiunto i serbi del Kosovo, come riferito da Vucic che ha messo in guardia a sua volta dal proseguire con gli arresti di serbi a causa delle barricate.
In tal caso, ha affermato, Belgrado sosterrà le eventuali altre iniziative che saranno decise dai serbi. Come ha detto il 29 dicembre alla tv serba Pink Petar Petkovic, capo dell'Ufficio governativo serbo per il Kosovo, Ue e Usa garantiscono tra l'altro che non ci saranno altri arresti di serbi, compresi quelli coinvolti nelle proteste con blocchi stradali e barricate.
La posizione europea
«La diplomazia ha prevalso nella riduzione delle tensioni nel nord del Kosovo. La violenza non può mai essere una soluzione. Accogliamo con favore la leadership responsabile del Presidente Vučić e del Primo ministro Kurti. Grande lavoro di squadra di Ue, Usa e Nato Kfor. Ora abbiamo bisogno di progressi urgenti nel dialogo», ha scritto l'Alto rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell.
Dunque chi ha vinto? Per ora tutti cantano vittoria: il governo di Pristina ha ottenuto una de-escalation delle tensioni arrivate a livelli mai raggiunti da anni. Anche i serbi hanno ottenuto che i cittadini che hanno organizzato le proteste non saranno arrestati e le forze armate potranno addestrarsi senza nessuna obiezione della Nato.
Per ora lo scontro è stato scongiurato ma le tensioni sono ancora tutte sul terreno pronte a esplodere di nuovo. Il Kosovo ha presentato la sua richiesta di adesione all'Unione europea il 15 dicembre scorso, dopo essere stato ufficialmente riconosciuto dalla Commissione europea come stato «potenziale candidato» ma questo ha fatto infuriare i serbi, mentre Parigi, più cauta, aveva proposto a maggio una comunità politica europea a due velocità per i Balcani per non creare inutili illusioni come è avvenuto alla Turchia che è candidata dal 1999 e ha avviato i negoziati dal 2004, ma per ora senza speranze di ingresso.
Il no all’ingresso nella Ue della Turchia è tra i motivi del risentimento anti-occidentale e del riflusso neo-ottomano di Ankara. Illudere anche i Balcani di un ingresso impossibile sarebbe una scelta dalle conseguenze imprevedibili.
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