«Sappiamo tutti che dobbiamo raggiungere la pace il prima possibile per preservare vite umane». Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accolto ieri a Kiev il segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin. Dopo la partecipazione degli emissari di papa Francesco al vertice della pace in Svizzera, un mese fa, le relazioni tra Vaticano e Kiev appaiono oggi più distese di qualche tempo fa.

Non si tratta dell’unica relazione diplomatica a essere cambiata negli ultimi tempi. La nuova apertura di Kiev nei confronti di negoziati diretti con la Russia, lanciata da Zelensky una settimana fa, sta cambiando il quadro politico intorno al conflitto, anche se resta da vedere quanto profondamente.

Aspettative su Pechino

L’arrivo ieri del ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba a Pechino per una visita che durerà fino a venerdì segna un altro passaggio importante di questo cambiamento. Erano mesi, se non anni, che Kiev provava ad avere un incontro ad alto livello con la Cina, finendo sempre respinta (qualche tempo fa, il rifiuto di Pechino di partecipare al vertice svizzero aveva spinto Zelensky a un’uscita poco diplomatica nei confronti del paese). Ora invece è lo stesso governo cinese ad aver esteso l’invito al ministro degli Esteri di Kiev.

All’incontro si parlerà del modo più rapido per mettere fine al conflitto, un obiettivo caro tanto all’Ucraina quanto alla Cina. Ma le aspettative di un risultato concreto, al momento, restano minime. Secondo il popolare e ascoltato opinionista ucraino Vitaly Portnikov, le posizioni dei due paesi sono troppo distanti. Kiev vorrebbe che la Cina riducesse le esportazioni in Russia di materiali che possono essere usati nella fabbricazione di armi e che iniziasse a fare serie pressioni sul Cremlino affinché riduca le sue richieste in cambio di un cessate il fuoco.

Pechino, dal canto suo, non vorrebbe vedere l’Ucraina entrare nella Nato, spera che il paese rimanga in qualche misura un «vassallo militare» di Mosca e, in caso di entrata nell’Unione europea, vorrebbe che Kiev svolgesse il ruolo di «quinta colonna» dei suoi interessi economici, una specie di Ungheria più popolosa, la descrive Portnikov.

L’apertura

Ma, al di là dei risultati, l’incontro stesso è un passaggio importante. Dietro, con ogni probabilità, c’è il nuovo atteggiamento di Kiev nei confronti dei negoziati. Il mutamento per ora è cauto, ma inconfondibile. Il primo segnale è stato, lunedì scorso, l’auspicio di Zelensky di avere negoziatori russi al prossimo vertice di pace che il presidente ucraino spera di organizzare entro novembre, prima delle elezioni americane. Pochi giorni dopo, Zelensky ha detto di sperare che la fase più calda delle ostilità possa concludersi entro la fine del 2024.

Le dichiarazioni del presidente accompagnano le voci di corridoio sempre più insistenti negli ultimi mesi: con l’aiuto degli alleati che sembra ormai aver raggiunto il picco, Kiev può forse sperare di continuare a difendersi, ma la riconquista dei territori occupati, almeno nel breve termine, appare irraggiungibile. L’opzione diplomatica sarebbe quindi diventata più attraente.

Altri fattori hanno contribuito a queste aperture. Le crescenti probabilità di vittoria di Donald Trump alle elezioni di novembre – cresciute dopo il fallito attentato – e la pressione che il possibile futuro presidente metterà su Kiev affinché trovi una soluzione diplomatica spingono l’Ucraina a mostrarsi dialogante prima di essere costretta a farlo in condizioni ben peggiori.

Ma ci sono anche fattori interni. Un sondaggio del Razumkov Center pubblicato una settimana fa ha mostrato per la prima volta una maggioranza relativa di ucraini favorevoli al negoziato: 44 per cento. Ieri, un secondo sondaggio realizzato dall’Istituto di sociologia di Kiev indica che in cambio della pace il 32 per cento degli ucraini sarebbe disposto a fare concessioni territoriali. I totalmente contrari a cedere terreno sono ancora la maggioranza, 55 per cento, ma il loro numero continua a calare.

Nessuno di questi elementi, ovviamente, garantisce che eventuali negoziati prenderanno veramente il via, né che porteranno a risultati concreti. Gli obiettivi delle parti restano molto distanti. Putin sente di avere il tempo dalla sua parte e non dà segno di voler rinunciare ai suoi obiettivi massimalisti: cessione di tutti i territori annessi formalmente alla Russia, compresi quelli ancora difesi dagli ucraini, e disarmo sostanziale delle forze armate ucraine. Ma, come nel caso del viaggio di Kuleba in Cina, il fatto stesso che si inizi a parlare in modo così concreto di trattative è di per sé una novità importante che potrebbe avere conseguenze imprevedibili, anche al di là delle aspettative dei protagonisti.

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