- La startup cinese SenseTime, che si occupa di intelligenza artificiale, ha sospeso il processo di quotazione a Hong Kong, da circa 767 milioni di dollari.
- Lo ha fatto dopo che, lo scorso 10 dicembre, il dipartimento del Tesoro americano aveva inserito la società in una blacklist a causa della partecipazione in attività di repressione e violazione dei diritti umani.
- La società ha sviluppato un software di riconoscimento facciale che può riconoscere l’appartenenza etnica di un individuo, in particolare dei musulmani di etnia uigura, che sono perseguitati nello Xinjiang.
Accade sempre più spesso che le strade della tutela dei diritti civili incontrino quelle della finanza. Ieri la startup cinese SenseTime, che si occupa di intelligenza artificiale, ha sospeso il processo di quotazione a Hong Kong, da circa 767 milioni di dollari.
Lo ha fatto dopo che, lo scorso 10 dicembre, l’Office of Foreign Assets Control del dipartimento del Tesoro americano aveva inserito la società in una blacklist a causa della partecipazione in attività di repressione e violazione dei diritti umani.
La decisione del dipartimento del Tesoro si basa sull’executive order 13959, che sanziona le società attive nel settore della sorveglianza in Cina, e sul Global Magnitsky Human Rights Accountability Act. Due strumenti giuridici che fanno ormai parte dell’ampio armamentario di cui si sono dotate le istituzioni statunitensi per affrontare le sfida delle violazioni dei diritti civili delle società cinesi mediante l’utilizzazione della tecnologia.
L’ultimo a essere approvato dal Congresso è stato lo Uyghur Forced Labor Prevention Act (con 428 voti a favore e uno contrario) che chiede che i beni importati dalla regione autonoma dello Xinjiang non siano prodotti mediante l’utilizzazione del lavoro forzato a pena dello scattare del divieto d’importazione.
Il senato aveva approvato una visione simile del testo all’unanimità lo scorso luglio e mancano ora ormai pochi passi per l’approvazione definitiva. La decisione su SenseTime si inserisce quindi in questo contesto di inasprimento e chiusura alle società cinesi da parte delle istituzioni statunitensi.
Abusi tecnologici
Del resto, nell’aprire il Summit per la democrazia, il presidente Joe Biden aveva sottolineato come gli Stati Uniti «lavoreranno con i partner per ridurre la possibilità per alcuni Paesi di abusare delle nuove tecnologie mediate strumenti di sorveglianza al fine di reprimere il diritto dei loro cittadini di esprimere le loro opinioni».
SenseTime Group Limited è stata identificata, ai sensi dell’executive order 13959, come società che fa parte del «complesso militare-industriale cinese» in quanto società controllante della Shenzen Technology Co. Ldt che ha sviluppato un software di riconoscimento facciale che può riconoscere l’appartenenza etnica di un individuo, in particolare dei musulmani di etnia uigura, che sono perseguitati nello Xinjiang.
Era stata la stessa società a specificare nella domanda di brevetto che il suo sistema di riconoscimento facciale poteva identificare gli uiguri che indossavano maschere, occhiali da sole o con la barba.
Per anni l’applicazione della normativa a tutela dei diritti civili, soprattutto del diritto di libertà religiosa, nelle relazioni estere da parte delle istituzioni statunitensi è stata altamente deficitaria.
Serie violazioni dei diritti umani sono state tollerate in nome di ragioni legate a interessi geopolitici e commerciali. Quando l’interesse geopolitico incontra le violazioni seriali (come nel caso cinese) può determinarsi un inedito connubio di interessi che può portare a conseguenze serie.
Sembra essere questo il caso di SenseTime che doveva essere una delle maggiori quotazioni del terzo trimestre sul mercato di Hong Kong e invece testimonia una tendenza di indebolimento nel mercato delle Ipo che gravitano nell’orbita cinese. Un mercato che vive difficoltà anche puramente finanziarie legate alla vicenda Evergrande.
Pressioni americane
Negli ultimi mesi l’azione statunitense si è intensificata. Le pressioni e le iniziative legate alla violazione dei diritti umani in Cina, e soprattutto dei diritti della minoranza musulmana degli uiguri dello Xinjiang, sembrano aver assunto una nuova centralità.
L’amministrazione Biden, come l’amministrazione Trump, ha chiarito di considerare le azioni di Pechino nei confronti degli uiguri come «genocidio» portando a supporto numerose prove relative ai campi di rieducazione politica e alle sterilizzazioni forzate.
Da parte sua il governo cinese ha continuato a negare nonostante sia aumentato il numero di paesi che si è schierato sulla posizione statunitense. Lo scorso 9 dicembre il tribunale indipendente di Londra, presieduto da Sir Geoffrey Nice, ha affermato che «la Repubblica popolare cinese ha commesso genocidio, crimini contro l’umanità e tortura contro uiguri, kazaki e altre minoranze etniche nello Xinjiang. Questo tribunale è convinto che il presidente Xi Jinping, Chen Quanguo e altri alti funzionari della Repubblica e del Partito comunista cinese abbiano la responsabilità primaria per gli atti che si sono verificati nello Xinjiang».
Pechino continuerà a negare, ma ora è in ballo anche la finanza. E la questione diventa sempre più seria.
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