Il governatore della Florida fino a qualche mese fa era considerato l’uomo che poteva battere Donald Trump alle primarie repubblicane, ora rischia di doversi arrendere senza mai essere diventato una seria minaccia per la ricandidatura dell’ex presidente. Gli scivoloni, una serie di spese pazze e scelte estremiste in campo sociale stanno facendo fuggire i sostenitori. Che adesso cercano alternative
Qualche tempo farà veniva soprannominato “DeFuture”. Oggi il governatore della Florida Ron DeSantis rischia invece di doversi arrendere senza mai essere diventato una seria minaccia per la ricandidatura di Donald Trump. Cosa è successo? Intanto gli ultimi sondaggi di Fox News, dedicati ai primi stati, dove ormai raramente tocca il 20 per cento.
Al momento è quasi sempre il secondo. Tranne che nel caso del South Carolina: nel Palmetto State DeSantis è scivolato al 13 per cento, sotto il 14 per cento dell’ex governatrice dello stato Nikki Haley. Magari è solo è un’oscillazione, ma c’è di più.
Da inizio luglio le voci che parlano di una campagna elettorale di “grande sofferenza” si sono moltiplicate. Alcune provengono dallo stesso entourage di DeSantis: Steve Cortes, portavoce del suo super Pac, la principale struttura di finanziamento della candidatura, ha dichiarato in un’intervista su un Twitter Space conservatore, che DeSantis è in «netto svantaggio» e che Trump a questo punto ha un «chiaro margine».
Insomma, una situazione difficile dove il governatore può prevalere se si fa «conoscere meglio dai media». Con i quali, però, non ha un gran bel rapporto. Non solo con la Cnn, dove è stato ospite da poco intervistato da Jake Tapper, ma anche con Fox News, che pure lo aveva ampiamente promosso come alternativa a Trump lo scorso novembre, dopo le elezioni di midterm.
Durante un’altra ospitata con Maria Bartiromo, DeSantis ha affermato che a penalizzarlo nei sondaggi sono «le narrazioni dei media» che «temono possa battere Joe Biden». Alla domanda però sul suo basso gradimento, DeSantis ha continuato a dare risposte vaghe. Non può nascondere alcuni episodi che mostrano le indubbie difficoltà: dodici membri del suo staff sono stati licenziati apparentemente per ragioni organizzative, ma i suoi avversari dicono che in realtà le donazioni che arrivano non sono quelle sperate.
Le donazioni
Altri dati invece indicano una tendenza a spendere accentuata. Un’inchiesta del New York Times ha appurato che i circa novanta membri dello staff risiedono da maggio in un hotel di lusso a Tallahassee, la capitale della Florida, dove sono stati spesi ben 287mila dollari. Anche per gli spostamenti sono stati spesi molti soldi: il Times calcola che la preferenza del governatore per i voli privati ha “bruciato” il 40 per cento di ogni dollaro ricevuto in donazioni. Fin qui le difficoltà oggettive che hanno spinto alcuni membri dello staff a parlare di una «ripartenza», affermando che si tratta «non di uno sprint ma di una maratona».
Maratona che però, al momento, è stata corsa all’estrema destra. Basti pensare alla questione vaccinale anti Covid: DeSantis lo scorso dicembre aveva annunciato la creazione di una commissione sui «danni da inoculazione» finita poi nel nulla. Mentre Trump, pur essendo spesso silente sulla questione, quando gli è stata rivolta la domanda, ha sempre sostenuto di essersi vaccinato tre volte.
Anche sulla questione dei diritti Lgbt DeSantis ha scelto di dichiararsi “nemico” della comunità, a differenza dell’ex presidente che ha adottato una posizione più sfumata. A giugno l’account Twitter della campagna del governatore denominato “DeSantis WarRoom” ha diffuso un video dai toni pesantemente omofobi, anche per gli stessi repubblicani.
Infine, la sua guerra a Disney, corporation da lui definita «woke» per l’inclusività di alcuni recenti film, ha messo in difficoltà anche i lavoratori della zona di Orlando, dove la casa madre di Topolino è uno dei maggiori datori di lavoro. Insomma, una scelta estremista che peraltro ha fallito nel reclutare endorsement pesanti nella stessa Florida, dove gran parte della delegazione al Congresso ha preferito sostenere l’ex presidente, anche per la freddezza e il disinteresse nei confronti delle loro vicende personali.
Basti soltanto l’esempio del deputato Greg Steuben, caduto da una scala a pioli nel suo giardino mentre potava un albero lo scorso 20 gennaio. L’ex presidente lo ha chiamato nel giro di poche ore per sincerarsi delle sue condizioni, mentre DeSantis lo ha snobbato. Ovviamente dopo un paio di mesi Steuben ha annunciato in pompa magna il suo sostegno a Trump.
Anche gli stessi donatori, ormai, cominciano a cercare un’alternativa, che potrebbe essere il senatore afroamericano del South Carolina Tim Scott: adamantinamente conservatore su aborto e sostegno alle scuole religiose, finora ha sempre adottato un tono sostanzialmente positivo nella campagna elettorale, preferendo affermare i valori che i conservatori sostengono, anziché quelli che combattono. Un tono radicalmente diverso rispetto a Trump e DeSantis, anche se non è detto che funzioni. Finora Trump si è dedicato solo ad attaccare quello che riteneva essere il suo avversario più insidioso, basterebbe poco per cambiare bersaglio.
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