- Per il neo ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, gli Stati Uniti devono cambiare politica nei confronti della Cina, altrimenti si rischia «sicuramente uno scontro, un conflitto».
- Il ricorso a un ammonimento così diretto da parte di una diplomazia tradizionalmente accorta alla forma, ha fatto sì che le parole dell’ex ambasciatore cinese a Washington fossero subito riprese dai principali media occidentali. Un effetto calcolato, da chi vuole mandare un segnale di fermezza in una fase in cui – aveva detto poco prima Xi – «i rischi e le sfide che dobbiamo affrontare aumenteranno e diventeranno più gravi».
- La pandemia e la guerra in Ucraina stanno accelerando la competizione tra Cina e Stati Uniti. In una fase in cui le rispettive leadership politiche (e anche quelle militari) non si parlano, perfino un tweet satirico rischia di scatenare uno scontro.
Gli Stati Uniti devono cambiare politica nei confronti della Cina, altrimenti si rischia «sicuramente uno scontro, un conflitto». Così il neo ministro degli Esteri di Pechino, Qin Gang, dopo che il presidente Xi Jinping aveva accusato Washington di puntare al contenimento della Cina.
L’avvertimento di Qin è arrivato durante una conferenza stampa a margine della riunione dell’Assembla nazionale del popolo in corso a Pechino. Qin ha dichiarato che «se gli Stati Uniti non tirano il freno e vanno avanti lungo la strada sbagliata, si rischia sicuramente uno scontro, un conflitto». «Il contenimento e la repressione non renderanno grande l’America e non fermeranno il rinnovamento della Cina» ha aggiunto il diplomatico, vicinissimo a Xi.
Il ricorso a un ammonimento così diretto da parte di una diplomazia tradizionalmente accorta alla forma, ha fatto sì che le parole dell’ex ambasciatore cinese a Washington fossero subito riprese dai principali media occidentali. Un effetto calcolato, da chi vuole mandare un segnale di fermezza in una fase in cui – aveva detto poco prima Xi – «i rischi e le sfide che dobbiamo affrontare aumenteranno e diventeranno più gravi».
Dal tweet alla gaffe
Pechino sta subendo l’offensiva di Washington su tre fronti: la guerra in Ucraina, Taiwan e l’embargo sulle “tecnologie chiave”. Sul primo la Cina non riesce a far digerire all’occidente la sua quasi-alleanza con l’invasore russo. «Le relazioni sino-russe sono non allineate, non aggressive e non mirano né pongono una minaccia a terze parti», ha sostenuto Qin, che ha accusato una «mano invisibile» di volere un’escalation bellica. L’altra ferita aperta è Taiwan: «Perché gli Stati Uniti possono parlare di sovranità e integrità territoriale sull’Ucraina, ma non rispettano quelle della Cina su Taiwan?».
Qin ha denunciato anche un piano segreto degli Usa «per distruggere Taiwan». Il fantomatico progetto è nato il 16 febbraio scorso dall’immaginazione del commentatore statunitense Garland Nixon, il cui tweet satirico è stato tradotto in cinese da Alex Tsai, un ex deputato del Kuomintang (il partito nazionalista), che in un programma di una tv taiwanese filo Pechino ha “rivelato” che Joe Biden ne avrebbe discusso con i suoi consiglieri alla Casa Bianca. Il piano «per distruggere Taiwan» è stato poi denunciato dal tabloid nazionalista Global Times, dal portavoce di Qin, e infine dal ministro degli Esteri in persona.
L’ex Formosa potrebbe comunque far riesplodere la tensione tra Pechino e Washington, dopo la visita a Taipei, lo scorso 2 agosto, dell’ex speaker della Camera, Nancy Pelosi. Il mese prossimo infatti – secondo quanto rivelato da fonti Usa al Financial Times e all’agenzia Reuters – la presidente indipendentista Tsai Ing-wen, dovrebbe effettuare uno scalo in California. E lì dovrebbe incontrare il successore di Pelosi, il repubblicano Kevin McCarthy.
Quest’ultimo eviterebbe così di recarsi a Taiwan (come aveva annunciato) alla vigilia delle presidenziali del gennaio 2024. Una mossa che sarebbe stata percepita da Pechino come una “provocazione” ben più grave.
La carta del nazionalismo
Il dopo Covid per la Cina è difficile non solo per lo scontro con gli Usa. L’economia cinese quest’anno crescerà (+5,2 per cento secondo il Fondo monetario internazionale) spinta da un rimbalzo “congiunturale” (post pandemico) dei consumi, ma nel medio periodo la domanda – sia quella interna che quella dall’estero – resterà debole, così come rimarrà fragile il mercato immobiliare (che genera un terzo del Pil). A causa anche dell’inflazione negli Stati Uniti e in Europa, l’export della Cina è diminuito del 9,9 per cento a dicembre e del 6,8 per cento negli ultimi due mesi.
La trasformazione di quella cinese in una economia avanzata è un percorso tortuoso che suscita preoccupazione tra la popolazione. Così la leadership utilizza il nazionalismo per indorare la pillola. «I paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno implementato il contenimento e la repressione della Cina a tutto tondo, il che ha portato gravi sfide senza precedenti allo sviluppo del paese – ha detto Xi – Di fronte a cambiamenti profondi e complessi nell'ambiente internazionale e domestico, dobbiamo mantenere la calma, mantenere la concentrazione, lottare per il progresso mantenendo la stabilità, agire, essere uniti e osare lottare».
La pandemia e la guerra in Ucraina stanno accelerando la competizione tra Cina e Stati Uniti. In una fase in cui le rispettive leadership politiche (e anche quelle militari) non si parlano, perfino un tweet satirico rischia di scatenare uno scontro.
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