L’aumento dei dazi sulle auto elettriche made in China importate nell’Unione europea è «una multa per eccesso di velocità per rallentare la Cina. Le compagnie cinesi sono in vantaggio: freniamole e incoraggiamole a ottenere una riduzione delle imposte attraverso la localizzazione» della produzione nell’Ue.

Quella di Bill Russo, esperto di veicoli elettrici (Ev), è una spiegazione concisa e convincente della decisione della Commissione, annunciata l’altro ieri, di alzare una barriera contro l’arrivo dei veicoli “green” fabbricati in Cina.

I dazi (attualmente del 10 per cento da entrambe le parti) sono stati aumentati dall’Ue in misura differente – a seconda della collaborazione con l’inchiesta su “sussidi illegali” – per tre big: di un ulteriore 17,4 per cento per Byd, del 20 per cento per Geely e del 38,1 per cento per Saic.

Secondo quanto si apprende dai funzionari coinvolti, l’Ue ha concluso che in Cina l’intera filiera degli Ev (dai minerali strategici, alle batterie, ai software) è massicciamente sussidiata dal governo.

I marchi colpiti

Build Your Dreams nel quarto trimestre 2023 ha superato Tesla per vendite globali di Ev e sta costruendo un impianto in Ungheria, che potrebbe avviare la produzione già nella seconda metà del 2025 (capacità 300.000 auto all’anno).

Geely è proprietaria del brand tedesco Volvo. L’azienda di stato Saic ha acquisito lo storico marchio britannico MG. Non prevede di aprire stabilimenti nell’Ue ed essendo più dipendente dal mercato comunitario rispetto alle altre due, è quella che subirà i contraccolpi più pesanti dai nuovi dazi.

Si tratta di misure compensative sostanziose ma provvisorie, che saranno effettive a partire dal 4 luglio, in attesa di quelle definitive, che si applicheranno per cinque anni e che dovranno essere varate entro il prossimo 2 novembre, a conclusione dell’indagine lanciata il 4 ottobre scorso.

Nel 2023, quelli prodotti in Cina rappresentavano circa il 20 per cento degli Ev venduti nell’Ue, ma soltanto il 6,9 per cento erano di marchi cinesi, che nel mercato europeo hanno ancora un (grosso) problema di “riconoscibilità”. Finora, la “inondazione” degli Ev cinesi denunciata dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, semplicemente non c’è.

Il ministero del commercio ha avvertito che Pechino «adotterà tutte le misure necessarie per salvaguardare fermamente i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi». Rappresaglie che potranno abbattersi contro il cognac, la carne di maiale, le auto, l’aviazione, l’agri-food e altri prodotti dell’Ue, innescando una vera e propria guerra commerciale.

L’aumento dei dazi sull’importazione degli Ev cinesi rappresenta un protezione legittima per il settore automotive, che contribuisce con il 7 per cento dei posti di lavoro all’economia europea. Basti pensare che negli ultimi tempi la Turchia li ha portati al 40 per cento e gli Stati Uniti si sono blindati con tariffe del 100 per cento. Tuttavia questo verdetto che a Pechino stigmatizzano come “politico” presenta una serie di criticità.

Criticità

Anzitutto appare in contraddizione con il regolamento Ue secondo cui, a partire dal 2035, nell’Europa a 27 potranno essere vendute solo auto a emissioni zero. Infatti dal momento che i marchi occidentali sono indietro oppure non riescono a garantire prezzi bassi per gli Ev, quelli cinesi rappresentano un’alternativa alla portata di (quasi) tutte le tasche.

Secondo il Kiel Institute for World Economy, se i dazi saranno confermati nella portata attuale (agli altri brand cinesi si applicherà un aumento pari alla media di quello varato per i tre succitati), le importazioni di Ev made in China nell’Ue si ridurranno di un quarto.

Inoltre l’inchiesta della Commissione presieduta da von der Leyen, avviata ex officio (su iniziativa dello stesso esecutivo comunitario, senza alcun esposto da parte di associazioni imprenditoriali) e volta ad accertare pericoli futuri piuttosto che rischi concretamente riscontrabili per l’industria europea, divide i due principali paesi produttori di auto.

La Francia, sponsor dell’iniziativa, scommette sulla localizzazione nell’Ue delle compagnie cinesi, mentre la Germania (seguita da Svezia e Ungheria) difende il complesso delle sue colossali relazioni economico-commerciali con la Cina e i suoi brand di lusso esportati in Cina (BMW e Mercedes) da un eventuale scontro Ue-Cina.

Infine è evidente il rischio di scatenare una guerra commerciale con il principale partner commerciale dell’Ue (con un interscambio, nel 2023 di 739 miliardi di euro). Nel 2023, il 47 per cento dei veicoli a batteria esportati dalla Cina sono finiti nell’Ue.

Queste auto sono tra i cosiddetti “tre nuovi” (assieme alle batterie e ai pannelli fotovoltaici) che nel 2023 hanno soppiantato i “tre vecchi” (abbigliamento, elettrodomestici e mobili) sui gradini più alti del podio dei prodotti cinesi d’esportazione. Valore aggiunto e orgoglio nazionale che Pechino vuole difendere con ogni mezzo necessario.

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