La decisione della Corte suprema messicana rischia di avere conseguenze anche sugli stati vicini. Le donne del Texas esultano e si preparano a superare le frontiere per abortire
L’onda verde per il diritto all’aborto che dall’Argentina si è estesa in altre parti dell’America Latina ha travolto anche il Messico. La Suprema Corte de Justicia de la Nación (Scjn), la Corte suprema messicana, ha decriminalizzato l’aborto a livello federale, decretando che le leggi statali che lo puniscono sono incostituzionali perché vìolano i diritti umani delle donne.
La legislazione di circa due terzi dei 32 stati messicani considera ancora l’aborto un reato, ma da questo momento le amministrazioni locali saranno costrette a rivedere le proprie leggi alla luce della storica sentenza. Un voto unanime che determina la cancellazione del reato di aborto dal codice penale federale. Fino ad oggi chi decideva di interrompere la gravidanza rischiava il carcere, e i medici che praticavano gli interventi potevano essere sospesi dall’incarico per anni.
A partire da ora le istituzioni e i centri di salute controllati dal governo federale dovranno offrire servizi gratuiti e sicuri a chiunque richieda di interrompere la gravidanza. Un dato quest’ultimo rilevante, considerando che nonostante il complesso e frammentato sistema di salute messicano, il 70 per cento della popolazione si rivolge ad enti pubblici federali.
«Nessuna donna o persona gravida potrà essere punita per l’aborto. E neppure il personale sanitario», ha detto in un comunicato ufficiale il Grupo de Información en Reproducción Elegida, Gire, un’organizzazione femminista che da decenni in Messico si batte per legalizzare l’aborto a livello nazionale. Questa vittoria arriva a seguito di una delle battaglie legali di cui si è fatta carico e portavoce. La dichiarazione di Gire suona chiara e limpida, ma per le donne messicane l’accesso ai servizi non sarà così scontato e immediato, soprattutto nelle zone rurali e a causa della scarsità di informazioni a riguardo diffuse fino ad oggi. Inoltre il Messico è uno dei paesi più cattolici dell’America latina, nonostante la religione stia progressivamente perdendo peso.
Il diritto all’aborto
La decisione di questa settimana arriva due anni dopo che la medesima corte federale aveva votato all’unanimità per decriminalizzare l’aborto nello stato Coahuila, dove poteva essere punito con tre anni di carcere. Già in quel caso la notizia aveva fatto il giro del mondo, rappresentando un forte segnale di cambiamento sulla scia della progressiva conquista del diritto all’interruzione della gravidanza in diversi paesi dell’America Latina.
La sentenza arrivava poco dopo quella della Corte suprema statunitense che nel vicino Texas lasciava che entrasse in vigore una legge che vietava l'aborto dopo sei settimane dal concepimento, ovvero quando la maggior parte delle donne incinte non sanno neppure di esserlo. Le eccezioni erano estremamente limitate anche in caso di stupro, e la legge di fatto incentivava la denuncia di medici o altre persone che in qualche modo potevano favorire un aborto.
Anche nel caso del Texas, una sentenza con ricadute a livello statale era destinata ad aprire la strada ad una decisione con impatto nazionale. A giugno 2022 la Corte suprema statunitense ha rovesciato la sentenza Roe v. Wade che garantiva il diritto all’aborto in tutti gli stati, e da allora molte donne americane che vogliono abortire sono costrette ad affrontare lunghi viaggi verso altri stati o all'estero.
Contro i dinosauri
Per questo la storica sentenza della Scjn è stata festeggiata anche in Texas. E le organizzazioni messicane per il diritto all’aborto che nell’ultimo anno avevano visto crescere le richieste di sostegno da parte di donne al di là di quel confine blindato si preparano ad un ulteriore aumento delle domande di aiuto.
Gli stessi media statunitensi hanno dato spazio a storie di attiviste di organizzazioni come Las Libres, di base nello stato di Guanajuato, che ricevono e accolgono richieste disperate da parte da donne americane che in alcuni casi neppure parlano lo spagnolo. «I numeri sono destinati a crescere» aveva detto alla Cnn Crystal Lira, fondatrice di Bloodys Red Tijuana, un altro gruppo che facilita l’accesso all’aborto in Messico. Lira ha iniziato ad impegnarsi come attivista dopo essere stata costretta, dieci anni fa, a percorrere il tragitto contrario. Da casa sua, a Tijuana, era arrivata San Diego, in California, per assumere una pillola abortiva in una clinica gestita da Planned Parenthood.
La notizia della sentenza assume un senso ancora più forte alla luce di un’altra notizia dal Messico: a sfidarsi alle elezioni presidenziali del prossimo anno saranno due donne, entrambe a favore del diritto all’aborto. Claudia Sheinbaum, ex sindaca di Città del Messico, del partito Morena, appoggiata dall’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador, e la senatrice Xóchitl Gálvez del Partido Acción Nacional (PAN) di stampo conservatore, apprezzata anche per il suo umorismo.
Una volta si è presentata in parlamento con un costume da tirannosauro per contestare una legge elettorale proposta da Obrador che definiva un “Jurassic Plan”. Il costume che dovrebbero indossare tutti i legislatori dei paesi in cui si fanno passi indietro in materia di diritto all’aborto.
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