La candidata dem rifiuta di concedere nuove interviste alle maggiori testate giornalistiche statunitensi, fino a qualche tempo fa accusate dalla destra di essere faziose. Proprio mentre Trump continua ad attaccare i giornalisti
Una delle accuse fatte dai repubblicani ai democratici nel corso dell’ultimo trentennio riguarda l’eccessivo favore con cui la stampa li tratta. Uno dei punti in questione, riguarda gli endorsement dati dalle maggiori testate ai candidati: l’ultima volta che il New York Times ha dato il suo sostegno a un candidato repubblicano è stato nel 1956, durante la campagna per la rielezione di Dwight Eisenhower.
Tornando a epoche più recenti, una delle accuse riguarda il fatto di aver amplificato a dismisura ogni scandalo potenziale dell’amministrazione di Donald Trump e di aver minimizzato alcuni punti deboli di Biden, come ad esempio le vicende giudiziarie del figlio Hunter, che poi si sono rivelate serie, anche riguardo al contenuto di un laptop sulla cui esistenza, in prima battuta, si è dubitato, pensando che fosse solo una montatura della disinformazione russa.
Invece lo scoop fatto nel 2020 dal New York Post si è rivelato poi vero ed ecco quindi spiegati gli attacchi sguaiati alla stampa da parte del tycoon di tutti questi anni sui “media corrotti”.
Quello che però stupisce, in queste settimane, ma non solo, è la freddezza da parte dei dem rispetto ai giornalisti. Nei primi mesi dell’anno, era lo staff di Joe Biden a proteggere il presidente, probabilmente per evitare che venisse allo scoperto la sua fragilità poi esplosa nel dibattito contro Donald Trump lo scorso 27 giugno.
Adesso però, data la campagna fatta a partire da quel giorno, è rimasta un’ostilità da parte di Harris, ben consapevole di essere stata spesso sminuita da quelle stesse testate che ora vorrebbero un’intervista esclusiva da parte sua, opportunità finora concessa soltanto alla Cnn in tandem con il suo vice Tim Walz, conversazione dove peraltro ha sterilizzato qualsiasi polemica potenziale nei confronti di Donald Trump, anche quando è stata citata l’accusa del tycoon di usare opportunisticamente il suo essere “afroamericana”.
Una decisione di smorzare i toni che ravvisa una freddezza che si può spiegare soltanto in un modo: non dare alla stampa in pasto spunti polemici che potrebbero aumentare la visibilità di Trump negli ultimi due mesi di campagna elettorale.
Del resto nel primo biennio presidenziale di Joe Biden quotidiani autorevoli come il Washington Post e network televisivi come la Cnn, abituati a grandi numeri negli anni del quadriennio trumpiano, stentavano a ottenere lettori e ascolti. Del resto, criticare la gestione dei migranti da parte dell’attuale presidente è un argomento che fa minor presa rispetto agli scandali sessuali, ma non solo, del suo predecessore.
Non è un caso che soltanto nella primavera del 2023 le cose siano migliorate per queste testate giornalistiche. La tesi che circola tra lo staff della vicepresidente però è che questi stessi media preferirebbero tornare a coprire una presidenza Trump, nonostante i rischi che questa comporterebbe per la tenuta della democrazia americana.
Nel frattempo, proprio lo stesso Donald Trump, che sulle sue pagine social si è vantato di aver fatto insieme al suo vice J.D. Vance ben trentaquattro interviste totali contro la singola a cui si sono sottoposti Harris e Walz, cerca di sfruttare questa situazione a proprio vantaggio.
Come nella mattina di venerdì, uscendo da un’udienza processuale civile dove la sua difesa ha tentato di rovesciare la maximulta di 5 milioni di dollari comminata per aver diffamato la giornalista e scrittrice E. Jean Carroll, che lo ha accusato di aggressione sessuale. Quaranta minuti di bufale sulle sue vicende giudiziarie, inclusa la teoria che sia stato tutto orchestrato dal dipartimento di Giustizia sotto ordini diretti di Joe Biden, che sarebbe in vantaggio nei sondaggi e che non conosce né Carroll né la giudice Aileen Cannon, che nella sua veste di magistrato distrettuale in Florida ha chiesto l’annullamento del processo riguardo la sottrazione di documenti secretati rinvenuti nella sua residenza di Mar-a-Lago.
Nonostante questo, ha riempito di elogi la stessa Cannon, da lui nominata in quella posizione nel novembre 2020. Quando però sembrava che ci potesse essere un cambio di passo nei confronti del rapporto con la stampa, ha cambiato registro e ha detto ad alcuni giornalisti che dovrebbero vergognarsi, rifiutandosi di accettare domande e trasformando quindi quello che doveva essere un momento di confronto in un comizio in cui ha proseguito nell’attacco ai suoi nemici di sempre.
Sui quali però, in parte, concorda anche Harris, pur senza questi toni diretti e sguaiati.
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