- Migliaia di feed sono ancora su Instagram e TikTok, impossibili da cancellare dopo che sono passati da una mano all'altra. Sono arrivate 65mila denunce, centinaia i profili già identificati.
- Cancella tutto anche Anderson Torres, il responsabile dell’ordine pubblico a Brasilia, sul quale pende un mandato di arresto. Anche lui è in Florida, voci di un incontro con Bolsonaro.
- Già si sa chi ha finanziato la presa della capitale: dal cuore del Brasile agricolo e reazionario, sono i grandi fazendeiros e gli imprenditori a voler rimettere al potere Bolsonaro a qualunque costo.
Da tre giorni Marcio non guarda e non risponde ai messaggi, su Whatsapp appare una spunta sola. Mi ha venduto un apparecchio qualche settimana fa e avevo bisogno di un chiarimento.
Vive nel sud del Brasile, non l’ho mai visto in faccia. Da lunedì scorso Marcio ha anche imploso un gruppo al quale mi aveva iscritto, tra utenti dello stesso prodotto.
«Forse domenica era a Brasilia...», suggerisce qualcuno, su una lista parallela. Penso a una battuta e mando una faccina. Mica tanto. Parte un dibattito sulla sorte di Marcio.
È sparito dalla vita online, non sappiamo da quella reale. «In tanti stiamo cancellando tutto dai cellulari, foto, video, contatti e partecipazione a gruppi»; «Ci stanno dando la caccia come criminali, se trovano qualcosa sono guai. A che punto stiamo arrivando?».
Un chiarimento: non è una comunità di bolsonaristi o comunque di discussione politica. Sono tutti radioamatori retrò, come me. Argomento neutro.
Brandito come arma nelle strade, unica fonte di informazione per milioni di persone, totem della verità alternativa (leggi fake news), ora dal mistico telefonino in Brasile è arrivata l’ora di scappare.
Le immagini degli attacchi al palazzi del potere, domenica scorsa, impressionavano per la distruzione fisica e per la stupidità degli autori: tutti a fotografarsi e filmarsi durante le azioni violente.
Migliaia di feed sono ancora su Instagram e TikTok, impossibili da cancellare dopo che sono passati da una mano all’altra.
Lunedì mattina, con tempestività e arguzia, qualcuno ha aperto un profilo Instagram con centinaia di immagini prese dalla rete. Si chiama @contragolpebrasil. Molti volti colti tra le macerie di Brasilia hanno già un nome, qualcuno posta una denuncia: la conosco, lavora al Banco do Brasil della mia città, altri scherzano: è mia suocera, andatela a prendere.
La polizia ha messo a disposizione telefono e email per le denunce. Ne sono arrivate finora 60mila: print, foto, video. Nel frattempo loro, i golpisti, non perdono il vizio.
Nella grande palestra della polizia di Brasilia dove sono stati racchiusi in centinaia tra domenica e lunedì – prima di essere arrestati o rimessi in libertà – i cellulari erano ancora permessi.
«Ecco la repressione comunista, ecco la dittatura di Xandão (il giudice nemico Alexandre de Moraes, ndr)», «Siamo qui buttati per terra senza cibo e acqua». Non poteva mancare la bufala: è morta di stenti una vecchietta.
Circolata tra milioni di persone si è poi saputo che era una foto di una anziana qualunque presa dalla rete. E qualcuno ha ironizzato: è il primo campo di concentramento della storia dove ci si lamenta del rancio con una story su Instagram.
WhatsApp clonato
Dei controlli sulle tracce lasciate on e offline oggi hanno paura tutti, fino al vertice massimo del bolsonarismo. L'ex ministro della Giustizia del Distretto federale Anderson Torres, sul quale pende un mandato di cattura, è in Florida ma ha promesso di tornare al più presto in patria per consegnarsi alle autorità.
Prima però il suo avvocato ha fatto sapere che il WhatsApp di Torres era stato clonato. Guarda caso, quando il telefono gli verrà sequestrato al momento dell’arresto, non si troveranno più messaggi.
Secondo un’ipotesi tutta da verificare Torres potrebbe aver incontrato Bolsonaro a Orlando sabato, prima degli attacchi. Se la circostanza fosse confermata, il passo per incriminare l’ex presidente come mentore del tentativo di golpe sarebbe breve.
Bolsonaro a sua volta ha prima rilanciato un video su Facebook secondo il quale Lula «non è stato eletto dal popolo ma dai giudici», poi lo ha cancellato. È una abitudine, sua e dei tre figli, tra cui Carlos che varie indagini identificano come il capo delle cosiddette “milizie digitali” che operavano dalla stessa presidenza nei quattro anni del padre.
L’avvocatura generale dello stato ieri ha chiesto che vengano messi a disposizione degli investigatori sia i dati di localizzazione dei cellulari – in mano agli operatori – sia i contenuti, che verranno richiesti alle piattaforme social.
Qui le cose si fanno più difficili. In passato la Meta-Facebook, proprietaria di WhatsApp, ha negato richieste di giudici brasiliani, sostenendo che i messaggi tra utenti sono criptati anche per la stessa azienda. Secondo la legge brasiliana le aziende sono obbligate a conservare i dati degli accessi per almeno sei mesi.
Comunque vada a finire, la quantità di dati e immagini già disponibili, come dicevamo, è enorme. Se l’Fbi ci ha messo due anni per trovare tutti i partecipanti all’attacco a Capitol Hill, la polizia brasiliana, se agisce con perizia, può risolvere il puzzle in molto meno tempo.
Gli organizzatori
Aver già rimesso in libertà centinaia di persone, soprattutto anziani e minorenni, significa non solo l’impossibilità di gestire una retata indiscriminata, ma anche la volontà di concentrarsi sui veri responsabili della devastazioni e sugli organizzatori.
Su questo secondo fronte, le indagini sono molto avanzate. A tutti i fermati è stato chiesto chi ha pagato per i pullman e il vitto e alloggio a Brasilia. La risposta era attesa.
Dal cuore del Brasile agricolo e reazionario, sono i grandi fazendeiros e gli imprenditori a voler rimettere al potere Bolsonaro a qualunque costo.
Molti arrivano anche dagli stati “bianchi” del sud, dove la destra ha una maggioranza schiacciante. C’è infine il capitolo delle indagini sulle forze dell'ordine di Brasilia. Anche in questo caso le immagini mostrano chiaramente l’inazione della polizia al momento dell'entrata dei manifestanti nella piazza, e durante l’irruzione nei tre palazzi.
Secondo la sociologa Michele Prado, autrice di due libri sull’estremismo bolsonarista, il fenomeno del legame tra le reti e la destra brasiliana non rientrerà tanto facilmente.
«Nemmeno l’eventuale uscita di scena di Bolsonaro cambierebbe il quadro – dice in un’intervista alla rivista digitale Meio – Il leader è un ormai soprattutto un avatar, di un sentimento molto profondo, che continua ad abbeverarsi da centinaia di influencer, con centinaia di migliaia di followers ciascuno. Per non parlare della riabilitazione di moltissimi profili di estremisti su Twitter dopo l’acquisizione di Elon Musk».
Sostiene Prado che l’uso massiccio della rete ha ridotto enormemente i tempi della radicalizzazione. «Secondo uno studio, prima di Internet ci volevano in media cinque anni di consumo di contenuti estremisti. Con la rete i tempi sono scesi da 3 a 18 mesi: la produzione di estremisti è molto più rapida».
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