Gli armatori greci hanno aumentato gli affari con Mosca. Trasportano petrolio e vendono anche le vecchie petroliere agli alleati di Putin. Aumento del 140 per cento negli scambi rispetto al periodo pre invasione: il greggio va verso Emirati, Cina, India, Turchia e Singapore
Dall’inizio dell’invasione russa uno dei settori maggiormente colpito dalle sanzioni è stato quello dell’energia. Le esportazioni di petrolio e gas dalla Russia all’Europa sono crollate, con i paesi europei che si sono mossi subito alla ricerca di nuovi fornitori per ridurre il più possibile e in tempi rapidi la loro dipendenza dai prodotti russi.
Le sanzioni però si stanno rivelando meno efficaci del previsto, grazie allo spostamento del petrolio e del gas russo verso altri mercati e a un improbabile alleato: la Grecia. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, le vendite di petrolio russo sono tornate ai livelli precedenti al conflitto, tanto da aver toccato i massimi dall’aprile del 2020.
I paesi verso cui si è diretto l’export sono principalmente Emirati Arabi Uniti, Cina, India, Turchia e Singapore, con un aumento pari al 140 per cento rispetto al periodo pre invasione. Ad oggi, questi mercati assorbono il 70 percento delle esportazioni di greggio della Federazione, prima diretto verso l’Europa.
Il flusso di prodotti energetici russi verso il Vecchio Continente però non si è mai davvero fermato.
Vendita delle petroliere
La Russia ha trovato sempre nuovi modi per aggirare le sanzioni, anche grazie agli armatori della Grecia, paese con la più grande flotta al mondo in termini di capacità di carico. Basta analizzare i numeri diffusi da Robin Brooks, analista dell’International Finance, per rendersi conto dell’incremento del giro di affari tra Grecia e Russia.
Prima della guerra le navi greche rappresentavano il 33 percento delle petroliere in partenza dai porti russi, mentre adesso la percentuale è arrivata quasi al 50. Inoltre, guardando nello specifico ai principali porti russi del Mar Baltico e del Mar Nero, si nota che ben sette compagnie greche hanno spedito il 50 percento in più di petrolio rispetto all’azienda di Stato Sovcomflot, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal. Per tutta risposta, l’Agenzia nazionale ucraina per la prevenzione della corruzione ha inserito alcune compagnie greche nell’elenco “Guerra e sanzioni” in cui sono riportati i nomi dei sostenitori internazionali della Russia.
Gli armatori greci non si sono limitati a trasportare il petrolio russo da un porto all’altro. Nell’ultimo anno si è assistito anche a un aumento nella vendita delle petroliere greche, soprattutto di quelle più vecchie, verso paesi che non hanno aderito alle sanzioni occidentali.
Gli armatori ellenici hanno venduto circa 125 petroliere e altre navi per un valore di 4 miliardi di dollari nel primo anno di guerra, mentre negli ultimi sei mesi - come evidenziato da Hellenic Shipping News - altre 97 navi cisterna hanno cambiato proprietario.
Più nello specifico, sono state acquistate 29 megapetroliere - capaci di trasportare circa 2 milioni di barili e impiegate anche nel trasferimento di greggio da nave a nave - circa trenta Suezmax da un milione di barili e cinquanta Afromax, con una capacità di 700mila barili.
L’identità dei compratori però non è sempre chiara. La maggior parte delle navi sono state acquistate da compagnie con sede negli Emirati, in Cina, Turchia e India, ma non è facile stabilire chi ci sia dietro a questi acquisti. Secondo un’indagine della società finanziaria S&P Global, nell’ultimo anno sono sorte ben 864 compagnie marittime con legami più o meno diretti con la Russia, alcune delle quali evidentemente fittizie.
Ma acquistare navi greche non è l’unico modo per aggirare le sanzioni. Tra le strategie adottate dalla Russia vi è anche quella del trasferimento di petrolio da nave a nave, operazione utile per nascondere la provenienza del greggio e farlo così arrivare nei mercati europei.
Sempre secondo S&P Global, nel periodo aprile-giugno il trasferimento di greggio in mare è più che triplicato, arrivando a toccare i 47 milioni di barili. Una parte di queste operazioni avviene al largo della Grecia, oltre che nella Zona economica esclusiva russa.
Rischi ambientali
Il sistema adottato dalla Russia, dunque, sta consentendo alla Federazione di continuare a guadagnare dalla vendita di petrolio, rimpinguando così le casse di uno Stato in guerra, ma il pericolo va al di là del conflitto.
Il trasferimento di greggio da una nave all’altra e l’acquisto di petroliere sempre più vecchie e di seconda mano rappresentano un rischio anche dal punto di vista ambientale. Queste imbarcazioni hanno in media tra i 18 e i 23 anni, molto ben al di sopra del limite d’età stabilito a livello internazionale per il pensionamento di questo tipo di navi.
La flotta che trasporta il petrolio russo inoltre è solita spegnere i radar lungo alcune tratte per nascondere la sua posizione o celare informazioni sul porto di partenza e non sempre queste imbarcazioni sono adeguatamente assicurate, anche a causa delle sanzioni occidentali. In caso di incidente e di sversamento di petrolio nel mare sarà difficile capire su chi ricade la responsabilità e la mancanza di informazioni sulla posizione delle imbarcazioni complicherà anche le operazioni di soccorso.
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