Sono passati oltre dieci anni dal doppio referendum di Colorado e Washington che nel 2012 legalizzò la cannabis ad uso ricreativo nei due stati. Da allora anche stati come California e New York si sono uniti a questo trend. Non mancano però problemi di overdose anche dove la depenalizzazione ha incluso tutte le droghe.
Lo stesso giorno delle elezioni presidenziali del 2012, che hanno visto la riconferma di Barack Obama contro lo sfidante repubblicano Mitt Romney, in due stati americani veniva rotto un tabù di vecchia data: quello relativo all’uso ricreativo della marijuana.
Il Colorado e lo stato di Washington avevano passato per via referendaria due provvedimenti simili che consentivano di assumere cannabis per qualsiasi motivo, non soltanto quello medico. All’epoca i progressisti avevano salutato questa vittoria come l’alba di una nuova era e in effetti avevano ragione.
Se all’epoca anche i democratici mainstream esitavano a sostenere una misura simile, dopo oltre dieci anni tutto il partito sembra convinto della bontà di simili provvedimenti e in parte anche i repubblicani stanno gradualmente aprendo uno spiraglio sulla questione.
Due momenti di svolta
Nel 2022 c’è stata una svolta in due fasi, avvenuta ai massimi livelli: ad aprile la Camera dei rappresentanti ha passato un disegno di legge per decriminalizzare l’uso dell’erba a livello federale, accompagnato qualche mese dopo da un’analoga proposta del Senato che però non è andata oltre la mera introduzione in commissione.
A ottobre di quell’anno poi è arrivato l’annuncio del presidente Joe Biden: chiunque fosse stato incriminato a livello federale per semplice possesso di marijuana avrebbe ricevuto un provvedimento di grazia e nello stesso discorso Biden ha proposto anche ai governatori di fare lo stesso con gli imputati a livello statale.
Alla fine del 2023 poi un sondaggio di Gallup ha registrato un consenso trasversale alla legalizzazione: 87 per cento dei democratici, 70 per cento degli indipendenti e un notevole 55 per cento di repubblicani.
Il quadro nazionale rispecchia questo mutamento dell’opinione pubblica: lo scorso novembre l’Ohio, uno stato sempre più tendente verso la destra repubblicana, ha approvato un referendum di iniziativa popolare per legalizzare la marijuana per scopi ricreativi ed è il ventiquattresimo stato a farlo. Oltre a questi, si contano trentotto stati dove è legale utilizzare questa sostanza per ragioni mediche.
Il problema californiano
A una prima analisi sembrerebbe una storia di successo, che spingerebbe ad allargare ulteriormente le maglie della legalizzazione, anche per tassare un nuovo tipo di business. Ci sono però dei problemi da risolvere che fino a qualche tempo fa venivano derubricati a minuzie, appunti risentiti di una minoranza proibizionista in declino.
Si tratta dell’emergenza di salute pubblica emersa in alcuni stati dopo la legalizzazione, a cominciare dal più popoloso, la California: un complesso groviglio burocratico finora ha impedito l’affermazione di un fiorente commercio legale, dato che molti rivenditori illegali tuttora prosperano nelle grandi aree urbane contando sulla quasi sparizione dei controlli di polizia.
Gli antiproibizionisti controbattono dicendo che in fin dei conti questo dipende sia dalla burocrazia che dai mancati controlli delle infiltrazioni dei narcotrafficanti dal confine messicano, che ne approfittano per coltivare sempre più appezzamenti di terreno senza versare un dollaro nelle casse del Golden State.
Il permissivo Oregon
Dove i problemi sono maggiori però è dove la legalizzazione si è spinta oltre la marijuana. Basta salire a nord della California e troviamo l’Oregon che nel 2020 ha approvato quella che finora è la legislazione più permissiva di tutto il paese: la decriminalizzazione completa del possesso di piccole quantità di qualsiasi droga illecita.
L’unico ammonimento che riceve chi viene colto con qualche grammo di qualunque sostanza, dall’eroina al famigerato fentanyl, è una multa di cento dollari insieme a un biglietto con il numero di telefono per chiamare un centro per il trattamento della tossicodipendenza. Unico inconveniente è l’assenza di conseguenze per chi semplicemente butta nel cestino la contravvenzione.
Questo vuol dire che, di fatto, non ci sono misure che contrastino l’aumento vertiginoso del numero di morti per overdose: secondo i dati diffusi dagli U.S. Centers for Disease Control and Prevention, il più autorevole istituto di controllo sulla sanità pubblica, se nel corso del 2023 le perdite di vite umane dovute agli abusi di droghe sono cresciute dello 0,7 per cento, in Oregon c’è un vero e proprio boom con l’11 per cento in più.
Gli studi fatti in proposito sono discordi: secondo una ricerca della New York University, non c’è correlazione con la nuova legge, anche se sono mancati i finanziamenti necessari ai centri di salute pubblica per trattare le dipendenze, mentre un’altra analisi pubblicata dall’università di Toronto afferma che il nuovo regime legislativo ha influito eccome.
L’opinione pubblica sembra concordare con questa analisi: un sondaggio pubblicato dall’Emerson College ad agosto 2023 registra un 56 per cento di favorevoli all’abolizione completa della decriminalizzazione, mentre un 64 per cento si accontenta solo di qualche cambiamento restrittivo.
Da un lato i democratici locali chiedono di inasprire le pene sugli spacciatori, mentre i repubblicani, che sono in minoranza, rilanciano con la proposta di ripristinare la detenzione per i detentori di droghe pesanti, a cui possono rinunciare qualora si sottopongano a un ciclo di trattamenti sanitari monitorati regolarmente. Resta il fatto però che il dato sui finanziamenti inadeguati salta all’occhio: l’Oregon è lo stato che investe meno in prevenzione di tutti e cinquanta gli stati che compongono l’America.
Il cattivo esempio dell’Oregon è servito allo stato di Washington, sempre a maggioranza dem, per evitare gli stessi errori: dopo che la Corte Suprema statale aveva ritenuto incostituzionale una legge del 2021 sul possesso di stupefacenti, c’era un vuoto legislativo che era una decriminalizzazione de facto. Nel giro di poche ore il governatore dem Jay Inslee ha proposto un accordo bipartisan che mantiene una pena detentiva per chi possiede droghe pesanti, a cui però può sottrarsi qualora decida di curarsi.
«Un provvedimento che non vuole riempire le prigioni, ma le strutture sanitarie», ha affermato il governatore.
Negli stati repubblicani
Nonostante questi esempi non edificanti, la possibilità di legalizzare la marijuana a uso medico si è fatta strada anche in uno degli stati più conservatori, il Kansas: anche se dal 2021, dopo che un disegno di legge è stato approvato alla Camera, il Senato non lo ha nemmeno preso in considerazione.
E gli stati progressisti invece l’ampliamento della legalizzazione non si ferma: si discute in questi giorni al Senato dell’Illinois della decriminalizzazione dell’uso medico dei cosiddetti funghi allucinogeni, usati da alcuni specialisti per il trattamento di ansia, depressione e altre patologie.
Come abbiamo visto, la “guerra alle droghe” ormai non è un argomento che interessa nemmeno i repubblicani, anche se il traffico di un oppioide come il fentanyl, responsabile di centinaia di morti per overdose ogni anno, è stato uno dei temi toccati dal presidente Joe Biden anche in occasione del suo colloquio con il leader cinese Xi Jinping.
Per altre sostanze meno pericolose invece, il rischio è la faciloneria con cui California e Oregon si sono approcciati alla questione, decidendo semplicemente di depenalizzare il reato non si sono sconfitte né le dipendenze né il narcotraffico, ben presente in entrambi i territori.
Certo il tema del finanziamento delle strutture sanitarie deputate alla cura dei tossico dipendenti mal si presta alla retorica politica, però è un elemento che, se ignorato, rischia di vanificare tutti gli sforzi in questo senso per ridare fiato a una retorica proibizionista che non ha prodotto risultati degni di nota nel recente passato, se non qualche serie tv di alto livello come Breaking Bad.
© Riproduzione riservata