Perché l’accordo sul Somaliland rischia di complicare ulteriormente la stabilità nel Corno d’Africa e in tutto il Continente
L’ultima mossa di Abiy Ahmed, premier dell’Etiopia e Nobel per la pace, non fa che indebolire la cooperazione regionale del Corno d’Africa, una regione strategica per la stabilità del continente. E questo a causa del Memorandum of Understanding (MoU) che Abiy ha firmato il 3 gennaio con il presidente del Somaliland, stato indipendente che la Somalia sostiene essere parte del proprio territorio settentrionale. Il MoU concederà all’Etiopia un contratto di locazione di 50 anni per una base navale con accesso al porto di Berbera del Somaliland per fini commerciali. In cambio, l’Etiopia si impegnerà a fornire una «valutazione approfondita» del riconoscimento ufficiale del Somaliland come nazione indipendente, la prima volta che un altro paese si offre di farlo.
Il Somaliland riceverà anche una partecipazione nella compagnia aerea statale Ethiopian Airlines, anche se i dettagli su questa parte dell’accordo, soprattutto per quanto riguarda eventuali pagamenti aggiuntivi, sono scarsi. Il MoU ha provocato le ire della Somalia che ha dichiarato l’accordo illegale e contro la salvaguardia dell’unità, della sovranità e dell’integrità territoriale del paese.
Gli stessi al Shabab, gruppo militante islamista che da oltre 15 anni conduce un’insurrezione contro Mogadiscio, hanno dichiarato che l’Etiopia non potrà godere nemmeno di una goccia delle acque somale. Stati Uniti, Unione europea, Lega araba e Turchia hanno criticato il protocollo e ribadito la necessità di rispettare l’integrità territoriale della Somalia. Che cosa ha spinto Abiy a prendere questa decisione?
Poco più di un anno fa si è conclusa la guerra civile nel Tigray che, nel giro di due anni, ha ucciso più di 600mila persone e frammentato ancora di più l’unità del paese. Oggi, nonostante la miopia della comunità internazionale, le tensioni interetniche rischiano di esplodere non solo in Tigray, ma anche nelle regioni demograficamente più rilevanti dell’Amhara e dell’Oromia. L’inflazione è alle stelle e a fine dicembre l’Etiopia ha dichiarato default dopo non essere stata in grado di pagare una cedola di 33 milioni di un Euro-bond, unico titolo di stato internazionale.
In questo contesto, Abiy potrebbe aver deciso di firmare l’accordo con il Somaliland per riprendere un po’ di sostegno popolare in un paese che, non avendo accesso al mare, considera l’acqua “esistenziale” per il suo sviluppo economico. Tanto che da ottobre, dopo che Abiy ha definito l’Etiopia «una prigione geopolitica» e dichiarato che il paese «si stava preparando a una nuova guerra», si è iniziato a pensare che fosse pronto a riprendere con la forza il controllo del porto eritreo di Assab, che è stato il principale porto dell’Etiopia fino all’indipendenza dell’Eritrea del 1993.
Da un certo punto di vista, il MoU con il Somaliland potrebbe aver scongiurato un’ennesima guerra nel Corno già indebolito dai conflitti in Sudan, Sud Sudan e Somalia, e da una crisi climatica senza precedenti. Inoltre, nonostante le ire, la Somalia non sembrerebbe essere in grado di combattere militarmente contro Addis. Ma nel medio e lungo periodo, il MoU non fa altro che ridurre la cooperazione regionale e multilaterale in un momento in cui gli attori globali sono incapaci di risolvere le crisi della regione e i confini nazionali – non solo nel Corno – sono sempre più fragili.
Le prime vittime potrebbero essere infatti i sudanesi, in preda a un conflitto che nel giro di 8 mesi ha prodotto 7 milioni di sfollati e 1,5 di rifugiati. Nell’ultimo mese, l’unica fonte di speranza per un cessate il fuoco sudanese risiedeva nell’iniziativa di mediazione dell’Igad, l’organizzazione regionale che comprende Gibuti, Eritrea, Sud Sudan, Sudan, Uganda, Kenya, Somalia e Etiopia. Ma è difficile pensare che, in seguito al MoU di Abiy, le frizioni tra Addis Abeba e Mogadiscio non si ripercuotano sulla coesione dell’Igad. Finora, forse per scongiurare una frattura immediata, l’organizzazione regionale non si è espressa sul MoU.
Ma gli ultimi colpi di stato nel Sahel hanno insegnato che il silenzio delle istituzioni regionali di fronte a cambiamenti incostituzionali e iniziative che minano l’integrità degli Stati non ha fatto altro che indebolirle perché considerate incoerenti e di parte. E un’architettura regionale debole nel Corno non solo rischia di rendere il mantra delle «soluzioni africane a problemi africani» un miraggio, ma la pace ancora più difficile da ottenere e preservare.
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