- Non importa quali acrobazie culinarie siano pronti a fare i cuochi per compiacere il presidente degli Stati Uniti e il suo ospite Emmanuel Macron: il piatto forte a cena sarà sicuramente l’ira.
- Il capo di stato francese è a Washington per tre giorni, e non è detto che bastino, per incrinare gli egoismi e le politiche protezionistiche dell’amministrazione Usa. L’oggetto della discordia è l’”Inflation Reduction Act”, provvedimento che porta un acronimo premonitore: “Ira”, come quella di Macron, che lo ha definito «pas amical», ovvero una cosa che agli amici non si fa.
- Nel suo viaggio, con ministri e dirigenti d’impresa al seguito, proverà ad ammorbidire Biden. Intanto, dopo il bazooka tedesco e il mega-bazooka americano, l’Eliseo – in tandem col commissario Ue Breton - pensa al bazooka europeo.
Non importa quali acrobazie culinarie siano pronti a fare i cuochi per compiacere il presidente degli Stati Uniti e il suo ospite Emmanuel Macron: il piatto forte sarà sicuramente l’ira, tanto per cominciare alla cena privata di stasera, e poi domani, quando i pasti serali saranno consumati in pompa magna alla Casa Bianca.
Il capo di stato francese è in visita a Washington per tre giorni, e non è affatto detto che bastino, per incrinare tanto gli egoismi quanto le politiche protezionistiche dell’amministrazione statunitense. Anche se Joe Biden è un democratico, e quindi a livello domestico valorizza i suoi piani con ambizioni climatiche e attenzioni sindacali, i suoi provvedimenti vanno a discapito del comparto produttivo europeo e quindi, visti dall’Eliseo, evocano gli stessi istinti nazionalisti del destrorso predecessore, Donald Trump.
L’oggetto della discordia è l’”Inflation Reduction Act”, il provvedimento che porta un acronimo premonitore: “Ira”, come quella di Macron, che lo ha definito «pas amical», ovvero una cosa che agli amici proprio non si fa. Infatti non si può dire che i rapporti tra Stati Uniti e Francia siano amichevoli, anche se sono senz’altro più cordiali rispetto a un anno fa, quando teneva banco la crisi dei sottomarini.
Business class
Oltre a Brigitte Trogneux, che è la sua compagna di vita, Macron porta con sé in viaggio anche alcuni esponenti del governo francese. Assieme alla ministra degli Esteri, Catherine Colonna, ci sarà guarda caso il ministro delle Forze armate, Sébastien Lecornu: oltre alla guerra in Ucraina, ci sono i rapporti con la Cina e lo scacchiere indopacifico a finire certamente in agenda. Soprattutto, in Usa non può mancare Bruno Le Maire, che dal 2017 a oggi ha mantenuto il ministero di Economia e Finanze sotto ogni esecutivo dell’èra macroniana; i premier sono cambiati, Le Maire no. Che a Washington i dossier economici saranno dirimenti è chiarito anche dagli altri partecipanti alla corte di Macron: viaggiano con lui verso la Casa Bianca pure dirigenti d’impresa di svariati settori, dall’energia (c’è Patrick Pouyanné di Total) alle multinazionali del lusso (per Lvmh va Bernard Arnault).
Ma il vero alleato di Macron è un altro francese, anche lui manager prima che l’Eliseo lo indicasse come commissario europeo al Mercato interno: è Thierry Breton, che non sarà fisicamente in viaggio verso gli Usa con il presidente, ma che fa squadra con lui sul dossier Ira.
I bazooka degli altri
Lo Inflation Reduction Act è anzitutto un bazooka da 430 miliardi di dollari. Chi compra auto elettriche ottiene 7.500 dollari di credito d’imposta, ma questo vantaggio fiscale vale solo per chi produce negli Stati Uniti. Mentre il nostro ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, twitta al patron di Tesla, Elon Musk, che le porte del suo ministero «per lui sono sempre aperte», dimentica che lo stesso trattamento magnanimo non vale per gli imprenditori nostrani. La pioggia di dollari pubblici arriverà a Tesla appunto, a General Motors, a Ford, a Chrysler, sempre che per le batterie utilizzino minerali autoctoni o provenienti da paesi coi quali gli Usa hanno un accordo di libero scambio; e questo è un colpo alla Cina.
L’unica attenzione dell’amministrazione americana verso i produttori europei è un effetto indiretto degli ostruzionismi del dem Joe Manchin. Biden infatti ha ammantato l’Ira di vocazioni progressiste: nella versione originaria, oltre alle ambizioni climatiche, c’era l’attenzione al sindacato (United Auto Workers), ed era previsto che i vantaggi fossero riservati a macchine elettrice «assemblate da operai sindacalizzati americani». Il senatore Manchin, difensore tanto degli industriali quanto della vecchia èra dei fossili, ha fatto saltare questo passaggio, consentendo così indirettamente che qualche beneficio possa arrivare anche ai produttori europei purché abbiano delocalizzato negli Usa. Comunque non buone notizie per Macron.
Il presidente francese ha appena cominciato a ricucire con Olaf Scholz dopo il bazooka energetico col quale Berlino favorisce le imprese tedesche, e ora deve fronteggiare il mega bazooka americano, con effetti visibili da gennaio.
Margini negoziali
Riuscirà Macron a strappare qualche deroga? A Washington può presentare un conto lungo: in questi tempi di guerra, noi europei importiamo a caro prezzo il gas americano e soprattutto per noi è più pesante l’impatto dell’inflazione; in più, con l’Ira gli Usa allettano le nostre imprese alla fuga.
Nel braccio di ferro – cordiale ma «pas amical» – con Biden, Macron può contare su Breton più che su von der Leyen, che per la sua condiscendenza verso gli Usa si è meritata a Bruxelles l’epiteto di «presidente americana d’Europa». Breton, che in Ue ha la delega al Mercato interno, sta spingendo per l’idea macroniana dei sussidi alle imprese europee. Un bazooka Ue, insomma, nei tempi in cui ognuno pensa al suo.
Lunedì Usa e Ue si ritroveranno insieme al tavolo negoziale, durante il Consiglio commercio e tecnologia: lì vedremo se Macron avrà ammorbidito Biden almeno un po’.
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