La sconfitta del gruppo Wagner nel nord del Mali, nelle scorse settimane, è solo in apparenza una buona notizia. I movimenti tuareg sono supportati anche dagli islamisti e la regione resta frammentata in una serie di conflitti
La sconfitta del gruppo Wagner il 25 luglio scorso a Tinzatouaten nel Mali settentrionale, con l’uccisione di decine di miliziani russi assieme a numerosi soldati maliani per mano della ribellione tuareg CSP-DPA (quadro strategico permanente-difesa del popolo dell’Azawad) è solo apparentemente una buona notizia.
In realtà i movimenti tuareg secessionisti pare abbiano beneficiato del supporto dei loro amici-nemici jihadisti, con i quali fin dal 2012 mantengono un altalenante rapporto di collaborazione e rivalità.
Le insurrezioni in Mali
La lunga storia delle insurrezioni a nord del Mali comporta almeno quattro guerre tuareg contro il potere centrale di Bamako e si è distinta negli ultimi dieci anni per l’intervento dei movimenti radicali islamisti di origine nordafricana.
Tali organizzazioni jihadiste si sono rafforzate dopo la caduta di Muammar Gheddafi e la rottura dell’unità libica, spostandosi nel Sahel e travolgendo con la loro azione stati già fragili a causa di cattive condizioni politico-sociali e umanitarie. Il risultato è stato la moltiplicazione di gruppi armati e la diffusione di instabilità in tutta l’Africa occidentale con il contemporaneo fallimento dei governi democraticamente eletti, incapaci di frenare il fenomeno jihadista.
Il golpe
Ciò ha aumentato un vuoto in cui l’estremismo si è potuto ulteriormente espandere. La democrazia è stata messa in crisi dall’accusa di inefficacia: è la ragione che ha reso i golpe militari degli ultimi anni in Mali, Niger e Burkina particolarmente popolari. Organizzazioni come Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimeen (Jnim) cioè il Raggruppamento per la difesa dell’islam e dei musulmani di matrice al Qaeda ma a conduzione islamo-tuareg; lo stato islamico del grande Sahara (Eigs) o quello della provincia dell’Africa occidentale (Iswap); così come gruppi minori (ad esempio Ansarul Islam in Burkina); hanno approfittato della crisi di leadership per lanciare attacchi contro le forze governative e i civili. Altri attori militari non statali, come la milizia Wagner, sono riusciti ad inserirsi sfruttando le cattive relazioni tra paesi saheliani ed europei, in particolari le ex potenze coloniali come la Francia, intercettando il bisogno di supporto da parte degli eserciti locali.
La fine del gruppo Wagner in Russia ha tuttavia indebolito le sue propaggini in Africa a vantaggio di nuovi raggruppamenti – che qualcuno chiama Afrika Korps – direttamente controllati da Mosca. La possibile convergenza di tali soggetti – privati e/o eterodiretti – con le reti criminali globali e i contrabbandieri-trafficanti di ogni genere (armi, droga, migranti, terre rare, oro, ecc.), potrebbe rendere il Sahel un’area sprovvista di una qualunque autorità statuale, una speciale no man’s land pronta per ogni ambigua avventura.
Questa situazione colpisce in particolare la vasta regione denominata Liptako-Gourma e l’area del bacino del lago Ciad. Il Liptako-Gourma si trova nel Sahel centrale e include grandi aree di Burkina Faso, Mali e Niger. La caduta di Gheddafi ha riacceso l’endemica rivolta tuareg che aveva già vissuto quattro deflagrazioni nel 1963, 1990, 2006 e 2007. Organizzati nel Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla), i tuareg hanno riprovato ad ottenere l’indipendenza (o almeno una larga autonomia) approfittando di una situazione che si era rimessa in movimento, con il contributo dei nuovi militanti armati.
Alleanza azzardata
È in tale contesto che gli indipendentisti tuareg hanno tentato un’azzardata alleanza con i gruppi islamisti di derivazione algerina, tra i quali al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), il Movimento per l’unità e la jihad nell’Africa occidentale (Mujao) e Ansar Dine (movimento jihadista a guida tuareg dal quale in seguito sarà formato lo Jnim).
Parallelamente la rivolta tuareg rilanciava quei resti dei gruppi armati della guerra civile algerina (1992-2002) fuggiti verso sud e riorganizzati nel deserto alla frontiera con il Mali. L’alleanza ibrida tra nazionalisti laici tuareg e jihadisti, ha cercato di spingere le forze governative maliane fuori dal nord del paese.
L’inaspettata ripresa della guerra manda in crisi le istituzioni nella capitale, permettendo all’alleanza tuareg-islamista Mnla di prendere i capoluoghi settentrionali di Gao, Kidal e Timbuctu. Tuttavia tale coalizione non regge a causa della divergenza nelle agende: l’Mlna vuole la separazione del nord dal resto del paese (dichiara pure l’indipendenza), mentre i jihadisti puntano a occupare tutto il Mali e imporre la sharia.
Grazie all’intervento delle truppe francesi il paese non cade nelle mani dei jihadisti: le città sono riprese ma le zone rurali rimangono tutt’ora sotto la costante minaccia dei jihadisti. Vari colloqui e accordi vengono organizzati tra Bamako e porzioni di ribelli con un continuo rimescolamento di carte e di sigle, senza giungere a risultati positivi.
I jihadisti iniziano a diffondersi anche nei vicini Burkina Faso e Niger. Da allora la regione del Liptako-Gourma (chiamata anche delle “tre frontiere”) è diventato il centro di un focolaio di estremismo violento nel Sahel. Nel settembre 2016 in Burkina si fa vivo l’Eigs, lanciando i suoi primi attacchi, appoggiandosi su elementi locali di Ansarul Islam. Nel 2017 viene formato lo Jnim (a guida islamotuareg) che oggi controlla gran parte del Mali settentrionale. Nel 2020 anche il Niger inizia ad essere pesantemente attaccato.
Nel medesimo arco temporale attorno al bacino del lago Ciad, all’incrocio tra Camerun, Ciad, Niger e Nigeria, si fa vivo il movimento terrorista Boko Haram, originario della Nigeria nord-est nella regione di Maiduguri. Fondato nel 2002, Boko Haram attraversa varie vicissitudini, tra violenze estreme o repressioni. Il gruppo jihadista acquista notorietà internazionale con i rapimenti di ragazze e studentesse dall’aprile 2014 (Chibok girls), oggi diventata una modalità di guerra e anche criminale in tutta la Nigeria settentrionale. Nel 2015 Boko Haram aderisce allo Stato islamico (Isis) e cambia nome in Stato islamico nella provincia dell’Africa occidentale (Iswap). Una fazione scissionista si rifugia nelle isole del lago Ciad dove si scontra con le popolazioni locali. Dal canto suo l’Iswap stabilisce il controllo in parti del Niger orientale.
Istituzioni deboli
Uno dei problemi che aiuta l’espansione rapida dell’estremismo radicale islamico è la debolezza delle istituzioni nelle aree periferiche: in Mali, Niger e Burkina il potere statale tende tradizionalmente ad essere concentrato nelle regioni urbanizzate meridionali, mentre le aree rurali e desertiche settentrionali rimangono sottosviluppate, bacini di possibile manovalanza per gruppi estremisti e terroristi.
I golpe militari in Mali del 2020 e 2021, che hanno portato il paese sotto la gestione diretta dei militari, sono stati seguiti da simili putsch in Burkina e Niger. Malgrado ciò gli eserciti non si sono dimostrati più efficaci o in grado di riprendere il controllo.
A peggiorare la situazione il sostegno militare occidentale – segnatamente francese – è stato percepito come ingerenza o non sufficientemente decisivo nel combattere i jihadisti, al punto di chiederne la fine. I francesi che avevano salvato il Mali dalle mani dei terroristi sono andati via, sostituiti dai russi. A ciò si è aggiunto il ritiro delle forze di peacekeeping delle Nazioni unite. I jihadisti continuano a sfruttare il dissesto della strategia di sicurezza degli stati saheliani, intensificando gli attacchi e i massacri di civili sia in Mali che in Burkina, mentre in Niger la situazione appare meno grave. Negli ultimi 10 anni oltre 2,5 milioni di persone hanno abbandonato la regione del Liptako-Gourma, mentre quasi tre milioni sono fuggite dall’area del lago Ciad. Con l’inizio della guerra in Ucraina la tensione politica fra giunte militari saheliane, appoggiate sempre più decisamente da Mosca, e l’Occidente (in particolare la Francia) ha raggiunto un livello di rottura, con l’abbandono dei tre paesi saheliani dalla regionale Ecowas e la creazione dell’alleanza degli stati del Sahel (Aes). L’Africa occidentale sta subendo cambiamenti irreversibili che favoriscono l’instabilità del continente.
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