- Una nazione nobile e antica immersa in un mondo bizantino dove l’identita’ puo’ sembrare incerta: l’attuale presidente e’ un ex ambasciatrice francese, il predecessore un avvocato di studi americani e l’ex first lady una diplomatica olandese.
- Il ruolo dietro le quinte del miliardario Bidzina Ivanishvili, amico del Cremlino ma anche lui cittadino francese e capo del principale partito georgiano.
- Cristiana da 1700 anni, produttrice di vino da duemila, terra natale di Stalin, la Georgia resta mutilata, ma forse ha un suo astuto piano d’azione.
Se la politica internazionale fosse un campionato di rugby, si parlerebbe molto della Georgia come una nazione che cresce ogni anno di autorevolezza, ispira ampie dosi di ammirazione tra le grandi potenze e incute sincero timore alla vicina Russia (nonostante la disparità di superficie, popolazione e risorse).
Purtroppo la palla del mondo non è ovale: è rotondissima. E questa antica, nobile nazione sulle rive del Mar Nero dove il cristianesimo è religione di stato da quasi 1.700 anni, il vino è religione del popolo da ancora più a lungo e dove nel 1878 la storia del mondo venne cambiata con la nascita di Jozef Stalin, non incute a Mosca alcun timore reverenziale.
Al contrario, nella dura realtà della terra chiamata del “vello d’oro”, le umiliazioni recenti sono molte e difficili da digerire.
Repubbliche autoproclamate
Le principali si chiamano Abkhazia e Ossezia, ma c’e anche la Ajaria. Le prime due sono repubbliche autoproclamate con l’aiuto dei “caschi blu” inviati da Vladimir Putin e che dal 2008 hanno di fatto sottratto alla Georgia il 20 per cento del suo territorio. La terza è una regione autonoma sulla quale il governo georgiano fa fatica a esercitare controllo.
La Abkhazia è grande come l’Umbria, ha come capitale la bella Sukhumi, città-porto dei Dioscuri Castore e Polluce. I romani la conoscevano come il regno di Lazica, una provincia caucasica poi finita nell’impero bizantino. Più recentemente era soprannominata la Costa azzurra sovietica per le sue spiagge piene di bagnanti provenienti dal resto dell’Urss.
L’Ossezia del Sud invece – quella del Nord è sempre stata parte dell’Urss e poi della Russia – è poco più grande della Valle d’Aosta, è popolata da discendenti di nomadi iraniani, in antichità si chiamava Alania. L’Adjara, con capitale Batumi che sarebbe la seconda principale città della Georgia ed è conosciuta come la Las Vegas del Mar Nero, è un territorio ancora più piccolo, ma da sempre più prospero, in bilico tra vari potenti e per secoli sotto gli ottomani: ancor oggi la Turchia vi esercita una grande influenza.
Sono terre magiche e spesso selvagge, dove le bandiere illustrano antiche croci, santi a cavallo che brandiscono la spada, ghepardi circondati da cime innevate, gole di montagna imprendibili.
Nel ‘92, a Unione Sovietica dissolta, a capo della Georgia era stato nominato Eduard Shevardnaze, l’ultimo ministro degli Esteri sovietico e gentiluomo moderato. Nel 2003 la rivoluzione delle Rose aveva buttato fuori Shevardnaze e installato Mikehil Shakashivili, un personaggio da romanzo: avvocato di studi americani e accento yankee, sposato a un’ambasciatrice olandese che per anni fu anche la molto attiva first lady della Georgia senza temere alcun conflitto d’interesse, poi diventato cittadino ucraino e governatore di Odessa, amico di miliardari, sopravvissuto a diversi attentati. Ma il capitolo più indelebile del suo curriculum è l’attacco che ha ordinato nell’agosto 2008 contro la capitale della Ossezia del Sud, con relativi bombardamenti dei quartieri civili, per respingere i volontari cosacchi e i militari russi che temeva sarebbero entrati illegalmente in territorio georgiano per staccare definitivamente la Ossezia del Sud dalla Georgia e unirla alla Ossezia del Nord.
Assist a Putin
La foga nazionalistica a Tbilisi è durata poche ore ed è stata seguita da una disfatta umiliante. Vladimir Putin, infatti, non aspettava altro. Mobilizzando anche la flotta russa, nel giro di poco non solo ha occupato l’Ossezia del Sud dichiarandola una nazione indipendente, ma fece lo stesso con la Abkhazia. Tanto per far capire che con l’orso russo non si scherza, ha lanciato anche bombe su Tbilisi. Si è fermato solo per l’intervento diretto del presidente francese Nicolas Sarkozy e forse dopo aver riflettuto che la fine completa della antica Georgia avrebbe avuto conseguenze più negative che positive. Bastava mutilarla. Tutto ciò sembrava cogliere di sopresa l’avvocato Shakashivili, le cui truppe migliori erano peraltro state mandate in Afghanistan per compiacere gli americani. Il leader georgiano, infatti, sperava in un mini-conflitto per sedersi più forte al tavolo del negoziato con Mosca e soprattutto sperava che i suoi amici americani sarebbero intervenuti.
Tutti calcoli sbagliati. Gli americani non erano intervenuti, lasciando via libera ai russi: era il 2008 e Putin era ancora in amichevoli rapporti con l’occidente. O così l’occidente pensava. Ma questo sentimento non era ricambiato e da tempo Mosca soffriva nel vedere le nazioni una volta propri satelliti lentamente incorporate nella sfera di influenza occidentale. Come in Ucraina, per Putin una Georgia troppo amica della Nato e dell’Europa infrangeva un patto non scritto che diceva che i territori di confine dell’ex Urss non sarebbero stati fatti cadere sotto l’influenza atlantica.
Da allora, la Georgia è stata una nazione troncata. Abkhazia e Ossezia del Sud sono state riconosciute diplomaticamente dalla Russia, dal suo satellite Transnistria, dalle fortemente antiamericane Nicaragua, Venezuela, Siria, ma anche da Nauru, la micronazione dell’Oceania e membro dell’Onu che in disperato bisogno di aiuti finanziari scambia favori diplomatici con nazioni ricche (come Taiwan).
Un balletto a cui hanno partecipato anche Vanuatu e Tuvalu, che prima nel 2013 hanno riconosciuto ufficialmente l’Abkhazia, poi tre anni dopo hanno ritirato gli ambasciatori.
In una terra dove da una parte si è pronti a morire per la propria identità, ma dall’altra cosa sia la propria identità è oggetto di incerto e doloroso dibattito, con un interessante colpo di scena la Georgia ha eletto come presidente la signora Salome Zourabichvili, una carismatica sessantenne che non solo vanta prestigiose lauree internazionali e parentele con aristocratici e accademici di vari paesi, ma è stata persino l’ambasciatore francese in Georgia dopo una lunga carriera diplomatica al servizio non della Georgia, ma della Francia. Come se l’Italia eleggesse al posto di Sergio Mattarella l’ex ambasciatore americano Ronald Spogli (famiglia originaria di Gubbio) o la brava ex ambasciatrice francese a Roma, Catherine Colonna (famiglia corsa).
Fiducia
Una vicenda affascinante, ma dal punto di vista di Mosca è solo la conferma che della Georgia “non ci si può fidare” e che per tenerla al guinzaglio è necessario incoraggiare Abkhazia e Ossezia del Sud. La Zourabichvili, forse inconsapevolmente, ha innervosito Mosca anche quando per diminuire il budget della presidenza ha chiuso il faraonico palazzo modernista dei predecessori e ha messo su ufficio nel palazzo ottocentesco dei principi Orbelliani, più modesto ma carico di significati: gli Orbeliani erano da sempre al fianco della Russia imperiale e membri emeriti della sua aristocrazia francofona e filo-occidentale.
La presidente è appoggiata da un personaggio importante: Bidzina Ivanishvili, miliardario (il suo patrimonio è un terzo del Pil georgiano), ex primo ministro, una sorta di Berlusconi georgiano: è amico del Cremlino e – guarda caso – anche cittadino francese di casa all’Eliseo.
Questa ambiguità è tipica. Forse la Georgia vuole la Nato, ma vuole anche un rapporto privilegiato con Putin. Dopo tutto siamo nel Caucaso. Nulla è mai interamente chiaro. La mappa geografica è in continua evoluzione e qui la palla è ovale: spesso rimbalza in modo imprevedibile.
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