- La storica organizzazione per i diritti umani Memorial è a rischio di chiusura a causa della legge russa sui cosiddetti “agenti stranieri”. Sono ora in corso le udienze preliminari.
- A partire dal 2012 nel registro degli “agenti stranieri” sono finite tutte le principali organizzazioni e testate giornalistiche scomode per l’attuale élite politica russa.
- Il governo russo negli ultimi dieci anni ha introdotto una serie di leggi e misure che vanno a limitare e cancellare “legalmente” l’esercizio dei diritti civili e politici dei cittadini.
Questo pezzo è stato pubblicato in data 5 dicembre. Qui gli ultimi aggiornamenti:
La corte suprema della Russia ha ordinato la chiusura di Memorial Internazionale, sulla base della contraversa e discussa legislazione nazionale contro gli “agenti stranieri” che ha preso di mira decine di Ong e media indipendenti visti ostili dal presidente Vladimir Putin.
L’11 novembre la procura generale della Federazione russa ha presentato un’istanza di scioglimento di Memorial Internazionale, storica organizzazione per la difesa dei diritti umani sorta nel 1987 per volontà di alcuni dissidenti sovietici tra cui il fisico Andrej Sacharov, Nobel per la pace nel 1975. Tra i suoi progetti più importanti c’è il database online dei nomi dei perseguitati politici dell’Unione sovietica. L’istanza di scioglimento è dovuta alla ripetuta violazione della legge relativa ai cosiddetti «agenti stranieri», nel cui registro Memorial è stata inserita nel 2016.
Gli «agenti stranieri»
Queste realtà hanno l’obbligo di apporre in maniera palese su qualsiasi materiale da loro prodotto, online o offline, una dichiarazione del proprio status giuridico. All’istanza di scioglimento si è aggiunta l’accusa di giustificazione di «terrorismo ed estremismo» indirizzata al centro di difesa dei diritti umani Memorial.
Questo caso, le cui udienze preliminari sono in corso dallo scorso 23 novembre e continueranno il 14 e 16 dicembre, è soltanto l’ultimo esempio di come la repressione in Russia oggi abbia assunto forme più burocratiche e perfettamente legali.
Ma cosa vuol dire essere «agente straniero»? La legge è stata introdotta nel 2012 in un periodo di crescente attività legislativa in materia di diritti civili. Da allora, nel registro degli «agenti stranieri» — espressione che rimanda all’epoca sovietica — finiscono organizzazioni, enti, testate giornalistiche e, dal dicembre 2020, anche singoli individui, in genere giornalisti.
La terminologia è volutamente ampia, in modo da farvi ricadere una moltitudine di realtà diverse tra loro, accomunate dalla ricezione, anche in questo caso assai vaga in merito a metodi e somme, di finanziamenti dall’estero, e da una certa «attività politica» nel paese.
Tra gli «agenti stranieri» più noti ci sono Voice of America, Radio Svoboda, il giornale online Meduza, il canale televisivo Dožd, il fondo di lotta alla corruzione del noto oppositore ora in carcere Aleksej Navalny, l’unico centro russo di studi sociologici e statistici indipendente, il Levada Center, e diverse associazioni che si occupano di violenza domestica, dipendenze, Aids, diritti Lgbt.
L’etichetta è tutt’altro che un pro forma e limita notevolmente le attività di chi rientra nella lista: avere a che fare con un «agente straniero» è rischioso sia per i singoli sia per le aziende; il governo, in genere, non rilascia dichiarazioni a giornalisti e testate riconosciuti come «agenti stranieri», i quali devono fare rapporto alle autorità sulle proprie attività e sono perseguibili penalmente per errori su quanto dichiarato.
Dalle violenze alla burocrazia
Negli ultimi dieci anni la macchina repressiva russa ha cambiato volto, divenendo gradualmente più burocratica, “legalizzandosi”. La solerte attività legiferativa ha subito un’accelerazione in risposta alle numerose proteste di piazza che tra il dicembre 2011 e il maggio 2012 hanno portato nel centro di Mosca centinaia di migliaia di manifestanti, uniti contro le manipolazioni dei risultati delle parlamentari del 2011 che hanno garantito al partito presidenziale Russia Unita il 52,88 per cento dei seggi alla Duma.
Anche se le elezioni non si sono distinte particolarmente dalle precedenti in termini di brogli e violazioni (problematiche croniche per la realtà russa), si era venuta a creare una consistente massa critica nella società che era pronta a esprimere il proprio dissenso e insoddisfazione.
Dopo le presidenziali del marzo 2012, vinte per la terza volta da Putin con il 63,6 per cento delle preferenze, le proteste non si sono affievolite: il giorno prima dell’insediamento del presidente (il 6 maggio), i manifestanti hanno organizzato la cosiddetta “Marcia dei milioni” in piazza Bolotnaja. Nonostante la sua natura pacifica, la manifestazione è stata duramente repressa dalla polizia. Circa 400 persone sono state arrestate e 18 condannate. I media filogovernativi allora hanno aricarato la dose accusando un indefinito occidente di aver sobillato manifestanti allo scopo di indebolire il governo russo.
Da allora, il legislatore russo ha lavorato a un ritmo accelerato nella scrittura e approvazione di misure che vanno a limitare, anche retroattivamente, i diritti civili e politici dei cittadini. Alla legge sugli «agenti stranieri» è seguita quella sulla «propaganda gay» nel 2013, quindi gli emendamenti sul contrasto al terrorismo nel 2016 e ancora la legge sul cosiddetto “internet sovrano” nel 2019. I tribunali russi nel frattempo hanno impartito condanne a oppositori, attivisti e altre voci critiche sulla base di motivazioni politiche più o meno evidenti: ne sono stati vittima, tra gli altri, il regista Oleg Sentsov, il regista teatrale Kirill Serebrennikov, il giornalista Ivan Golunov, lo storico Jurij Dmitriev.
Il sistema di controllo
Di fatto, la repressione è passata dalla materialità delle piazze, delle perquisizioni e degli arresti (pur ancora presenti) alla freddezza burocratica dei tribunali e delle sanzioni amministrative. In questa maniera la procedura si è “legalizzata”, trovando sostegno e giustificazione nell’apparato legislativo che garantisce l’efficienza del sistema di controllo, sanzione e repressione. Invece di un autentico stato di diritto che assicuri il rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini, la Russia ha progressivamente applicato una propria versione nazionale di “rule by law” (primato del diritto) che interpreta il diritto come strumento, distinguendo e privilegiando la lex sullo jus.
Proprio questo slittamento burocratico nelle pratiche di controllo del dissenso e dell’opposizione permetterà con ogni probabilità all’attuale situazione politica in Russia di sopravvivere nel tempo, indipendentemente da ciò che il futuro prevederà per il presidente Putin e il suo entourage.
Con l’introduzione degli emendamenti costituzionali del 2020,gli stessi che hanno azzerato i mandati di Putin, che potrà ripresentarsi alle presidenziali del 2024, il primato del diritto russo su qualsiasi principio giuridico internazionale ha ulteriormente spianato la strada a un approccio prettamente strumentale del diritto, rendendo possibili sentenze arbitrarie e privando i cittadini della possibilità di appello ai tribunali internazionali come invece accadeva in precedenza.
In ogni caso, la resistenza e il dissenso non si smorzano: sia la comunità russa che quella internazionale si sono mosse in queste ultime settimane esprimendo solidarietà — anche attraverso una petizione online — nei confronti della storica organizzazione Memorial.
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