Con la nascita della nuova Siria dopo la caduta del regime, il governo curdo della regione di Rojava ha presentato un piano di dieci punti per un paese democratico e accogliente
Il Rojava è ancora sotto attacco. La Turchia e i miliziani jihadisti del Sirian national army (Sna), finanziati proprio dallo Stato turco, stanno cercando di sfruttare il cambio di regime a Damasco per invadere nuovamente la Siria del nord est. Il Rojava - che in una lingua curda significa “occidente”, perché quella siriana è la parte più a ovest del Kurdistan - è una regione autonoma de facto dal 2014, in cui oggi vivono oltre 4 milioni di persone di diverse etnie e religioni. Il suo governo prende forma nell’amministrazione autonoma del nord est (Daanes) e le sue forze armate sono le Forze democratiche siriane (Fds) a guida curda e le Ypg/Ypj, le unità di protezione del popolo.
A inizio mese, mentre crollava il regime di Bashar al-Assad e prendeva il potere Hayat Tahrir Al-Sham (Hts), l'Sna ha iniziato ad attaccare le posizioni curde con la copertura dei droni turchi, prendendo il controllo dell’area di Manbij, l’unica grande città che la Daanes controllava a ovest dell’Eufrate dopo la caduta di Afrin nel 2018. Mentre la Turchia rafforza la presenza di carri armati lungo il confine, si stima che siano già 200mila i profughi in fuga.
Gli Stati Uniti, che dal 2016 hanno collaborato con i curdi in chiave anti-Isis, hanno negoziato con Ankara un ritiro delle forze curde da Manbij e un cessate il fuoco di due settimane, rotto poco prima di Natale dalle bombe turche. Da giorni sono in corso combattimenti lungo la diga di Tishrin e sul ponte Qaraqozak, con le milizie filoturche che provano a superare l’Eufrate e accerchiare da sud Kobane, città conosciuta in tutto il mondo per la sua resistenza a Daesh. Due giornalisti curdi di cittadinanza turca, Nazim Dastan and Cihan Bilgin, sono stati uccisi nella regione di Kobane, nientemeno che da un drone turco secondo l’esperto di Medio Oriente Thomas van Linge. Giovedì, Hakan Fidan, primo Ministro degli Esteri turco a visitare Damasco dopo decenni, ha affermato in conferenza stampa la conquista della diga sull’Eufrate, ma poco dopo dei combattenti delle Sdf hanno registrato un video in cui li si sente dire “siamo ancora qui”. Il governo turco non fa mistero dei suoi desideri: «Le unità di difesa del popolo curdo devono sciogliersi o saranno sciolte. I membri stranieri devono lasciare il Paese, i dirigenti abbandonare la Siria, i militanti deporre le armi», ha detto Fidan. La Turchia osteggia l'autonomia della minoranza curda dai tempi di Ataturk, ma con Erdogan annientare il governo autonomo è diventato un obiettivo primario, poiché l’esperienza del Rojava si fonda sui principi del confederalismo democratico di Abdullah Öcalan, che da 25 anni si trova in carcere e in isolamento sull'isola turca di Imrali, un luogo al di fuori del diritto internazionale. Il confederalismo democratico è un sistema di organizzazione della società basato sulla democrazia partecipativa, sulla parità di genere e sull’ecologia.
Come rivelato dal Wall Street Journal, la settimana scorsa la ministra degli Esteri Daanes Ilham Ahmed ha inviato una lettera al presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, chiedendogli di non abbandonare il Rojava. «Dall’altra parte del confine già vediamo ammassarsi le forze turche e i nostri civili vivono nella paura costante di morte e distruzione», ha scritto. Gli Usa hanno spesso sostenuto i curdi, per poi farli massacrare. Negli anni ‘70 la Cia ha contribuito a organizzare l'insurrezione curda in Iraq contro Saddam Hussein. Nel 2016, cinque anni dopo l’inizio delle proteste contro Assad, gli Stati Uniti di Barack Obama decisero di sostenere la Daanes e le Fds in funzione anti-Isis, per poi abbandonarli quando quest’ultimo è stato sconfitto.
A inizio 2018 le milizie stipendiate dalla Turchia hanno chiesto aiuto ad Ankara, che con l’operazione Olive Branch ha sfruttato l’opportunità del disimpegno dell’amministrazione Trump per invadere il nord della Siria e conquistare il distretto di Afrin, nel nord della provincia di Aleppo. È in quell’area, dove vengono utilizzati la lira, la rete elettrica e i libri scolastici turchi, che per anni è rimasta quiescente Hayat Tahrir Al-Sham.
Il suo leader al-Julani da Damasco ha promesso rispetto per le minoranze. I curdi vogliono far parte della nuova Siria, come dimostra la decisione di issare su tutto il territorio della Daanes il tricolore con le tre stelle sventolato dalle forze che hanno costretto Assad alla fuga. «Mentre cresceva la speranza tra i siriani per una soluzione politica, la Turchia l'ha interrotta con un pesante attacco di droni», ha detto Ahmad. A Raqqa, vecchia capitale dell’Isis, la Daanes ha annunciato la propria proposta per la Siria in 10 punti. Questi chiedono un cessate il fuoco, un dialogo intra-siriano, un contrasto al linguaggio d’odio, una maggiore partecipazione delle donne nei processi decisionali, una redistribuzione delle ricchezze tra le regioni siriane e un impegno a garantire il ritorno delle persone sfollate nelle loro aree d’origine. Una Siria unita e democratica, in cui possano trovare spazio tutte le etnie, le religioni e i credi.
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