Il candidato repubblicano era diventato negli anni un idolo degli antiabortisti che inizialmente lo guardavano con diffidenza. Ora le posizioni troppo radicali rischiano di danneggiare i repubblicani
C’è stato un tempo in cui a Donald Trump serviva avere nel ticket presidenziale un antiabortista di ferro come l’allora governatore dell’Indiana, Mike Pence, per dissipare i dubbi su di lui. Agli occhi di alcuni elettori repubblicani sembrava ancora un liberal newyorchese sotto mentite spoglie. Dopo essere diventato poi l’alfiere del mondo evangelico conservatore anche per le sue affermazioni pubbliche sul tema, da qualche settimana assistiamo a una clamorosa retromarcia.
Durante il quadriennio alla Casa Bianca, le perplessità della vigilia si sono dissipate rapidamente, anche grazie alla nomina di tre giudici conservatori alla Corte suprema nel giro di tre anni con l’obiettivo, segreto ma non troppo, di riuscire a cancellare la sentenza Roe v. Wade che nel 1973 aveva reso lecito l’aborto su tutto il territorio nazionale. Non solo: Trump è stato il primo presidente a partecipare alla March for Life nel gennaio 2020 e a dare al partito repubblicano un profilo integralmente antiabortista, accompagnando una trasformazione partita negli anni di Reagan a compimento.
A rafforzare questa immagine di Trump quale “crociato per la vita” era stata anche una frase detta di sfuggita durante la stagione delle primarie 2016 dove il tycoon sosteneva che «ci dovrebbe essere qualche forma di punizione» per le donne che abortiscono. Affermazione corretta di recente, ma non nel modo che ci si aspetterebbe: «Se gli stati lo decidono, possono incriminare le donne che abortiscono», ha detto in un’intervista su Time Magazine uscita a fine aprile.
Ed eccoci alla svolta recente: in passato l’ex presidente aveva incolpato l’estremismo sull’aborto di aver reso difficili le cose ai candidati repubblicani e di aver causato la loro sconfitta. Sempre però dietro le quinte e mai pubblicamente, con critiche che venivano poi trascritte nei retroscena giornalistici. Dopo la convention democratica e con il rischio che pure nella repubblicanissima Florida del governatore Ron DeSantis un referendum instaurò il diritto d’aborto nella Costituzione statale, è arrivata un’uscita pubblica di fronte ai suoi follower sul social Truth, di sua proprietà.
Il tycoon ha scritto che la sua amministrazione sarà «ottima per le donne e per i diritti riproduttivi».
Un’etimologia normalmente utilizzata dai democratici che ha subito fatto arrabbiare alcuni esponenti del movimento pro-life. Da un lato c’è stata la precisazione dell’addetta stampa nazionale della campagna di Trump Karoline Leavitt che ha specificato che il presidente Trump intende «lasciare la responsabilità di decidere agli individui e ai singoli stati», mentre le donne devono essere libere «di aver accesso a tutte le cure di cui hanno bisogno per creare famiglie prospere, inclusa la fecondazione in vitro e la contraccezione».
La fecondazione in vitro peraltro era un tema su cui Trump si era espresso favorevolmente a inizio anno, quando una sentenza della corte suprema dell’Alabama aveva messo a rischio la pratica nei confini dello stato.
Non c’è però solo questo: il suo vice, J.D. Vance, noto per essere stato per due anni uno dei senatori più violentemente contrari all’interruzione di gravidanza, ha ribadito che qualora un divieto nazionale di abortire venisse approvato dalle due camere del Congresso, il presidente Trump porrebbe il suo veto, in ossequio alla sua filosofia di lasciare la questione agli Stati.
Difficile che qualche elettore si lasci convincere da questa giravolta tardiva, mentre è molto più facile che alcuni conservatori restino a casa il prossimo novembre, specie qualora le chance di Trump si assottigliassero. Del resto, il trend non è favorevole nemmeno per un’altra questione cara ai conservatori: quella del controllo genitoriale sull’insegnamento scolastico, ritenuto troppo “woke” e “progressista”, difeso a spada tratta dall’organizzazione Moms for Liberty, vera e propria incarnazione del trumpismo nei consigli scolastici. I loro candidati hanno perso varie elezioni persino nel Sunshine State.
Gli altri genitori non apprezzano più la loro retorica divisiva, poco attenta ai problemi concreti. Proprio ciò che è accaduto anche con altri esponenti repubblicani maggiori.
© Riproduzione riservata