- L’ex governatrice, volto del trumpismo radicale, ha perso le elezioni suppletive per l’unico seggio alla Camera dei Rappresentanti di Washington, contro Mary Peltola, dem moderata che si è concentrata su temi concreti come il caro carburante e le infrastrutture.
- Sarah Palin, ex governatrice dello stato, candidata vicepresidente nel 2008 alle spalle di John McCain, aveva abbandonato la politica elettiva nel 2009 ufficialmente per dedicarsi anima e corpo alle “culture wars”.
- La vittoria di Palin è un segnale che i democratici dovrebbero cogliere per novembre: grazie anche alla mobilitazione dovuta alla cancellazione del diritto costituzionale all’aborto, forse il disastro potrà essere evitato. Sempre che i candidati repubblicani siano estremisti come Sarah Palin, o poco meno.
Le elezioni suppletive in Alaska non avevano molto attirato l’attenzione degli analisti: la ragione per cui si sono tenute questo 31 agosto è la morte di Don Young lo scorso 18 marzo, decano della Camera dei rappresentanti americana, in carica sin dal 1973, un repubblicano moderato vecchio stile, concentrato sull’ottenimento di fondi e finanziamenti per i suoi elettori e il suo stato.
Ma poi c’è stata la sconfitta di una vecchia conoscenza della politica americana, Sarah Palin, ex governatrice dello stato, candidata vicepresidente nel 2008 alle spalle di John McCain, che aveva abbandonato la politica elettiva nel 2009 ufficialmente per dedicarsi anima e corpo alle “culture wars” tanto care alla frangia più esagitata del partito repubblicano senza gli intoppi e i crucci del governo di uno stato climaticamente complesso come l’Alaska. Ma anche per evitare la marea di azioni legali contro il suo stile di governo discutibile noto per l’uso disinvolto di fondi federali.
La “guerriera populista”
Non ha aiutato nemmeno la sua campagna elettorale surreale: un esempio su tutti, la sua politica energetica riassunta con lo slogan “Drill, baby, drill” usato nel dibattito con l’altro candidato vicepresidente, l’allora senatore democratico Joe Biden, e che ha dato adito a battute e parodie satiriche di dubbio gusto nei suoi confronti.
Insomma, secondo l’opinione dello stratega di Trump Steve Bannon, sarebbe potuta diventare la “guerriera populista” che l’allora movimento del Tea Party cercava per combattere l’establishment dem incarnato da Barack Obama. La sua impreparazione però non ha aiutato questo processo: nonostante il suo porsi come campionessa delle donne conservatrici, il suo voler incarnare i “valori” delle mamme che portano i figli a giocare a calcio e a hockey, non ha osato mai ricandidarsi a nulla.
Né al Senato in Arizona, dove si era trasferita poco dopo le dimissioni, né alla presidenza degli Stati Uniti nel 2012. Si è fatta notare solo per due endorsement: uno, nel 2014, al candidato governatore dell’Alaska Bill Walker, indipendente appoggiato dai democratici, contro il suo ex vice Sean Parnell, come sorta di vendetta per le aspre critiche che le ha rivolto dopo le sue dimissioni. Il secondo, più scontato, a Donald Trump nel gennaio 2016.
Titillare la base
Nel mezzo, anche alcune partecipazioni al mondo dello spettacolo, tra cui la partecipazione all’edizione 2020 del “Cantante Mascherato” camuffata da orso rosa. Negli ultimi anni ha sposato tutte le posizioni più estreme del trumpismo, andando ben oltre il semplice negazionismo. Oltre a non essersi mai vaccinata, ha pranzato in un ristorante di New York lo scorso 27 gennaio mentre era positiva.
Il massimo quindi per titillare una base integralmente scettica sulla scienza medica. Queste posizioni molto radicali non sembravano costituire un problema con l’elettorato dell’Alaska, che ha eletto Donald Trump quale presidente con dieci punti di margine nel 2020.
Il voto alternativo
Se non fosse che adesso c’è una nuova modalità di voto: quella del voto alternativo, varata per via referendaria sempre nel 2020. Già lo scorso 16 agosto le primarie svolte con questo nuovo sistema hanno favorito la senatrice repubblicana centrista Lisa Murkowski, che dovrà affrontare la trumpiana Kelly Tshibaka.
Adesso invece hanno contribuito alla vittoria della democratica moderata Mary Peltola, di origine nativo-americana, che ha puntato su temi molto concreti, come i problemi del comparto della pesca e il potere di acquisto delle famiglie, oltreché il rinnovo infrastrutturale grazie ai fondi federali. Un contrasto stridente con chi invece pensava di puntare sullo scontro ideologico.
Un segnale che i democratici dovrebbero cogliere per novembre: grazie anche alla mobilitazione dovuta alla cancellazione del diritto costituzionale all’aborto, forse il disastro potrà essere evitato. Sempre che i candidati repubblicani siano estremisti come Sarah Palin, o poco meno. E i dem puntino su temi graditi alla maggioranza degli elettori, come l’inflazione e il caro carburante, molto sentito in uno stato dove si consuma molto nei lunghi inverni.
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