Il generale riservista Yuval Bezek: «Obbligati a raggiungere risultati decisivi nel più breve tempo possibile». Il gruppo libanese «è il principale strumento con cui l’Iran vuole estirpare la presenza occidentale» nell’area
Oggi il generale di brigata israeliano Yuval Bezek è nella riserva. D’altronde si è arruolato nella Brigata Golani per la prima volta quarant’anni fa esatti – nel 1984 – e, da allora sino al congedo, ha spesso servito Tsáhal (le Forze armate israeliane) in posizioni di combattimento attivo. Tuttavia non si è mai messo davvero a riposo.
Negli ultimi 12 anni è stato capo del personale della 91esima Divisione, detta Galileiana perché è responsabile della difesa del settentrione d’Israele che corrisponde appunto alla regione della Galilea. Si occupa da sempre della sicurezza nazionale del suo paese, collaborando con enti nazionali prestigiosi e conducendo il programma Erez (Cedro) per la formazione degli ufficiali d’èlite. «Quello che ha di speciale la Golani, le cui unità ho anche avuto l’onore di comandare, è l’essere composta da cittadini provenienti da ogni parte della società israeliana» sottolinea il generale di brigata. «Questo spirito trasversale di appartenenza è stato d’esempio per tutto l’Esercito israeliano sin dal 1948, rivelandosi prezioso anche quando ho guidato la Brigata Samaria durante la seconda Intifada».
In quell’occasione Israele riuscì sconfiggere un’ondata di terrorismo devastante, riuscendo a stabilire le basi per una coesistenza in Cisgiordania. Una situazione che col tempo si è deteriorata, anche a causa del fenomeno degli insediamenti israeliani.
«Esiste un enorme divario tra il diritto internazionale secondo cui opera Israele e la percezione prevalente nel mondo, dato che la maggior parte degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria (il modo in cui gli israeliani chiamano la Cisgiordania, ndr) sono legali» puntualizza il generale Bezek. «È certo però che sono presenti anche azioni illegali compiute da estremisti israeliani. Naturalmente si tratta di situazioni per me inaccettabili, così come per la maggior parte dell’opinione pubblica di Israele, che anche i palestinesi senza la cittadinanza israeliana possono denunciare alla Corte Suprema».
Il 7 ottobre
Secondo Bezek buona parte dei problemi in Cisgiordania sorgono a causa degli sforzi di Hamas e dell’Iran, volti a destabilizzarla per promuovere la loro strategia di lungo termine per l’intera regione. «Il paradosso è che quando ci siamo ritirati da Gaza o dal Libano, le risorse di quelle terre non sono non sono state impiegate per beneficiare chi vi abita. Sono invece diventate dei punti di attacco contro di noi, la base dei nostri nemici più pericolosi». Una lezione amara per il generale: suo figlio Guy, arruolato anch’egli nella Brigata Golani, è stato ucciso in azione durante l’eccidio del 7 ottobre.
«Aveva seguito le mie orme, cosa che mi ha reso molto orgoglioso. Era nell’esercito da soltanto dieci mesi quando Hamas ha lanciato il suo attacco brutale contro i nostri insediamenti a sud. Ha combattuto coraggiosamente insieme ai suoi commilitoni, ai suoi amici, ed è caduto dopo una battaglia strenua nel kibbutz Kissufim (Desiderio, ndr.). Perdere un figlio è un dolore insopportabile, impossibile. Non passa giorno in cui non pensi a lui e non senta la sua mancanza. Una vita intera spezzata in un attimo. Naturalmente sono anche molto orgoglioso del fatto che abbia combattuto per salvare i residenti».
Guy era un israeliano come tanti che suonava la chitarra e il pianoforte, amava lo sci, l’arrampicata e cucinare cibo italiano. Adesso c’è un piatto di carbonara che porta il suo nome nel menù del ristorante Amore Mio di Tel Aviv. Un omaggio affettuoso per uno dei 1.163 cittadini israeliani uccisi e trucidati quel giorno.
L’operazione a Gaza
Un massacro che ne ha scatenato un altro, senza paragoni nella comunque turbolenta storia dell’area. Il generale Bezek però non accetta un’equivalenza tra le due azioni: «La condotta di Hamas è quella di un’organizzazione terroristica, mentre le Forze armate israeliane si muovono in base al diritto all’autodifesa e in accordo con le regole internazionali di guerra. Al netto degli errori, anche gravi, che accadono durante una campagna militare.
Nelle scorse operazioni volevamo soltanto limitare Hamas, ma negli anni si è comunque rinforzato sia a livello di arsenale che di infrastrutture sotterranee. Il 7 ottobre ci ha insegnato che la coesistenza con questi terroristi non è possibile e quindi l’obiettivo è divenuto liberare la Striscia da questa dittatura militarista per permettere lo sviluppo di una nuova società civile. In questo assomiglia all’operazione Scudo Difensivo con cui nel 2002 abbiamo ristabilito l’ordine in Giudea e Samaria. Oltre questo, il rapimento di ben 251 israeliani ha richiesto inoltre una forte pressione militare su Hamas. È l’unico modo, a mio avviso, per ottenere il loro rilascio».
Secondo il generale Bezek l’attentato del 7 ottobre è stato anche un grande fallimento sia del governo sia degli alti gradi dell’esercito israeliano.
Ha causato un importante danno strategico alla nazione, che ha costretto più di 200mila israeliani ad abbandonare le proprie case per un tempo indefinito.«Si tratta di una situazione anormale che richiede allo stato di Israele di fare tutto il necessario per riportare i residenti nelle loro case e assicurare loro una condizione di completa sicurezza. È una realtà senza precedenti che richiede l’adozione di misure straordinarie per ripristinare la pace lungo ogni confine del nostro paese».
La guerra con Hezbollah
Un proposito che mette Tel Aviv in diretta rotta di collisione con i terroristi di Hezbollah che comandano incontrastati il meridione del Libano, nonostante la risoluzione Onu 1701 del 2006 avesse vietato ogni loro operazione a Sud del fiume Leonte.«Il rispetto della 1701 è la condizione minima per noi, ma Hezbollah siede anche nel governo di Beirut e gli attacchi recenti dimostrano che il Libano è ormai uno stato fallito che non può esercitare nessun controllo su Hassan Nasrallah. Però, in una prospettiva più ampia, Hezbollah è lo strumento principale con cui l’Iran vuole estirpare la presenza occidentale in Medio Oriente. Per gli ayatollah l’esistenza di Israele è un errore storico che va corretto.
Di conseguenza l’ambizione di Teheran di porsi a capo di un’egemonia sciita che abbraccia tutte le nostre terre va sconfitta partendo dalla distruzioni delle sue basi avanzate ed Hezbollah è la più importante fra queste. Nel 2011 la primavera araba ha distrutto l’ordine creato dalle linee guida dell’Accordo Sykes-Picot del 1916 e interi stati si sono frammentati: in queste crepe si è insinuato l’Iran con l’obiettivo di riplasmarli a sua immagine. Persino nel caso in cui riuscissero a creare uno stato palestinese, gli ayatollah si accanirebbero subito contro i palestinesi sunniti. L’Iraq è un chiaro esempio di questa postura settaria».
Quindi per Israele è necessario colpire Hezbollah, ma la sua importanza nel piano strategico iraniano rende l’operazione una sfida molto più grande dell’operazione di Gaza.
«Credo che l’imminente guerra contro il Libano ci obbligherà a raggiungere risultati decisivi nel più breve tempo possibile, soprattutto perché i cittadini di Israele saranno soggetti a un aumento delle minacce missilistiche fin dal primo momento.
Ciò richiederà l’utilizzo del vantaggio israeliano nella manovrabilità delle forze di terra in una forza d’invasione che sfrutterà tutte le potenzialità dell’esercito, dell’aviazione, e della marina. Gli iraniani potrebbero allora decidere di salvaguardare il loro “investimento” libanese con un nuovo intervento diretto di tipo missilistico, che coinvolgerebbe nella guerra anche i cieli dei paesi sunniti moderati. Ritengo che anche in questo caso collaboreremo alla loro difesa, come nella notte tra il 13 e il 14 aprile»
© Riproduzione riservata