Trascinati dalla deputata di origini palestinesi Rashida Tlaib, i democratici votano alle primarie “uncommitted” per segnalare la loro delusione verso Biden. I repubblicani invece sono scossi dallo scontro tra due seguaci dell’ex inquilino della Casa Bianca, che litigano sul controllo dei fondi del partito
Nelle primarie democratiche in Michigan Joe Biden rischia di perdere contro un avversario che non esiste.
Perché l’unico rischio che viene dalla consultazione statale con gli iscritti non arriva dall’unico concorrente ancora in gara, il deputato del Minnesota Dean Phillips, ma da “uncommitted”, una dicitura che i militanti dem troveranno sulla scheda e che vuol dire “non allineato”.
Anche l’ex presidente Trump ha qualche problema: due suoi presunti fedelissimi stanno litigando in tribunale per stabilire chi sia il legittimo presidente del partito repubblicano nello stato dei Grandi Laghi e in ballo c’è anche il controllo dei fondi statali.
Cominciamo da guai del presidente in carica.
La campagna per promuovere il voto contro l’attuale presidente, messa in piedi dall’organizzazione Listen to Michigan, che racchiude arabi, musulmani e progressisti, ha preso piede grazie alle posizioni dell’amministrazione statunitense sulla guerra di Israele ad Hamas, iniziata lo scorso 7 ottobre.
Sul banco degli imputati degli attivisti progressisti e della comunità araba ci sono le azioni di Biden nei confronti della condotta dell’esercito israeliano: in primis, le critiche troppo timide, ma anche il continuo flusso di aiuti militari verso Tel Aviv senza condizioni e la mancata richiesta di un cessate il fuoco umanitario.
Nel 2020 si stima che circa 146mila membri della comunità mediorientale abbiano votato alle presidenziali, un numero decisivo per la vittoria dei dem nello stato, avvenuta con un margine di circa 150 mila voti.
Un numero molto alto di voti “non allineati” sarebbe un grosso segnale per il presidente riguardo la sua politica nei confronti di un alleato come Israele.
A spingere questo sforzo ci sono anche alcuni politici come la deputata Rashida Tlaib, parte integrante della Squad progressista capitanata da Alexandria Ocasio Cortez, e l’ex deputato dem Andy Levin.
Ci sono anche alcuni eletti locali come il sindaco di Dearborn Abdullah Hammoud, di origine libanese e di religione musulmana sciita, che hanno dichiarato che, pur votando così alle primarie, il voto al presidente a novembre non è in discussione, ma certo altri elettori potrebbero non essere così generosi.
Un recente sondaggio indica come il 53 per cento degli elettori dem del Michigan è favorevole a un cessate il fuoco.
Il fronte repubblicano
Anche i repubblicani, che voteranno il prossimo 5 marzo, hanno i loro problemi. Qui non è in discussione il sostegno a Donald Trump, che secondo una recente rilevazione dovrebbe raccogliere un robusto 76 per cento dei consensi, bensì chi dovrà dirigere il partito.
Il 18 febbraio 2023, infatti, era stata eletta l’attivista Kristina Karamo, nota per la sua candidatura a segretario di stato nel 2022 su posizioni di estrema destra e per aver continuato a promuovere la teoria delle “elezioni rubate” a Trump nel 2020.
Queste tesi bizzarre si sono abbinate anche altre prese di posizione, come quella riguardante uno sconclusionato comunicato stampa emesso a marzo 2023 dove affermava che le leggi sul controllo delle armi erano paragonabili alla Shoah.
Una comparazione che ha indignato anche numerosi repubblicani, definiti “troppo permalosi” da Karamo. Per questo lo scorso 6 gennaio, tre anni dopo i fatti di Capitol Hill, i membri del comitato statale hanno deciso di rimuoverla, anche per la situazione finanziaria disastrosa che ha condotto alla decisione di vendere il quartiere generale del partito, che si trova nella capitale statale Lansing.
A sostituirla, sostenuto dallo stesso Trump, è l’ex ambasciatore nei Paesi Bassi Pete Hoekstra.
Karamo non demorde, e nonostante una recente sentenza di tribunale le abbia dato torto, sostiene di essere ancora lei la legittima presidente, rifiutandosi di cedere il controllo dei conti correnti, degli account sui social media e delle varie mailing list che vengono inviate periodicamente agli iscritti.
Una situazione di caos parallelo che testimonia come la confusione nei partiti in Michigan sia lo specchio di una situazione nazionale di grande inquietudine politica che però non riesce a esprimere alternative allo status quo incarnato.
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