Henry A. Kissinger, 100 anni, è morto oggi. Fu segretario di Stato americano sotto i presidenti Richard Nixon e Gerald Ford tra il 1969 e il 1977. Oltre alla sua carriera politica, intraprese anche la carriera accademica con la scrittura di libri.
Questo brano è tratto da Leadership, sei studi sulla strategia mondiale, pubblicato da Henry Kissinger nel 2021. L’opera è un trattato sulla governance politica che l’ex segretario di Stato americano analizza attraverso l’attività politica di quelli che per lui sono stati sei individui esemplari del XX secolo. Il brano in questione esamina la strategia politica di Konrad Adenauer, cancelliere della Germania Ovest subito dopo la seconda guerra mondiale, che in soli due anni riuscì a trasformare Berlino Ovest da nazione sconfitta a membro del processo di unificazione europea.
Il cammino verso una nuova identità nazionale
Adenauer riteneva che il rafforzamento dei legami con l’Occidente, e in particolar modo gli Stati Uniti, fosse la chiave per restituire alla Germania il suo posto nel mondo. Nelle sue memorie, l’allora segretario di Stato americano Dean Acheson avrebbe descritto con entusiasmo il primo incontro con Adenauer, nel 1949: «Fui colpito dalla lungimiranza e dalla saggezza della sua visione. La sua grande preoccupazione era di integrare fino in fondo la Germania nell’Europa occidentale. Anzi, dava a questo obiettivo la precedenza sulla riunificazione di una Germania infelicemente divisa, e capiva perché le nazioni vicine considerassero questa integrazione quasi una condicio sine qua non della riunificazione [...] Voleva che i tedeschi fossero cittadini d’Europa e che collaborassero soprattutto con la Francia a sviluppare interessi e progetti comuni, seppellendo le rivalità degli ultimi secoli [...] Per lui, i tedeschi dovevano guidare la rinascita dell’Europa».
Gli Stati Uniti svolsero un ruolo fondamentale nel sostenere simili obiettivi con un piano di rinascita economica. Il 5 giugno 1947, il generale George C. Marshall, predecessore di Acheson alla segreteria di Stato e già capo di stato maggiore dell’esercito, aveva detto alla Harvard University: «La nostra politica non è diretta contro nessun paese o nessuna dottrina, ma mira soltanto a combattere la fame, la povertà, la disperazione e il caos. Suo scopo dovrebbe essere la rinascita di un’economia florida nel mondo, che permetta l’emergere di condizioni politiche e sociali in cui possano sussistere istituzioni libere».
Adenauer ritenne il discorso di Marshall e il suo successivo piano ufficiale un buon motivo per aderire all’accordo della Ruhr del 1949, uno degli altri mezzi con cui gli Alleati mantennero il controllo sull’industria tedesca. Vide nel Piano Marshall un modo per frenare le esazioni imposte alla Germania, ma, particolare ancora più importante, lo giudicò un primo passo verso la trasformazione dell’Europa in una federazione: «Se [lo statuto della Ruhr] viene applicato in modo da ridurre gli sviluppi dell’economia tedesca, il Piano Marshall è un nonsenso [...] se invece lo statuto della Ruhr verrà applicato nell’interesse tedesco ed europeo, se esso rappresenterà l’inizio di un ordine nell’economia dell’Europa occidentale, allora potrà trasformarsi in un inizio molto promettente per la collaborazione europea».
Paradossalmente, il Partito socialdemocratico tedesco
(Spd), guidato da Kurt Schumacher, si presentò a quel punto come il principale oppositore interno di Adenauer. La Spd aveva un passato di profondo impegno democratico, che risaliva alla creazione dello Stato tedesco, ma durante il periodo imperiale era rimasta isolata dalle élite di comando, perché, essendo un partito marxista, non era stata considerata affidabile a causa dell’internazionalismo. Il capo del partito nel 1949, uno Schumacher che, essendosi fatto oltre un decennio di carcere sotto Hitler, era in cattive condizioni di salute, si convinse che la Spd non avrebbe mai vinto le elezioni nel dopoguerra se non avesse dichiarato propri obiettivi nazionali. Si oppose quindi alla strategia di Adenauer di riedificazione attraverso la sottomissione: «Come popolo dobbiamo attuare una politica tedesca, il che significa una politica che, anziché essere determinata da una volontà straniera, sia il prodotto della volontà
popolare».
Una sorta di populismo diventò la sua istanza costante. Per quanto comprensibile in termini di storia del Partito socialdemocratico, era del tutto incompatibile con la resa incondizionata e con l’esperienza della Germania di Hitler che i paesi vicini avevano avuto.
Adenauer credeva, come la Spd, nei principi democratici, ma dietro la sua adesione in toto alla democrazia c’era anche una ragione strategica. Era deciso a trasformare la sottomissione in virtù, e capiva che una disparità temporanea di condizioni era il prerequisito di una futura parità di trattamento.
Durante i dibattiti parlamentari del novembre 1949, sottolineò il concetto gridando (cosa assai insolita
per lui): «Chi pensate che abbia perso la guerra?». La sottomissione era l’unico modo di procedere: «Gli Alleati mi hanno detto che lo smantellamento delle fabbriche verrà fermato solo se soddisferò il loro desiderio di sicurezza» spiegò, per poi chiedere ironicamente: «Il Partito socialista desidera forse che lo smantellamento prosegua a oltranza?».
Un altro suo obiettivo fondamentale era la riconciliazione con la Francia. Adenauer aveva incontrato per la prima volta Robert Schuman, all’epoca ministro degli Esteri francese, nel 1948. La politica di Parigi mirava allora a smantellare la produzione industriale tedesca e mettere la Saar sotto il proprio controllo. Adenauer ridefinì il problema: la questione fondamentale non era tanto strategico-finanziaria, quanto politico-etica. Nel luglio 1949, prima di diventare cancelliere, aveva affrontato il tema in una lettera indirizzata a Schuman: «A mio avviso, qualsiasi vantaggio economico ottenuto [da un altro paese] facendosi assegnare fabbriche altrui dismesse è minimo in confronto al grave danno che viene recato al morale del popolo tedesco [...] Poiché le stanno tanto a cuore la questione della riconciliazione tra Francia e Germania e il principio della cooperazione europea, la supplico di trovare modi e mezzi per porre termine a queste misure assolutamente incomprensibili».
In patria, Adenauer sostenne più volte che la coopera-
zione con le varie misure punitive degli Alleati era l’unica
linea d’azione saggia. Il 3 novembre 1949 rilasciò un’inter-
vista al settimanale tedesco Die Zeit: «Se mostreremo di reagire negativamente allo statuto della Ruhr e all’Autorità della Ruhr, la Francia lo interpreterà come un segno del nazionalismo tedesco, come un atto di sfida volto a rifiutare ogni forma di controllo. Un simile atteggiamento apparirebbe come una resistenza passiva contro la stessa sicurezza. E questo va assolutamente evitato».
La strategia di Adenauer si rivelò efficace. Più tardi, quello stesso mese, gli Alleati lo invitarono a negoziare una nuova relazione con l’autorità di occupazione, in base alla quale veniva ridotto il numero di fabbriche destinate allo smantellamento e si stabiliva una via di accesso della Germania al Consiglio d’Europa, che era stato fondato quell’anno. Il 24 novembre, egli presentò il nuovo accordo al Bundestag, dove il nazionalismo era ancora molto forte. Schumacher si arrabbiò al punto da definire Adenauer «il cancelliere degli Alleati». Sospeso dal Parlamento per questa ingiuria, vi fu
presto reintegrato e subito rinnovò il suo attacco. Per tut-
ta risposta, Adenauer sottolineò che l’umiltà era la strada
verso l’uguaglianza: «Credo che in tutto quanto facciamo dobbiamo sempre tenere presente che, a causa della nostra totale disfatta, siamo senza potere. Dobbiamo tenere presente che, nei negoziati che siamo costretti a condurre con gli Alleati per ottenere pian piano sempre più potere, l’aspetto psicologico gioca un ruolo molto importante. Non possiamo né pretendere né aspettarci che ci venga concessa fin dall’inizio fiducia. Non possiamo né dobbiamo presumere che gli altri abbiano registrato un improvviso e totale cambiamento di atteggiamento nei confronti della Germania, ma dobbiamo capire che la fiducia si recupera solo in manie-
ra lenta e graduale».
La sua strategia fu accolta con più indulgenza dagli altri paesi europei che dai critici interni. Nel marzo 1950, il Consiglio d’Europa invitò la Repubblica federale tedesca a entrare nel consesso, anche se solo come membro associato. In un memorandum per il suo gabinetto, Adenauer auspicò vivamente che si accettasse l’invito nonostante il paese fosse palesemente discriminato: «Per quanto il Consiglio d’Europa presenti dei difetti,» disse «esso costituisce a tutt’oggi l’unica strada che è stata tracciata. Facciamo in modo che
la Germania non assuma la responsabilità di aver fatto fallire le trattative per l’Europa».
Tre mesi dopo, Robert Schuman, ansioso di legare la Germania alla Francia, propose un piano per lasciar decadere e poi sostituire l’Autorità della Ruhr. Pubblicato il 9 maggio 1950, il Piano Schuman avrebbe portato alla creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), ufficialmente un mercato comune per tali merci, ma in realtà un’istituzione dagli obiettivi fondamentalmente politici. Con tale accordo, dichiarò Schuman, «la guerra tra Fran-
cia e Germania diventa non soltanto impensabile, ma ma-
terialmente impossibile».
A una conferenza stampa, Adenauer approvò il piano in
termini analoghi, dicendo che il popolo tedesco «desiderava
veder eliminati nel futuro tutti gli ostacoli psicologici con
la Francia, perché finalmente in Europa potesse regnare la
pace». In un incontro con Jean Monnet, commissario generale della Commissione di pianificazione nazionale francese e in seguito primo presidente (1952-1955) dell’Alta autorità della Ceca, Adenauer corroborò quanto già espresso da Schuman: «I vari governi coinvolti non dovrebbero preoccuparsi tanto delle loro responsabilità tecniche quanto della loro responsabilità morale di fronte alle grandi speranze che questa proposta ha suscitato».
In una lettera a Schuman del 23 maggio 1950, Adenauer sottolineò ancora una volta gli obiettivi non materiali: «In realtà, avremo
successo solo se il nostro lavoro non sarà informato soltan-
to a considerazioni tecniche ed economiche, ma sarà fon-
dato su basi etiche».
Il Piano Schuman accelerò l’ingresso della Germania nell’Europa in via di unificazione. Come disse Adenauer nel discorso pronunciato a Bonn nel febbraio 1951: «Il Piano Schuman ha come obiettivo di edificare un’Europa unita. Per questo motivo, fin dall’inizio abbiamo accolto con un senso di approvazione l’idea che lo anima. Siamo rimasti fedeli a questa idea anche se a volte le cose sono state per
noi estremamente difficili».
Lo statuto della Ceca fu siglato il 19 marzo 1951. Nel gennaio dell’anno dopo, il Bundestag lo ratificò con 378 voti contro 143.38 Il Bundesrat (la Camera alta che rappresenta i dieci Länder della Germania federale) espresse un residuo di sentimento nazionale tedesco invitando Adenauer ad «assicurarsi che l’Alta Commissione Alleata» abolisse «tutte le limitazioni alla produzione di ferro e acciaio della Germania e che Berlino Ovest fosse «espressamente inclusa nel territorio coperto dalla Ceca».
Alla fine, Berlino Ovest fu specificamente inserita nel territorio della Ceca e la produzione tedesca di acciaio e carbone aumentò sotto gli auspici della nuova Comunità. Per giunta, come aveva proposto Schuman, la Ceca sostituì ufficialmente l’impopolare (almeno in Germania) Autorità della Ruhr. Appena due anni dopo essere diventato cancelliere, Adenauer aveva ottenuto che il suo paese partecipasse al processo di integrazione europeo, e ci era riuscito con una politica tutta improntata al superamento del passato nazista. Senza dubbio, le sue motivazioni erano in parte tattico-nazionali, in parte etiche, ma la tattica si era fusa con la strategia e la strategia si stava trasformando in storia.
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