Nelle linee-guida sulla difesa della Germania la parola chiave è “deterrenza”, concetto che si credeva archiviato. Ora Berlino vuole schierare soldati a difesa del confine est dell’Alleanza Atlantica per dare una prova di forza
Il 3 gennaio del 2011 l’esercito tedesco arruola tra le proprie fila 12mila soldati per la leva obbligatoria. Saranno gli ultimi, perché Berlino decide dopo più di 50 anni che le sue “Bundeswehr”, le forze armate, saranno formate soltanto da soldati volontari e in servizio. La decisione ha una portata storica e i giornali – come il Frankfurter Allgemeine Zeitung – parlano di «fine di un’èra». Quasi 13 anni dopo per le forze armate tedesche comincia una nuova fase. Una svolta strategica epocale, una “Zeitenwende” – in senso letterale e politico – per tradurla in tedesco.
La Germania intende rendere il suo esercito più forte, indispensabile negli equilibri della Nato, e pronto a combattere una guerra. A giugno è stata presentata una strategia di sicurezza nazionale, un documento mai preparato prima. E per la prima volta dal 2011, il ministero della Difesa ha appena pubblicato le nuove linee-guida del suo apparato militare.
Trentaquattro pagine per spiegare al suo esercito – e agli alleati di Berlino – che «la guerra è tornata in Europa», e che la Germania sente una responsabilità. Letteralmente quella di dover essere «la spina dorsale della deterrenza e della difesa collettiva» di tutti i paesi europei.
«Dobbiamo riabituarci all’idea che in Europa possa incombere il pericolo di una guerra», ha detto il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius in una recente intervista radiofonica a Zdf. «Questo significa: dobbiamo farci trovare pronti per una guerra, dobbiamo essere pronti alla difesa», ha chiarito, spiegando come ci sia bisogno di un cambiamento di mentalità nelle forze armate, nella politica e nella società.
Retorica della deterrenza
Dichiarazioni che servono «a preparare la gente in Germania a una nuova e più severa fase dove il potere militare è tornato all’ordine del giorno», sostiene in un’intervista Minna Ålander, ricercatrice al Finnish Institute of International Affairs. Come si legge nel documento che illustra le linee-guida, la Germania per decenni ha «trascurato le forze armate» ma è una «tendenza che dobbiamo invertire» perché in Europa centrale «pace e libertà non possono più essere date per scontate». L’argomento è storicamente molto delicato, lo ha ammesso anche il cancelliere Scholz, che di recente ha parlato dell’esigenza di un potenziamento delle forze armate come un tema «che noi in Germania evitiamo da molto tempo». Nel contesto tedesco, «i cambiamenti di posizione militare richiedono molto lavoro a livello politico e sociale per essere accettati», conferma Minna Ålander.
La retorica militare tedesca punta sulla deterrenza, parola che si ripete per 15 volte nel documento diffuso dal ministero della Difesa. Un concetto «percepito da molti come un relitto da Guerra Fredda» e che invece la «crisi Russia-Ucraina ne ha accelerato la resurrezione», per usare le parole di Micheal Ruhle, ex funzionario Nato con una carriera da speechwriter per sei Segretari Generali dell’Alleanza Atlantica.
Per Ruhle non c’è niente che possa spiegare meglio la deterrenza e l’enorme significato di una presenza militare «come una foto di un corazzato statunitense su un’autostrada lituana». Un esempio concettuale il suo e formulato all’indomani dell’invasione russa in Crimea, ma che è decisamente attuale, tanto da coincidere con uno dei pilastri della nuova linea tedesca.
L’obiettivo per Berlino è quello di schierare una intera brigata da combattimento da 4.000 soldati in Lituania, a difesa tangibile del fianco orientale dell’Alleanza Atlantica, diventato decisivo negli ultimi anni. Se n’è parlato a Vilnius all’ultimo summit Nato, la novità oggi è che questa decisione è definita il “progetto faro” della nuova politica di difesa tedesca. «È una decisione senza precedenti nella storia delle Bundeswehr, è un segnale importante della forza congiunta dell’Alleanza», si legge nel documento presentato il 10 novembre. E un altro passaggio chiave indica come in futuro la “forward presence” – ovvero soldati tedeschi che stazionano in un altro paese – «diventerà la normalità».
Un tema già anticipato nel documento sulla sicurezza nazionale, dove si legge che l’obiettivo è rendere la presenza militare in altri paesi permanente per rendere la Germania una nazione di riferimento per gli alleati. «È il progetto di punta di tutta la cosiddetta Zeitenwende», commenta Ålander, che però sostiene come oltre al progetto lituano «difficilmente ci saranno risorse o voglia per ulteriori schieramenti permanenti».
Immagina come più plausibili “schieramenti a rotazione” con pochi soldati al seguito, come le squadre che lavorano sulle batterie Patriot in Polonia e Slovacchia. Ma secondo lei è comunque «un’inversione a U dalla decennale tendenza ad avere forze armate schierate nelle missioni solo per mostrare la loro presenza».
Il ruolo nella Nato
In termini assoluti i soldati tedeschi formano il quarto più grande esercito dell’Alleanza, con circa 184mila militari in servizio – tra cui 60mila nell’esercito – e dietro a Stati Uniti, Turchia e Francia. Il paese fa saldamente parte dell’Alleanza Atlantica dal 6 maggio del 1955. E partecipa a missioni in Europa, Asia e Africa, addestrando forze locali in Nigeria, Libano e Iraq.
L’aviazione – che conta 380 aerei ed elicotteri da combattimento – è impegnata in pattugliamenti Nato dall’Estonia fino alla Romania. I soldati tedeschi si addestrano per essere operativi nella unità a rapido dispiegamento della Alleanza, e lo fanno da protagonisti.
Da inizio anno infatti la 37esima brigata di fanteria è l’unità che guida nel suo comparto la task force d’elite – la Very High Readiness Joint Task Force – coordinando le esercitazioni congiunte con gli altri paesi. In più la base aerea di Ramstein a 120 chilometri da Francoforte, è il quartier generale dell’aviazione Usa in Europa. Hub fondamentale anche per la Nato che dal 1974 ha basato lì la sede del comando aereo congiunto, per una struttura militare dove lavorano soldati da 21 paesi diversi.
Sempre più protagonista
A livello politico, le relazioni con i vertici Nato sono appena state rinsaldate. Nel giorno che ha segnato i 34 anni dalla caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre il Segretario della Nato Stoltenberg è andato in visita a Berlino, ringraziando di persona il cancelliere Scholz per il contributo tedesco. Dalla brigata in Lituania fino al supporto al battlegroup in Slovacchia, ma soprattutto per un altro importante obiettivo.
«La Germania sta facendo investimenti storici nella difesa, il vostro impegno di investire il 2 per cento del Pil dal prossimo anno è importante per gli alleati e per tutta l’alleanza», ha detto Stoltenberg definendo le politiche di Berlino un game-changer per l’intera difesa collettiva. Il riferimento è al fatto che per la prima volta – dal 2024 – la Germania prevede di raggiungere la spesa militare che gli alleati si sono impegnati a garantire all’alleanza militare ormai nel lontano 2006.
Risultato che sarà raggiunto grazie a un fondo speciale per le spese militari da 100 miliardi di euro annunciato dal cancelliere Scholz all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, ma non solo. In questi due anni di guerra in Ucraina, la Germania ha progressivamente cambiato modalità e approccio nel contrastare l’azione militare di Mosca. Dai 5.000 elmetti offerti all’Ucraina a fine gennaio 2022, che provocarono un certo imbarazzo diplomatico con il sindaco di Kiev Vitali Klitschko «senza parole» a chiedersi «poi cosa vuole mandare la Germania, cuscini?», fino alle strette di mano tra Scholz e Zelensky.
Ad oggi secondo il Kiel Institute la Germania ha fornito carri armati, armi e munizioni a Kiev per 17,1 miliardi di euro. Più del doppio della Gran Bretagna e addirittura 34 volte quanto stanziato fin qui la Francia. A Kiev sono arrivati tra le altre cose, 30 carri armati Leopard 1 e 18 Leopard 2, 47 milioni di munizioni, 100.000 granate, sistemi di difesa aerea IRIS e 2 lanciatori Patriot, per una lista in continuo aggiornamento tra equipaggiamento già spedito e in partenza.
È di fatto il primo paese in Europa a fianco di Kiev. «È il secondo più grande paese a fornire supporto all’Ucraina tra gli alleati, dopo gli Stati Uniti», ha riconosciuto anche Stoltenberg una decina di giorni fa. Ma Berlino intende raddoppiare in un colpo solo gli aiuti militari all’Ucraina, da quattro miliardi di euro fino a otto miliardi di euro per il prossimo anno. «È un segnale forte all’Ucraina, non li pianteremo in asso», ha commentato il ministro della Difesa Pistorius nell’annunciare la misura. Segnale che su tutti i fronti la Germania si immagina sempre più protagonista.
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