«Usare i social network nuoce gravemente alla salute mentale degli adolescenti». C’è una questione che è ormai esplosa e che rischia di seguire lo stesso modello della crisi climatica. Con la scienza che ha lanciato un allarme, la politica che deve dare una risposta e le aziende che fanno pressione per difendere il loro impero economico.

Il tema è dibattuto da anni ma serviva un passaggio simbolico, qualcosa che lo elevasse a questione di rilevanza globale. È successo ieri, quando Vivek Murthy – il surgeon general, ovvero il massimo funzionario federale responsabile per la sanità pubblica negli Stati Uniti – ha chiesto al congresso di intervenire. Se la sua proposta sarà accolta, i social network dovranno esporre un’avvertenza sui rischi che comportano per la salute mentale dei ragazzi. Proprio come se fosse un’etichetta sul pacchetto delle sigarette.

L’allarme

Il motivo lo ha spiegato lo stesso Murthy, in un editoriale pubblicato ieri dal New York Times: «Questa avvertenza ricorderebbe regolarmente ai genitori e agli adolescenti che non c’è la certezza che i social media siano sicuri», spiega. «Gli studi sul tabacco hanno dimostrato che le etichette di avvertimento possono aumentare la consapevolezza e incidere sul comportamento delle persone».

Secondo Murthy, è un primo passo culturale per infondere maggiore consapevolezza nei genitori e nei ragazzi. Ma è chiaro che non può essere l’unico. Deve essere accompagnato da una serie di interventi che riguardino l’intera società, le scuole, le famiglie e le aziende tecnologiche.

Ma c’è una questione che è ancora più generale e che invece attiene in modo evidente alla politica. L’intento del surgeon general è innanzitutto di cambiare il fuoco della questione.Anche a causa di alcuni fatti di cronaca, finora si è discusso molto sul rischio che i giovani entrassero in contatto con contenuti ritenuti pericolosi: video che istigano al suicidio, sfide al limite dell’autolesionismo e pornografia. Ora il paradigma è cambiato: dagli Stati Uniti arriva l’indicazione che il semplice utilizzo dei social network, se fatto in età adolescenziale, è di per sé un tema di salute pubblica. Se l’indicazione è questa, cosa intende fare chi ci governa?

Il dibattito

Nel dibattito scientifico la questione è in realtà discussa già da tempo e talvolta anche con voci dissonanti. Gli studi sono ormai moltissimi, soprattutto nelle riviste specialistiche di psicologia, e darne una sintesi non è semplice. Lo si può fare più o meno in questo modo: i problemi mentali sono un tema complesso e quindi immaginare che ci sia un’unica causa nel disagio giovanile sarebbe di per sé sbagliato. Anche perché concentrarsi su un unico fattore rischia di far sottostimare tutti gli altri.

Allo stesso tempo, però, ci sono evidenze empiriche che rendono evidente come l’uso dei social network sia spesso associato negli adolescenti a problemi di salute mentale, come ansia e depressione. A essere ancora più precisi, il problema non è l’uso ma l’abuso. La differenza rischia però di essere solo teorica: queste piattaforme sono costruite proprio per creare assuefazione. E difatti, secondo un’analisi di Gallup citata anche da Murthy, più della metà dei teenager americani spendono almeno quattro ore al giorno sui social.

Agire rapidamente

Negli Stati Uniti, la questione è uscita dalle riviste specialistiche a fine marzo con la pubblicazione di The anxious generation (La generazione ansiosa), un libro scritto dallo psicologo sociale Jonathan Haidt. Facendo una rassegna degli studi specialistici, Haidt ha teorizzato che la grande epidemia di disturbi mentali sia causata appunto dall’abuso degli smartphone in tenera età.

Il libro ha avuto uno straordinario successo, ma è stato anche molto criticato. Secondo una recensione pubblicata da Nature, le teorie di Haidt non hanno valenza scientifica. Due fatti che avvengono in contemporanea (l’aumento nell’utilizzo dei social e quello dei problemi di salute mentale) non sono per forza collegati fra loro da un nesso causale. Anzi, è più facile immaginare che ci sia una semplice correlazione. Ovvero: gli adolescenti sono più tristi, per una grande varietà di cause (genetiche, ambientali, culturali ed economiche), e per questo cercano rifugio sui social.

In altre parole, la questione è molto complessa e molto dibattuta. E per questo è anche molto difficile da sintetizzare in studi che diano una spiegazione semplice e univoca. Ma Murthy parte da un’esigenza diversa, che è appunto quella di garantire la sanità pubblica: «Una delle lezioni più importanti che ho imparato alla scuola di medicina è che in un’emergenza non hai il lusso di aspettare le informazioni di cui avresti bisogno», ha scritto sul New York Times. «Valuti i dati che hai a disposizione, usi il tuo miglior giudizio e agisci in fretta».

© Riproduzione riservata