Nel presentare il piano, Meloni ripete i soliti, vecchi concetti securitari e coloniali a un continente che sta vivendo una poderosa crescita economica, superata solo dall’Asia. Moussa Faki, presidente della Commissione dell'Unione africana: «Noi non siamo mendicanti, la nostra ambizione è più alta»
Che qualcosa stesse rapidamente cambiando nei rapporti tra Europa ed Africa, lo si è cominciato a capire negli ultimi anni. Il momento forse più topico di questa trasformazione si è avuto, a livello istituzionale, nel corso del summit Unione europea-Unione africana del febbraio 2022.
In quel vertice emerse con evidenza che la relazione tra ex colonizzatori ed ex colonizzati aveva raggiunto un punto di non ritorno. Era finito il tempo dell’assistenza pelosa donor-recipient, o della Carità che uccide, per dirlo con le parole che danno il titolo al noto testo dell’economista zambiana Dambisa Moyo.
Si stava per esaurire la fase delle «briciole dalla tavola» come aveva stigmatizzato il presidente del Sudafrica Cyril Rampaphosa nel corso dell’incontro.
Nel suo intervento all’apertura dei lavori del vertice Italia-Africa del 29 gennaio, lo ha ribadito con chiarezza lo stesso Moussa Faki presidente della Commissione dell'Unione africana: «Avremmo. preferito essere consultati. L’Africa è pronta a discutere i contorni e le modalità di attuazione del Piano Mattei ma non vuole tendere la mano, noi non siamo mendicanti, la nostra ambizione è più alta».
Fuori dalle sedi istituzionali, nel frattempo, si consumava una de-europeizzazione progressiva del continente africano che vedeva come elementi più iconici la cacciata di truppe e ambasciatori francesi da paesi come Mali e Burkina Faso o del capo della diplomazia tedesca dal Ciad e il diffuso sentimento anti-occidentale che milioni di individui hanno manifestato apertamente nel corso degli ultimi anni, specie quando hanno espresso il loro appoggio ai vari golpe succedutisi dal 2020 in poi (sei in tutto, Mali, Guinea, Ciad, Burkina Faso, Niger e Gabon).
Immaginare quindi l’Africa come un continente che smobilita masse di migranti, che assommi solo povertà, disgrazie varie, instabilità e sottosviluppo o che, soprattutto, sia lì ad attendere la beneficienza europea, è quanto di più sbagliato si possa fare.
Continente dinamico
Come riporta Africa Affari, nonostante le sfide strutturali e le pressioni finanziarie, tutti gli analisti concordano nel ritenere che la crescita africana nel 2024 «sarà più alta, con un prodotto interno lordo che secondo l’AfDB (Banca africana per lo sviluppo, ndr) salirà̀ al 3,8 per cento (1,2% nell'eurozona e dell'1,3 per cento nell'Ue, ndr). Un dato che, in un contesto globale che langue, posiziona il continente come la seconda regione a più rapida crescita economica, superata solo dall’Asia.
Secondo l’Economist Intelligence Unit, nel 2024 ben 12 dei 20 paesi più̀ dinamici al mondo saranno africani.
C’è poi un dato relativo al peso politico che l’Africa sta guadagnando negli ultimi tempi. Il caso del Sudafrica che trascina Israele davanti al Corte internazionale di giustizia dell’Aja e che porta a casa un gran risultato non evidenza tanto il lato giuridico quanto il cambio netto di passo stabilito da un paese africano, fino a ieri vittima di uno dei regimi più nazifascisti della storia, che mette sotto accusa a nome del Sud globale, la "culla della democrazia” dell’occidente – schierato in blocco con Israele – e facendosi paladino dei diritti civili e umani fin qui, apparentemente, patrimonio esclusivo del nord.
È interessante, in questo contesto di peso politico, notare come le risoluzioni Onu su Ucraina e Gaza, abbiano visto nel continente africano tiepidezza nel primo caso (moltissimi astenuti) e netto schieramento pro-palestinese nel secondo.
Così come va seguito con attenzione il processo di africanizzazione dei Brics che hanno visto l’ingresso recentissimo di Egitto, ed Etiopia accanto all’ormai membro decano Sudafrica con Algeria e Nigeria in panchina in attesa che vengano accolte le loro richieste.
L’Africa che si è presentata in Italia per il vertice del 29 gennaio voluto dalla premier Meloni, quindi, è sospinta da questo vento nuovo.
I 46 dei 54 Stati presenti (55 se si include il Sahara occidentale, riconosciuto dall’Unione Africana ma non dall’occidente) rappresentati da presidenti, vice, primi ministri, ministri degli esteri o da alti funzionari (mancano tutti gli Stati cosiddetti golpisti tranne Ciad, il Sudan in guerra aperta, Nigeria e Liberia) arrivano come interlocutori paritetici.
Bloccare i flussi
Sarà per questo fondamentale comprendere se alle nette parole pronunciate dalla presidente del consiglio nel discorso di apertura del vertice «pensiamo a una cooperazione da pari a pari, lontana da qualsiasi tentazione predatoria, ma anche da quell’impostazione “caritatevole” nell’approccio con l’Africa che mal si concilia con le sue straordinarie potenzialità di sviluppo», faranno seguito atti concreti e non si traduca tutto, come molti temono, in patti per bloccare l’immigrazione (alcuni esponenti della maggioranza hanno omesso l’aggettivo «irregolare» nel declinare uno degli obiettivi del summit) o in accordi di forniture energetiche.
Il progetto è ambizioso: «Cinque grandi priorità di intervento: istruzione e formazione; salute; agricoltura; acqua ed energia», con una dotazione iniziale di «oltre 5,5 miliardi di euro dei quali circa 3 miliardi dal Fondo italiano per il clima e circa 2,5 miliardi dalla cooperazione allo sviluppo».
Si chiederà poi il sostegno, afferma Meloni, a Banche Multilaterali di Sviluppo, all’Ue e altri Stati donatori (avrebbero aderito Emirati Arabi e Arabia Saudita, ndr).
Bisognerà dimostrare, però, di essere realmente decolonizzati nell’approccio e avere la cultura, la conoscenza aggiornata del continente e delle sue dinamiche, il personale adatto a declinare partnership e implementarle, per esserne all’altezza.
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